martedì, gennaio 20, 2009

UN PEZZETTINO DI STORIA LIGURE PER CONSTATARE CHE I COMUNISTI NON CAMBIANO...





Facciamo un piccolo passo indietro per parlare di quello che accadde quaranove anni fa a Genova. Era da poco nato il Governo Tambroni, un monocolore DC appoggiato dal MSI. Troppo per chi covava ancora nell'anima l'odio di quindici anni prima e che ancora sognava una rivoluzione proletaria. Tutto ebbe inizio alle quattro del pomeriggio del 30 giugno 1960, quando le squadre che guidavano un corteo di almeno cinquemila persone, reduci dal comizio tenuto da Sandro Pertini in piazza della Vittoria, attaccarono a freddo le camionette della «Celere» schierate lungo la via XX Settembre, a protezione dell'Hotel Bristol, dove erano asserragliati i delegati al congresso nazionale del Msi, con Michelini, De Marsanich, Almirante, Servello e tutti gli altri dirigenti di quel partito che per la prima volta dalla sua fondazione giocava un ruolo determinante nella politica nazionale.
Dopo il comizio di Pertini in piazza della Vittoria, nel corso del quale l'allora senatore del Psi (e direttore del quotidiano Il Lavoro) aveva duramente attaccato polizia e carabinieri, accusandoli di «trescare con i fascisti», il corteo degli attivisti del Pci, formato in gran parte dagli operai portuali della Culmv (Compa-gnia Unica Lavoratori Merci Varie), si diresse verso piazza De Ferrari. Tra essi, alcune centinaia di ex partigiani dei GAP, un mitra per ogni tre (a uno il calcio, a uno il caricatore, a uno la canna). Giunti all'altezza del caffè Borsa, i dimostranti, perfettamente organizzati in squadre di dieci uomini ciascuna, incominciarono ad afferrare tavolini e sedie del bar e a scagliarli con estrema violenza contro gli occupanti delle jeep della polizia. Appena iniziati i caroselli della «Celere» del Battaglione di Padova, particolarmente addestrato per affrontare le sommosse di piazza, i «camalli» estrassero dalle cinture dei pantaloni i temibili «ganci» (arnesi di ferro appuntiti e ricurvi con i quali, in porto, venivano afferrate le cime delle navi), e presero a piantarli nelle schiene, ma - quel che è peggio - nelle guance dei ragazzi della polizia. Poi, uno strappo violento, ed ecco una scapola squarciata, un braccio a penzoloni e, purtroppo, un volto devastato da parte a parte. E deturpato per sempre.Quella tremenda giornata finì con 73 poliziotti ricoverati all'Ospedale San Martino, di cui una trentina con il volto perennemente sfregiato. I Poliziotti non potevano sparare perchè le armi della Polizia erano senza pallottole; era stato ordinato così dal Ministro dell' Interno Giuseppe Spataro al Questore Dottor Lutri. Questo perchè la sinistra democristiana, da Moro a Fanfani, era contraria al Governo Tambroni. Mentre i Carabinieri, al tempo referenti al Ministero della Difesa, erano sì armati ma dislocati distanti. Per questo Togliatti, sempre informato dalla sinistra DC, diede ordine di non attaccare i CC. E così avvenne.
Ad un certo momento una decina di «camalli», afferrato un maggiore della polizia, sembrava volessero affogarlo nella fontana. Gli mettevano la testa sott'acqua, poi, quando il poveretto stava per asfissiare, lo rialzavano per fargli riprendere fiato. La tortura durò una buona mezz'ora. L'indomani mattina, su l'Unità, campeggiava in prima pagina la foto della scena con questa didascalia: «Un gruppo di compagni salva un ufficiale della polizia caduto nella fontana di De Ferrari».
Dopo questa giornata, falsamente popolare,come ancora la sinistra vorrebbe farci credere, il Governo Tambroni fu costretto a dimettersi.

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