mercoledì, ottobre 28, 2009

LE SPESUCCE DI MARRAZZO

Soldi, tanti soldi. In assegni ma soprattutto in contanti come quelli ripresi nel videotape e poi spariti dall’alcova. Fra strisce di cocaina, costose prestazioni sessuali, i 20mila euro offerti ai ricattatori e le migliaia promesse all’agenzia per riavere indietro il filmino (per non dire delle numerose mazzette da 500 euro viste dall’inviato di Oggi nella versione integrale del filmino hard, ndr), i conti in tasca ai protagonisti del ricatto a luci rosse rischiano di non tornare. Non tornano per Marrazzo. E nemmeno per gli altri protagonisti della querelle a luci rosse: i militari della compagnia Trionfale, in manette a Regina Coeli, che si sarebbero arricchiti con altri ricatti, e i transessuali del palazzo di via Gradoli, interrogati un giorno sì e l’altro pure dagli inquirenti. Non tornano soprattutto per lo stupefacente nell’appartamento. Chi l’ha acquistato? Chi l’ha venduto? Chi l’ha portato nella casa? I diretti interessati si rimpallano le responsabilità, ricorrono allo scaricabarile. Su questo, e su altro, gli inquirenti hanno avviato un diffuso screening patrimoniale. Al setaccio i conti correnti, gli assegni all’incasso, i prelievi al bancomat prima e dopo l’incontro cruciale. Le indagini spaziano in più direzioni. Puntano soprattutto sui carabinieri e sui trans, visto che al momento Marrazzo è parte lesa anche se prossimamente potrebbe esser chiamato di nuovo in procura a dire la sua. Svariati sono gli interrogativi che tengono banco anche sul suo conto. A cominciare dall’enorme disponibilità di denaro nel portafogli che Marrazzo sostiene essergli stato svuotato dai militari disonesti: «Ha pagato 5mila euro in contanti - scrive il gip - per una sola prestazione sessuale». Una cifra importante anche per uno che di mestiere fa il presidente della Regione Lazio e di euro ne guadagna ogni mese 12mila. Può essere che metà dello stipendio sia stato destinato a un unico incontro con il trans Natalie? E se è vero, come sostengono i viados interrogati e intervistati in questi giorni, che Marrazzo sarebbe stato spesso di casa a casa dei trans (due volte a settimana, secondo testimonianze raccolte dalla Stampa), a quanto ammonta la cifra impegnata dall’ex giornalista del Tg2 non solo quest’anno ma anche in passato, visto che il vizietto andrebbe avanti almeno dal 2005 come dimostrato dai detective sotto processo nel Laziogate? E ancora. La difesa del governatore sostiene che di quei 5mila euro solo 3mila erano effettivamente destinati al viados. E gli altri 2mila euro - si chiedono gli inquirenti - a cosa servivano? E perché, per evitare il ricatto, Marrazzo ha staccato tre assegni per 20mila euro a una banda di estorsori che quegli cheque non li ha mai incassati? L’ipotesi che Marrazzo possa aver pagato in contanti i banditi in divisa non ha trovato conferme. Così come al momento non c’è riscontro a quanto riportato in vari reportage sulla comunità trans in via Gradoli, sul governatore che era solito pagare in assegni Natalie intestandoli a un amico di lei e sul trans che era stato addirittura «stipendiato» da Marrazzo. Ecco allora che la notizia di un’interrogazione parlamentare del senatore Domenico Gramazio (Pdl) sulle «alte spese sostenute dal presidente Marrazzo che supererebbero di gran lunga l’appannaggio percepito in qualità di presidente della Regione» ha terremotato gli uffici giudiziari. Poiché nell’atto ispettivo Gramazio chiede di sapere «qual è e a quanto ammonti il fondo “riservato” di cui fa uso il presidente della regione Lazio per i suoi spostamenti e per le spese di rappresentanza dal quale è presumibile che Marrazzo attingesse per il pagamento di sue “esigenze personali” nella qualità di presidente della Regione Lazio». L’interpellanza s’incrocia pericolosamente con la lettura analitica del «tesoro» a disposizione del presidente della giunta regionale del Lazio: alla voce «Upb R13» dedicato al funzionamento della giunta vengono sviscerati più capitoli di spesa. Quello che interessa non solo il senatore Gramazio è il «Cap. R13502» con l’elencazione delle «spese di rappresentanza del presidente di giunta». Per l’anno 2008 lo stanziamento è stato di 500.700,00 euro, con un residuo pari a 342.679,00, il che significa che la somma effettivamente spesa ammonta a 158.071,00 euro. A leggere i bilanci esaminati in queste ore la differenza non utilizzata (342.679,00) va aggiunta allo stanziamento 2009 che è di 400.000,00. Altro capitolo attenzionato è il «R13501», ovvero quello dedicato alle «spese per assicurare lo svolgimento delle attività, il funzionamento e l’operatività delle strutture della presidenza e della vice presidenza della giunta regionale». Ad oggi vanta un residuo di 378.902,19 euro. Di norma ogni spesa dev’essere documentata e giustificata. Il problema è capire se fra quelle spese ce ne siano alcune «personali» spacciate per «istituzionali».
da IL GIORNALE

