giovedì, agosto 27, 2009

la colonia di rovegno una macelleria

Rovegno : la colonia degli orrori

Lasciata Genova, si prosegue sulla SS45, che porta dopo circa 100 chilometri a Piacenza, a circa metà strada , inizia la Val Trebbia, superato il ponte sul fiume che da il nome alla valle. Lungo circa 115 Km. E’ un importante affluente del PO, e tocca le province di Genova, Piacenza e per un brevissimo tratto anche Pavia. Da qui si cerca un pezzo della tragica guerra civile che ha insanguinato questo lembo di Liguria.
Il piccolo comune che mi interessa particolarmente è Rovegno, ad una decina di minuti di moto dalla piazza centrale del paese, trovo un cartello giallo turistico tutto contorto ed una vecchia croce arrugginita con una emme all’incrocio dei bracci. Il cartello indica il mio obiettivo, che dista un chilometro: Colonia Montana.
E’ esattamente quello che cerco, la Colonia di Rovegno, meglio conosciuta come “la colonia degli orrori”.
Percorro una strada dissestata, tortuosa che attraversa estesi e fitti boschi di abeti e pini, talmente fitti da sembrare impenetrabili e refrattari anche ai raggi del sole, infatti mi sembrano impregnati di oscurità, oppure è solo un’impressione. La stessa impressione che danno i cimiteri.
Arrivo in un grande spiazzo di terra battuta e mi si staglia di fronte, un enorme fabbricato, stile 900, con un grande corpo centrale e parti laterali, piu’ alte che sembrano due torri, su di una c’e’ un’asta per la bandiera, tutte le finestre sono distrutte e sembra vuote occhiaie di un teschio, sul frontale una scritta appena leggibile , Gioventù Italiana, che fa parte di un imponente ingresso con scalinata. L’interno della immensa colonia, su tre piani, e’ di un degrado indescrivibile, non esiste più una porta intatta, i tramezzi sono sfondati, il soffitto pende a tratti sino al pavimento, sbrecciato anch’esso, i pochi muri intatti sono ricoperti di scritte e disegni osceni ed ingiuriosi, ovunque materassi lacerati, mobili distrutti.
Ma la vera caratteristica di questa colonia è la triste parte che ha avuto , nella storia della guerra civile,dal 1943 al 1945 e, parrebbe oltre: occupata da brigate partigiane comuniste, nel tardo 44, che ne fanno un loro “santuario” dove le truppe della Repubblica Sociale Italiana non possono o non vogliono avventurarsi.
Lontana dalle vie di comunicazione, nascosta dalla vegetazione alla ricognizione aerea, facilmente difendibile, rappresenta un grande e sicuro covo per i partigiani comunisti delle brigate garibaldine della 4° zona operativa, Oreste, Arzani, Aliotta, Gramsci e Jori, tutte appartenenti alla Divisione Cichero.
Oltre che sicuro rifugio per i partigiani rossi, la colonia diventa un terribile luogo di detenzione e tortura per i civili sfollati in zona, quelli benestanti, i quali rappresentavano un ghiotto boccone per i partigiani e anche per militari della R.S.I. che vi vengono trascinati.
Le brigate partigiane attuano la tattica del mordi e fuggi, attaccano solo piccoli drappelli isolati di militari, li disarmano e li fanno prigionieri, quindi li portano alla colonia di Rovegno, dove inizia il percorso degli orrori delle sevizie e poi, per completare l’opera, li fucilano, lontano dal fabbricato per non fare disordine, fra i grandi boschi che circondano la colonia, i corpi vengono abbandonati nel sottobosco a marcire, a essere divorati dagli animali.
Nessuno ebbe salva la vita, civili benestanti ammazzati dopo aver dato, inutilmente, i loro averi, soldati tedeschi, militari della Repubblica Sociale Italiana, presunte spie fasciste, il piombo veniva distribuito ad insindacabile giudizio dei boia rossi.
Per anni i contadini e i boscaioli trovarono resti umani fra gli alberi. Qualcuno consegnò alle autorità i ritrovamenti, ma la maggior parte andò diperso.
La Prefettura e il Comune di Genova, emisero un comunicato nel 1946, affermando che nella foresta giacevano ben 600 morti. Penso che questa stima pecchi per difetto, vista la grande attività dei partigiani che operavano in moltissime zone : Tortona, Alessandria, Novi Ligure, Serravalle,
Una targa in bronzo, in un conteggio parziale, ricorda 160 militari caduti, italiani e tedeschi, ammazzati dai partigiani comunisti, in quel tragico sito.

Sto pensando a quelle centinaia di morti , torturati, umiliati ed ammazzati senza pietà, lasciati a marcire fra gli aghi di pino e le pigne, in grandi fosse comuni, senza una lapide o una croce, senza una preghiera e un fiore, sparsi sul terreno per la grande foresta , lontano dalle loro famiglie addolorate, mentre i loro carnefici , dopo il 25 aprile, marciavano trionfanti e tronfi per le vie delle città “liberate” ancora con le mani lorde di sangue spesso innocente.
Roberto NICOLICK

