martedì, maggio 13, 2008

BUON COMPLEANNO ISRAELE







13 mag.- Israele celebra i suoi 60 anni di esistenza. Nonostante la sua storia travagliata, o forse proprio per questo, i cittadini israeliani festeggiano con partecipazione questa ricorrenza. Notevole la somma stanziata per l’occasione, 140 milioni di shekel, che corrispondono a circa 26 milioni di euro, da molti giudicata eccessiva visti i problemi interni del Paese. Di diverso avviso Tamara Cesana, coordinatrice del Com.It.Es di Israele, da sette anni trasferitasi “per ragioni ideologiche”, come le ha definite lei stessa, nel Paese mediorientale. “Non mi risulta che siano stati fatti festeggiamenti così grandiosi. – ha affermato – Certo ci sarà la visita di personalità molto importanti come Gorge W. Bush, Tony Blair ed altri al palazzo del Congresso di Gerusalemme, ma molti degli spettacoli e degli eventi che si sono tenuti in questi giorni sono stati organizzati e tenuti da volontari”. La festa per l’anniversario della Dichiarazione di indipendenza è cominciata mercoledì sera, in base a quanto previsto dal calendario ebraico, mentre per il resto del mondo sarà il 15 maggio. Se siano stati o meno spesi troppi soldi diventa una questione irrilevante di fronte ad una partecipazione sentita da parte della popolazione. “Gli stessi artisti che si sono esibiti nel giorno dell’indipendenza – ha aggiunto Cesana - quando si sono tenuti i maggiori festeggiamenti, hanno rinunciato a percepire un compenso”. Uno Stato che riesce ad essere amato dai suoi cittadini, esempio raro di fronte all’individualismo che colpisce molti Paesi occidentali, spiegabile forse da quello stato di conflitto perenne in cui ci si trova a vivere, con un nemico sempre alle porte, che unisce e rende solidali. Questo però non sarebbe un aspetto propriamente positivo, sarebbe una aggregazione in negativo, dettata dalla paura. Sebbene Beniamino Lazar, presidente del Com.It.Es di Israele, ammetta che “questa è una motivazione plausibile” e sottolinei come “la partecipazione al giorno dell’indipendenza di Israele non è poi così diversa rispetto a quanto avviene in Italia”, la fedeltà alle istituzioni trova anche altre ragioni. “Nel 1948 – ha spiegato – c’erano solamente 600 mila ebrei in questa regione e pertanto nessuno immaginava che si sarebbe riusciti a creare uno Stato che potesse poi raggiungere l’attuale livello economico”. Anche Miriam Toef Della Pergola, giornalista emigrata in Israele nel 1968, ha sottolineato come la gratitudine del popolo israeliano verso le proprie istituzioni sia dovuta al fatto che “ci si rende conto del grado di progresso ottenuto. E’ un paese in cui, nonostante il problema della sicurezza, tutto sommato si vive bene. C’è stato un notevole miglioramento rispetto a 20 anni fa, ora Israele è ai primi posti al mondo nell’hi-tech, lo standard economico è molto elevato”. Anche Cesana ribatte su questo punto affermando di essere venuta in Israele per seguire “i miei figli che si sono trasferiti perché qui ci sono molte più opportunità che in Italia”. Un sentimento paragonabile al mito della carovana statunitense, non fondato pertanto su elementi negativi, di esclusione, ma al contrario sulla soddisfazione per quanto creato. Ed infatti la parola ‘nuovo’ è il leit motiv che compare nelle risposte degli intervistati. “Abbiamo creato una nuova società, una nuova lingua, partendo dall’ebraico antico” così giustifica l’entusiasmo del popolo israeliano verso il proprio Stato Lazar, il quale aggiunge che “il giorno dell’indipendenza ci sentiamo uniti nei successi di questo Stato”. Il tema della guerra, però, ritorna immancabilmente e d'altronde è impossibile che non sia altrimenti in un Paese che dalla sua fondazione non ha praticamente mai cessato di combattere. Anche se, spiega Lazar, "nel giorno dell'indipendenza non si tiene la parata militare per evitare che gli sia attribuito un carattere militaresco" i successi di Israele sono resi ancora più grandi proprio dal clima di tensione in cui sono avvenuti. “Nonostante la crisi, la guerra – spiega Beniamino Lazar – Israele è nato ed è progredito, questo è un miracolo”. Appena si forza la mano su questo punto, si citano le numerose critiche che l’opinione pubblica di molti Paesi riversa contro Israele, ecco che i suoi cittadini lo difendono con forza. Cesana, un figlio ufficiale dei paracadutisti, ribatte alle accuse verso Israele di “essere uno Stato guerrafondaio” spiegando che in realtà “l’esercito ha un alto livello di moralità, basti pensare che mio figlio non ha mai sparato un colpo”. Anche Lazar pur ammettendo che “alcune critiche sono legittime” accusa che altre volte sono semplicemente “figlie dell’antisemitismo”. Una critica la rivolge ai media esteri che “non forniscono una visione completa di quanto avviene in questa area. Spesso danno notizia delle risposte israeliane senza però citare i precedenti attacchi palestinesi”. Se la storia di Israele è stata un successo sia per il semplice fatto che si possa parlare di storia di uno Stato, sia per il grado di ricchezza ed il livello di vita raggiunto, è però vero che dal punto di vista della sicurezza rimane un fallimento. Anche Della Pergola ha ammesso che “questo è un tema sempre più sentito dalla popolazione. Si possono vincere tutte le guerre che si vuole, ma se non si riesce a vincere la pace non serve a nulla”. Allora forse si sarebbe potuto fare diversamente? “E come – ha risposto ironicamente Lazar – fondando Israele nel deserto del Sahara. Nel ’48 i Palestinesi non ci hanno riconosciuto e ci hanno attaccato, così come i Paesi confinanti”. Uno Stato nato da una guerra che afferma di “voler cercare di convivere”, ma che non rinuncia a difendersi con ogni mezzo. “Ci siamo ritirati dalla striscia di Gaza due anni fa, ma i Palestinesi continuano a lanciare missili contro Israele” afferma Lazar. “I nostri ospedali sono pieni di Palestinesi, pagati dal servizio sanitario” fa eco Cesana. Israele festeggia i suoi 60 anni di esistenza ed oggi più che mai considera ciò un suo diritto inviolabile.


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