martedì, ottobre 27, 2009




"Marrazzo? Boh, di vip e uomini politici di tutti i partiti qui ne vediamo di continuo. I trans sudamericani sono molto richiesti", sorridono due vicine casa di "Natalì" in via Gradoli. La caduta del governatore del Lazio, costretto ad autosospendersi per la vicenda di sesso e ricatti in cui è precipitato, è l'argomento del giorno per la comunità delle prostitute transessuali romane. "Non c'entro niente, lasciatemi in pace - implora Brenda, la transessuale con un'ottava di seno e un fisico da corrazziere che secondo Natalì ha incontrato più volte Marrazzo - il governatore lo conoscevo solo alla televisione. L'ho visto venire qui sotto con una Porsche grigia e con una Smart ma non era per me, non so da chi andasse. Non ce la faccio più, mi stanno tutti addosso, questa storia mi sta rovinando la vita". Accanto a lei, sotto un palazzo fatiscente stipato di clandestini in via Due Ponti, c'è "China", un ragazzo che dice di essere il suo compagno da tre anni: quando Brenda e i giornalisti vanno via, China apre un album dei ricordi che se non fosse fantasia sarebbe un incubo, e racconta di foto osé scattate in una vasca idromassaggio che lui avrebbe avuto tra le mani e poi distrutto. China dice che è stata Natalì a incastrare Brenda, che "era invidiosa perché Marrazzo le aveva dato meno soldi di quanti ne desse a Brenda", e dice che ora la sua compagna ha paura perché qualcuno vuole ucciderla: "Le hanno detto che se non se ne sta zitta la fanno fuori", racconta nel salottino di casa. "Vi hanno raccontato qualcosa? Spero di no, è una bella infamia parlare male di un cliente", dice una trans sul lungotevere Flaminio. "Comunque se cerchi quelle con cui andava Marrazzo devi andare lungo la Flaminia". Gisele e Natalia, tirate a lucido con il trucco perfetto, sono appoggiate al muro della stazione dell'Acqua Acetosa ad aspettare clienti. "Il video noi lo abbiamo visto, ce lo ha fatto vedere Brenda. Si vede Marrazzo su un letto insieme a Michelle. Era una cosa loro, capisci? Una cosa privata, una cosa fatta per un gioco erotico". Si danno sulla voce una con l'altra per raccontare i dettagli, e non si contraddicono: "Brenda è mia amica, non è una stronza come dicono quelle che pensano che volesse fregare il presidente: lo hanno fatto per gioco, quel video, ma giovedì quando ha saputo che avevano arrestato quei veri balordi dei carabinieri, gente che ci tartassa e ci rapina continuamente, è corsa qui a farcelo vedere. Era terrorizzata. Ha detto che sarebbe fuggita via lontano".
Luana dice che il governatore "pagava Natalì con assegni, e lei li faceva incassare da un suo amico, un certo Fabio, che in cambio incassava una commissione. Andate a controllare sui suoi conti correnti del governatore". Le amiche di Brenda dicono che "Natalì ve lo può raccontare fin che vuole che i carabinieri non sono andati da lei, ma vi prende in giro. Lei era d'accordo con un tipo che riforniva i trans di cocaina, che a sua volta era in combutta con quei carabinieri che hanno arrestato". Un rovo di accuse incrociate, di odi e piccole ripicche replicate negli anni in un mondo chiuso, quello dei transessuali quasi sempre clandestini. Un mondo in cui, dice Luana toccandosi il naso, il problema è lì, nelle narici. Polvere bianca. Tanta, troppa cocaina. Dice che è per quello che i festini con i trans arrivano a costare così cari, migliaia di euro per una notte di sesso e sniffate. Un piccolo mondo atroce che attira la peggiore umanità, un tombino socchiuso in cui è facile scivolare: "Sesso, rapine, ricatti e cocaina", dice Luana.