lunedì, agosto 17, 2009

UN TRISTE RICORDO



Un altare a futura memoria

Sulla strada provinciale , ex Aurelia, che collega Arenzano a Cogoleto, sul rettilineo che costeggia decine di stabilimenti balneari, frequentati per lo più da Genovesi, sul lato a monte si nota una serie di oggetti, addossati alla massicciata, proprio dietro il guard rail metallico, incuriosito mi sono arrestato e sono sceso dalla motocicletta per guardare meglio : l’elemento centrale e’ una grossa teca di vetro con dentro decine di oggetti, pupazzetti, peluche, modellini di motociclette, un paio di guantoni da boxe, fotografie, targhette con su scritte poesie, vasetti con fiori, iniziali in legno decorato; Più in alto un’altra teca di plexiglass contenente un casco da motociclista e a lato una targa in ottone su cui si legge : “ Un attimo che valga una vita “.
Ovunque nel piccolo spiazzo erboso, fiori, vasi e piccole pianticelle che qualcuno con pazienza ha piantato e curato. Sulla massaggiata decine di scritte , fatte con la vernice spray , tutte in ricordo di un giovane ventitreenne , Michele, abitante al C.E.P. di Genova , morto il 3 agosto 2008, in un incidente motociclistico, proprio in quel tratto di strada.
Sono rimasto impressionato e commosso da questo invito pietoso al ricordo, in un’epoca dove tutti corrono, dove tutti i giovani inseguono i beni di consumo, qualcuno ha voluto ricordare un coetaneo, morto nell’urto contro una autovettura, mentre in sella ad una moto percorreva un tratto di strada, con a lato un mare bellissimo, in un giorno di agosto, dove tutto dovrebbe accadere ad un ragazzo tranne che morire.
Roberto Nicolick

venerdì, agosto 07, 2009

I VALOROSI PARTIGIANI DI PEDESCALA


I VALOROSI PARTIGIANI PRIMA SPARANO E POI SPARISCONOLa strage di Pedescala è avvenuta tra il 30 aprile e il 2 maggio 1945 in tre frazioni del comune di Valdastico (Vicenza): a Pedescala dove sono morte 64 persone, a Forni e Settecà dove sono morte altre 18 persone. Esecutori furono reparti dell'esercito tedesco con l'aiuto di italiani.La strage ebbe luogo a nord diVICENZA, tra gli altipiani di TONEZZA DEL CIMONEe dei Sette Comuni ASIAGO, dove, subito dopo Pedescala nei pressi diARSIERO, sbocca la Val d'Astico.Risalendo la Val d'Astico ci si dirige a nord verso Carbonare, frazione di LAVARONE , ove si scende verso TRENTO , la Val d'Adige e il Brennero.La valle è storicamente sempre stata la strada per la Germania e nell'aprile del 1945 era percorsa dai reparti dell'esercito tedesco che tentavano di rientrare in patria secondo gli accordi presi Pochi giorni prima del 30 aprile, a guerra finita, una avanguardia tedesca viene fatta oggetto di un attacco da parte di un gruppo di partigiani che uccidono sei tedeschi e si allontanano. Dietro sopraggiunge la colonna principale in ritirata che trova i propri compagni uccisi si attesta in Pedescala e comincia a rastrellare i maschi del paese minacciando di ucciderli con la triste consuetudine di 1 a 10 se non si presentano i responsabili della uccisione dei sei tedeschi. Il 30 aprile del 1945 è un Lunedì. Non avendo alcuna risposta la colonna insidiata a Pedescala inizia a sparare uccidendo nei giorni 64 persone. Quindi abbandona la valle proseguendo la ritirata. Parte degli abitanti riescono a fuggire, altri sono allontanati verso il cimitero, verso la Val d’Assa e altri sono uccisi. Tra gli uccisi il parroco, il suo anziano padre, un bambino di 5 anni e interi gruppi familiari. In totale 8 donne e 56 maschi. Nelle vicine frazioni di Forni e Settecà 18 persone sono radunate e uccise. Il 2 maggio 1945 la colonna parte verso nord abbandonando un abitato devastato e incendiato.Le zone di montagna circostanti erano controllate da vari gruppi di partigiani che se da una parte avrebbero desiderato arrecare il maggior danno possibile al nemico, dall'altra ne conoscevano la forza e la propensione alla vendetta.Anche riguardo alle decisioni del CNL sull’atteggiamento da tenere durante la ritirata tedesca vi sono versioni contrastanti.Alcuni autori scrivono che per evitare il più possibile che avvenissero degli scontri e per facilitare il passaggio possibilmente senza vittime, era stato firmato a Vicenza (o meglio forse a Schio) un accordo fra l'esercito tedesco e il CNL (o meglio forse i capi partigiani della zona).Altri invece scrivono che l’ordine era di contrastare la ritirata con sabotaggi di ponti e interventi armati di disturbo.Sui motivi che possono avere scatenato tanta barbarie vengono citati: L’uccisione di sei o sette militari tedeschi avanguardie della colonna (fatto che però sembra sia avvenuto in contrà Valle di Tonezza, quindi in tutt’altra zona ).L’uccisione di due tedeschi ed il ferimento di un terzo, avanguardie della colonna.La vendetta di un alto ufficiale tedesco che era stato catturato dai partigiani, imprigionato proprio in quella zona, che era riuscito a fuggire il 29 aprile e che nella fuga aveva incontrato la colonna che poi attuò il massacro.Su chi abbia sparato sui tedeschi, fatto non provato ma probabile, alcuni autori hanno indicato i partigiani garibaldini, altri gli autonomi ed infine degli isolati assetati di vendetta e gloria.Qualche autore scrive che i partigiani sarebbero riusciti a bloccare il passo ai tedeschi per tre giorni, ma la sproporzione tra il numero e gli armamenti delle due parti rende l’affermazione poco credibile.Nessuna indagine è riuscita a chiarire tutti questi punti.


Nel 1983 il solito Presidente Partigiano con la pipa in bocca, si recò bel bello a Pedescala, per consegnare la solita medaglia, che però venne rifiutata dalla popolazione con la seguente motivazione.« Spararono poi sparirono sui monti, dopo averci aizzato contro la rabbia dei tedeschi, ci lasciarono inermi a subire le conseguenze della loro sconsiderata azione. Per tre giorni non si mossero, guardando le case e le persone bruciare. Con quale coraggio oggi proclamano di aver difeso i nostri cari »