lunedì, ottobre 26, 2009

POVERO MARRAZZO



Roma - Impedimento per motivi di salute. Il governatore del Lazio Piero Marrazzo è stato visitato stamani al Policlinico Gemelli di Roma. I medici hanno redatto un certificato, della durata di 30 giorni, che attesta lo stato di "forte stress psicofisico" di Marrazzo. Proprio oggi pomeriggio si è svolta la prima riunione di Giunta dopo lo scandalo che ha coinvolto il governatore. Marrazzo ha rimesso al ministero del Welfare le deleghe che gli spettavano in qualità di commissario della Sanità nel Lazio. Una volta accettate le dimissioni, il ministero dovrà nominare il nuovo commissario che, presumibilmente, sarà l’attuale subcommissario Mario Morlacco.
Giunta del Lazio sotto choc "Il certificato parla di 30 giorni di prognosi. E' stato fatto dal Policlinico Gemelli che è una struttura di un certo livello, che dovrebbe garantire anche Gasparri. Almeno me lo auguro". Così il vicepresidente della Regione Lazio Esterino Montino, in conferenza stampa dopo la giunta straordinaria riunita oggi, in riferimento al certificato medico che giustifica l’impedimento temporaneo del governatore Marrazzo. Per Montino "non ha senso fare tutte queste polemiche per 20 giorni in più o in meno. Se noi fossimo andati ad elezioni nel 2011 avremmo capito, ma siccome si vota a marzo...". Lo choc e il disorientamento provocati dallo scandalo erano tangibili in Regione. Gli assessori, riuniti per ore in assemblea, hanno deciso di delegare tutte le comunicazioni al vice presidente-reggente Esterino Montino, ma i loro volti tesi e le loro bocche cucite parlano chiaro.
Dimissioni di Marrazzo entro novembre "Le dimissioni sono nelle mani di Marrazzo. La Giunta non è in grado di dire quando arriveranno ma non c’è dubbio che non supereranno il mese di novembre", ha spiegatoil vicepresidente della giunta regionale del Lazio al quale è andata la reggenza. La giunta, che si è riunita oggi in seduta straordinaria, "ha preso atto - ha spiegato Montino - delle conclusioni del risultato della visita che Marrazzo ha avuto questa mattina al Policlinico Gemelli da cui è emersa la sua indisponibilità temporanea a svolgere le funzioni per motivi di stress psicofisico perchè quello che è successo lo ha provato fortemente. Il certificato parla di trenta giorni per poter riprendere l’attività". Trenta giorni che, ha proseguito Montino, "serviranno a Marrazzo per decidere quando consegnare le sue dimissioni, che dovrebbero arrivare quindi al massimo entro un mese".
Il Pdl: "No ai sotterfugi" "La sinistra continua a far finta di non capire", hanno dichiarato in una nota congiunta Maurizio Gasparri e Gaetano Quagliariello, capogruppo e vicecapogruppo vicario del Pdl al Senato. "I gruppi parlamentari del Popolo della Libertà - hanno, poi, proseguito - non hanno chiesto le dimissioni del presidente della giunta regionale del Lazio. Abbiamo sempre sostenuto che egli, se ritiene che ne sussistano le condizioni, può e deve andare avanti nel suo mandato. Se invece non ritiene che tali condizioni vi siano, deve dimettersi e consentire lo svolgimento delle elezioni il prima possibile. Non esistono terze vie, né si può ricorrere all’articolo 45 comma 2 dello Statuto della Regione Lazio, che in tal caso verrebbe attivato al solo scopo di rinviare la data delle elezioni, paventando impedimenti temporanei che qualcuno (un medico?) dovrebbe certificare anche in contrasto con l’evidenza dei fatti. Se si perseverasse su questa strada - hanno, infine, concluso Gasparri e Quagliariello - saremmo di fronte a un evidente abuso che non necessita di raffinati giuristi per essere ravvisato e denunciato come tale".


Di Pietro: "Si dimetta" "Marrazzo dovrebbe fare un ulteriore passo indietro: dia le dimissioni al più presto per evitare che la sua auto-sospensione venga interpretata dai cittadini come l’ennesimo papocchio politico". A fare questa richiesta al governatore del Lazio è il leader dell’Idv Antonio Di Pietro. "I tempi perché le elezioni si svolgano insieme a quelle delle altre regioni ci sarebbero tutti - aggiunge il parlamentare - perché la legge consentirebbe ulteriori 45 giorni di tempo per andare alle urne, oltre quello normalmente previsto quando si è in presenza di dimissioni. Quindi non vedo quale sarebbe il problema. Ma senz’altro visto che ha fatto 30 faccia 31 - conclude Di Pietro - e si dimetta. Almeno si darebbe una conclusione chiara a questa vicenda".
Cosa dice la legge Tra poco scatterà l’istituto dell’impedimento temporaneo, breve e motivato, che permetterà di delegare tutti i poteri del presidente della regione Lazio. Poi arriveranno le dimissioni. Dal momento delle dimissioni dovranno passare al massimo 135 giorni in tutto prima di andare alle urne. Infatti ai 90 giorni di tempo per redigere i decreti per l’indizione dei comizi elettorali devono essere aggiunti 45 giorni che sono la condizione necessaria per darne notizia agli elettori con apposito manifesto. Rispettando questa tempistica e ipotizzando dimissioni immediate si arriverebbe al 7 marzo. Questo secondo l’articolo 5 della legge 2 del 2005 che prevede che nel caso di scioglimento del consiglio regionale, per dimissioni del presidente o morte o impedimento permanente, si procede all’indizione di nuove elezioni entro tre mesi. I 45 giorni che decorrono dopo i tre mesi sono disciplinati dall’art. 3 comma 6 della legge 108/68. La data a tutt’oggi proposta dal ministro dell’Interno Roberto Maroni per le elezioni è il 28 marzo, ma deve essere ancora ratificata dal consiglio dei ministri. In ogni caso, "stabilire la data delle elezioni regionali non dipende dal governo - spiega D’Amato -, ma dal presidente della Regione o dal suo vice, così come accadde in Abruzzo ai tempi di Ottaviano Del Turco. E poi le Regioni che hanno un loro statuto, come il Lazio dall’11 novembre 2004, hanno potestà in materia elettorale".
Il gip: "Motivazioni secretate" Il gip del tribunale di Roma, Sante Spinaci, con un provvedimento ha vietato questa mattina la pubblicazione dell’ordinanza con la quale sabato ha convalidato il fermo in carcere dei quattro carabinieri della compagnia Trionfale accusati di aver ricattato il presidente del Lazio, sorpreso e filmato in un appartamento con un transessuale. Il provvedimento del gip è stato emesso in base all’art.114 del codice di procedura penale che vieta la pubblicazione anche parziale di atti coperti dal segreto fino al termine dell’udienza preliminare. Intanto, i difensori dei quattro carabinieri, gli avvocati Mario Griffo e Marina Lo Faro, si preparano a chiedere la scarcerazione dei loro assistiti presentando un ricorso al tribunale del Riesame. Questa mattina i crabinieri del Ros hanno incontrato il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo, capo della procura distrettuale antimafia di Roma, per fare il punto sullo stato delle indagini.

IL VIDEO DI MARRAZZO

Roma - Ad avvisare Piero Marrazzo che circolava un video compromettente proposto alle redazioni di quotidiani, periodici e tv fu Palazzo Chigi, direttamente nella persona di Silvio Berlusconi. A rivelarlo sarebbe stato lo stesso governatore del Lazio nel suo faccia a faccia con gli inquirenti dello scorso 21 ottobre. Una cortesia istituzionale, dettata dalla convinzione espressa dai vertici del governo che questioni riguardanti la sfera privata dovessero restare fuori dalle polemiche politiche, anche se Palazzo Chigi ignorava che Marrazzo era a conoscenza del tentativo di ricatto. Lo stesso Marrazzo, secondo indiscrezioni giudiziarie, a seguito di questo «avviso» si sarebbe immediatamente attivato con l’agenzia fotografica che trattava la cessione del video.
Intanto la maledizione del Pd si abbatte anche sul caso Marrazzo. Dopo il coordinatore del circolo romano «Torrino» arrestato per gli stupri seriali a Cinecittà, dopo i killer del circolo di Castellammare di Stabia del Pd autori dell’omicidio del collega consigliere di partito Tommasino, dopo le tante inchieste che coinvolgono e travolgono esponenti locali e nazionali del partito di Franceschini, ecco l’ennesima beffa: la moglie di uno dei carabinieri arrestati con l’accusa di aver filmato e ricattato il presidente della Regione Lazio è da anni impegnata nello stesso partito di Piero Marrazzo: Maria Rosa Valletti, 34 anni, avvocato, noto consigliere nel comune barese di Adelfia e componente del nucleo di valutazione dell’Asl di Bari, è infatti la consorte del carabiniere Nicola Testini, sospettato di essere il mandante dell’operazione di via Gradoli.
CORRUZIONE E PECULATO: L’INCUBO DEL GOVERNATORE
Parte lesa, e non solo. La posizione del dimissionario governatore rischia di aggravarsi nelle prossime sotto il profilo giudiziario qualora dovessero emergere «distonie» rispetto agli interrogatori dei protagonisti del caso, all’esame dei conti correnti del Presidente e degli indagati, agli accertamenti su chi e come ha portato la droga al festino di via Gradoli, alle telefonate in partenza e/o in arrivo dagli uffici regionali del numero uno dell’ente amministrato dal centrosinistra. Marrazzo rischia seriamente di dover rispondere di peculato, secondo una giurisprudenza ormai consolidata, per l’uso dell’auto di servizio per esigenze non istituzionali. In un secondo momento, a seguito dai controlli patrimoniali in corso sui soldi girati da Marrazzo ai carabinieri (compresi quelli non incassati degli assegni) l’autorità giudiziaria potrebbe anche arrivare a contestare la corruzione visto che Marrazzo avrebbe pagato/corrotto per bloccare la divulgazione del video, puntando così a ottenere un vantaggio da un’azione illecita, seppur commessa da altri. Se avesse denunciato in tempo l’estorsione, oggi il governatore dormirebbe sonni tranquilli sotto il profilo penale.
IL VERBALE: «NIENTE SOLDI, CENA DI PESCE PER IL VIDEO»
Dei quattro arrestati ce n’è uno, il 28enne Antonio Tamburrino, la cui presenza in carcere per il suo legale, Mario Griffo, è «raccapricciante». Tamburrino, accusato di ricettazione perché avrebbe aiutato i suoi tre colleghi a piazzare il video, conoscendo il fotografo Scarfone, nell’interrogatorio di sabato ha messo nero su bianco la sua verità. Il video l’avrebbe girato un trans che si intratteneva con Marrazzo, non i suoi colleghi. Lui l’ha visto due o tre volte, «fugacemente», su un pc portatile. E quando il giudice gli ha chiesto se avesse rotto il cd con il file che aveva in custodia per occultare una prova, è caduto dalle nuvole: «Non volevo che i miei colleghi pensassero che lo conservavo per venderlo, così l’ho rotto». Anche riguardo al biglietto Roma-Milano comprato dall’agenzia Photo Masi a Tamburrino perché portasse nel capoluogo lombardo la copia del video, il gip ha domandato al carabiniere cosa gli sia stato promesso in cambio del viaggio. Lui ha risposto che la stessa agenzia avrebbe detto «forse ti facciamo un regalo». Il magistrato domanda: regalo di che tipo, soldi? Tamburrino replica: «No, io pensavo forse a una cena a base di pesce».
Intanto il suo avvocato oggi presenta ricorso al Riesame contro l’ordinanza che conferma il decreto di fermo per Tamburrini. Griffo rimarca che mentre gli arrestati venivano interrogati, il Ros provvedeva a raccogliere le dichiarazioni dei trans coinvolti. Dichiarazioni importanti per l’indagine. Per l’avvocato «molti aspetti investigativi vanno approfonditi, la ricostruzione fatta non è chiara». A cominciare dalla genesi dell’indagine: «Nel decreto non c’è traccia delle intercettazioni alla base dell’inchiesta. Senza conoscere gli atti, parrebbe che tutto sia nato non da un’altra indagine, ma da una soffiata», conclude il legale.
GMC - MMO
da IL GIORNALE

domenica, ottobre 25, 2009

MARRAZZO da IL GIORNALE

di Massimo Malpica e Patricia Tagliaferri

Roma Era talmente un habitué della comunità trans di Roma nord che ai suoi appuntamenti a luci rosse andava con l’auto blu, sprezzante del pericolo di essere riconosciuto. «Lasciava la macchina di servizio in seconda fila, e i vigili neanche lo multavano, ormai lo sapevano», hanno raccontato ieri Brenda, Natalie e un altro trans, tutti interrogati dai carabinieri del Ros che stanno indagando sull’affaire Marrazzo, rilasciando dichiarazioni spontanee. Altre volte il governatore si faceva lasciare dall’autista ad alcune centinaia di metri e proseguiva a piedi fino al 96 di via Gradoli, nel palazzo dove abita Natalie, il transessuale brasiliano ripreso nel video con cui è stato ricattato il presidente della Regione Lazio. E in quel video ci sarebbe anche un breve fermo immagine dell’auto di servizio del governatore, con la targa ben visibile. Nel condominio sulla Cassia, lo stesso dove 31 anni fa si rifugiarono alcuni br implicati nel sequestro di Aldo Moro e che oggi si è trasformato in una sorta di casa di appuntamenti multietnica, Natalie non si fa vedere da qualche giorno. Ieri però gli investigatori hanno ascoltato un trans con lo stesso nome. Anche lei ha confermato di conoscere bene Marrazzo, ma ha negato di essere la stessa immortalata nel video insieme al presidente della Regione: la casa dove hanno fatto irruzione i carabinieri arrestati con l’accusa di estorsione, dice, non è la sua. I militari del Ros hanno perquisito quell’abitazione e anche lo «studio» di Brenda, in via due Ponti 180, il trans indicato proprio da Natalie come intenzionato a vendere un video compromettente di Marrazzo. E forse i militari qui cercavano proprio quel video. Ma in serata, tornando a casa, «Brendona» ha detto ai cronisti di non aver mai avuto rapporti con Marrazzo: «Si è visto da queste parti, ma io non c’entro. È stato con Natalie, l’ha detto anche lui». Altri trans amici di Brenda avrebbero confermato che Marrazzo era spesso in zona, e giustificato la chiamata in causa di «Brendona» da parte di Natalie «perché Brenda gli levava meno soldi». Al di là delle invidie tra «colleghe», negli uffici del Ros ieri è stato sentito anche un terzo trans, forse proprio l’altra Natalie, quella ripresa nel video. Tutti comunque hanno confermato di conoscere i quattro carabinieri che hanno messo nei guai Marrazzo. Sarebbero stati gli autori di frequenti blitz «mirati», finiti spesso con vessazioni e ricatti. In qualche occasione durante le irruzioni sarebbero spariti soldi e droga. Gli inquirenti stanno cercando di chiarire il ruolo di Natalie - quella giusta - nella vicenda. Non è chiaro se il trans del video sapesse dell’imminente irruzione dei carabinieri né se fosse al corrente del progetto di girare un video per ricattare Marrazzo.
Intanto gli arrestati, interrogati ieri dal gip Sante Spinaci nel carcere di Regina Coeli, hanno respinto ogni accusa, dicendosi loro stessi vittime di un complotto, di una macchinazione ordita da qualcuno più in alto di loro per colpire Marrazzo. Luciano Simeone, 29 anni, Carlo Tagliente, 30 anni, e Nicola Testini, 37 anni, hanno ribadito al giudice di essere militari «al di sopra di ogni sospetto», odiati da tossici e trans della zona nord di Roma per le loro capacità investigative. Il trans ripreso nel video, in particolare, ce l’avrebbe a morte con uno di loro. Insomma, loro sarebbero solo capri espiatori da sacrificare sull’altare di una non meglio precisata strategia per delegittimare il presidente della giunta regionale. Il quarto carabiniere, il maresciallo Antonio Tamburrino, 28 anni, accusato della ricettazione del video, ha cercato di smarcarsi dagli altri, sostenendo di non essere nemmeno sicuro che quello ripreso nel video fosse Marrazzo. Il gip però non ha creduto a nessuno dei quattro. E ha convalidato il fermo emesso tre sere fa, lasciando i carabinieri presunti ricattatori in cella a Regina Coeli. Secondo il giudice per le indagini preliminari, infatti, sussistono pericolo di fuga, inquinamento probatorio e pericolo di reiterazione del reato.

domenica, ottobre 11, 2009

CHE GUEVARA: VEDIAMO CHI ERA VERAMENTE


La storia dovrebbe essere oggettiva, ma in realtà alcuni aspetti vengono da sempre distorti e adattati alle convinzioni ideologiche di chi li tratta. In un paese che si definisce antifascista (ma non evidentemente anticomunista...) certi aspetti "scomodi" del Comunismo sono da sempre ignorati. La Storia ne è piena: i massacri delle Foibe, i massacri dei 20.000 soldati italiani nei Gulag Sovietici su ordine di Togliatti, ecc...La storia di Ernesto Guevara rappresenta forse il più grande falso storico mai verificatosi. Tutti conoscono la storia "ufficiale" del Che. Chi non ha mai sentito parlare del "poeta rivoluzionario?" Del "medico idealista"? Ma chi conosce le reali gesta di questo "eroe"?
Da tempo immemore il volto leonino di Ernesto “Che” Guevara compare su magliette e gadgets, in ossequio all’anticonsumismo rivoluzionario. La fortuna di quest’eroe della revoluçion comunista è dovuto a due coincidenze: 1) – “Gli eroi son sempre giovani e belli” (La locomotiva – F. Guccini); come ironizzò un dirigente del PCI nel ’69, se fosse morto a sessant’anni e fosse stato bruttarello di certo non avrebbe conquistato le benestanti masse occidentali di quei figli di papà “marxisti immaginari”. 2) – l’ignoranza degli estimatori di ieri e di oggi. Il “Che”, infatti, viene associato a tutto quanto fa spettacolo nel grande circo della sinistra: dal pacifismo antiamericano alle canzoni troglodite di Jovanotti «sogno un’unica chiesa che va da Che Guevara a Madre Teresa».
Meglio allora fare un po’ di chiarezza sulla realtà del personaggio: Ernesto Guevara De la Serna detto il “Che” nasce nel 1928 da una buona famiglia di Buenos Aires. Agli inizi degli anni 50 si laurea in medicina e intanto con la sua motocicletta gira in lungo e in largo l’America Latina. In Guatemala viene in contatto con il dittatore Jacobo Arbenz, un approfittatore filosovietico che mantiene la popolazione in condizioni di fame e miseria, ma che gira in Cadillac e abita in palazzotti coloniali. A causa dei forti interessi economici degli Usa in Guatemala, viene inviato un contingente mercenario comandato da Castillo Armas a rovesciare il dittatore. Il “Che”, anziché sacrificarsi a difesa del “compagno”, scappa e si rifugia nell’ambasciata argentina; di qui ripara in Messico dove, in una notte del 1955, incontra un giovane avvocato cubano in esilio che si prepara a rientrare a Cuba: Fidel Castro. Subito entrano in sintonia condividendo gli ideali, il culto dei “guerriglieri” e la volontà di espropriare il dittatore Batista del territorio cubano. Sbarcato clandestinamente a Cuba con Fidel, nel 1956 si autonomina comandante di una colonna di “barbudos” e si fa subito notare per la sua crudeltà e determinazione. Un ragazzo non ancora ventenne della sua unità combattente ruba un pezzo di pane ad un compagno. Senza processo, Guevara lo fa legare ad un palo e fucilare. Castro sfrutta al massimo i nuovi mezzi di comunicazione e, pur a capo di pochi e male armati miliziani, viene innalzato agli onori dei Tg e costruisce la sua fama.
Dopo due anni di scaramucce per le foreste cubane, nel ’58 l’unità del “Che” riporta la prima vittoria su Batista. A Santa Clara un treno carico d’armi viene intercettato e cinquanta soldati vengono fatti prigionieri. In seguito a ciò Battista fugge e lascia l’Avana sguarnita e senza ordini. Castro fa la sua entrata trionfale nella capitale accolto dalla popolazione festante. Una volta rovesciato il governo di Batista, il Che vorrebbe imporre da subito una rivoluzione comunista, ma finisce con lo scontrarsi con alcuni suoi compagni d'armi autenticamente democratici. Guevara viene nominato “procuratore” della prigione della Cabana ed è lui a decidere le domande di grazia.
Sotto il suo controllo, l’ufficio in cui esercita diventa teatro di torture e omicidi tra i più efferati. Secondo alcune stime, sarebbero stati uccise oltre 20.000 persone, per lo più ex compagni d’armi che si rifiutavano di obbedire e di piegare il capo ad una dittatura peggiore della precedente.
Nel 1960 il “pacifista” GUEVARA, istituisce un campo di concentramento ("campo di lavoro") sulla penisola di Guanaha, dove trovano la morte oltre 50.000 persone colpevoli di dissentire dal castrismo. Ma non sarà il solo lager, altri ne sorgono in rapida successione: a Santiago di Las Vegas viene istituito il campo Arca Iris, nel sud est dell’isola sorge il campo Nueva Vida, nella zona di Palos si istituisce il Campo Capitolo, un campo speciale per i bambini sotto i 10 anni. I dissidenti vengono arrestati insieme a tutta la famiglia. La maggior parte degli internati viene lasciata con indosso le sole mutande in celle luride, in attesa di tortura e probabile fucilazione.
Guevara viene quindi nominato Ministro dell’Industria e presidente del Banco Nacional, la Banca centrale di Cuba. Mentre si riempie la bocca di belle parole, Guevara sceglie di abitare in una grande e lussuosa casa colonica in un quartiere residenziale dell’Avana. E' facile chiedere al popolo di fare sacrifici quando lui per primo non li fa: pratica sport borghesissimi, ma la vita comoda e l’ozio ammorbidiscono il guerrigliero, che mette su qualche chilo e passa il tempo tra parties e gare di tiro a volo, non disdegnando la caccia grossa e la pesca d’altura. Per capire quali "buoni" sentimenti animassero questo simbolo con cui fregiare magliette e bandiere basta citare il suo testamento, nel quale elogia «l’odio che rende l’uomo una efficace, violenta, selettiva e fredda macchina per uccidere». Sono queste le parole di un idealista? Di un amico del popolo? Se si, quale popolo? Solo quello che era d'accordo con lui?
Guevara si dimostra una sciagura come ministro e come economista e, sostituito da Castro, viene da questi “giubilato” come ambasciatore della rivoluzione. Nella nuova veste di vessillifero del comunismo terzomondista lancia il motto «Creare due, tre, mille Vietnam!». Nel 1963 è in Algeria dove aiuta un suo amico ed allievo, lo sterminatore Desirè Kabila (attuale dittatore del Congo) a compiere massacri di civili inermi! Il suo continuo desiderio di diffusione della lotta armata e un tranello di Castro lo portano nel 1967 in Bolivia, dove si allea col Partito comunista boliviano ma non riceve alcun appoggio da parte della popolazione locale. Isolato e braccato, Ernesto De La Serna viene catturato dai miliziani locali e giustiziato il 9 ottobre 1967.
Il suo corpo esposto diviene un’icona qui da noi e le crude immagini dell’obitorio vengono paragonate alla “deposizione di Cristo”. Fra il sacro e il profano la celebre foto del “Che” ha accompagnato un paio di generazioni che hanno appeso il suo poster a fianco di quello di Marylin Monroe. Poiché la madre degli imbecilli è sempre incinta, ancora oggi sventola la bandiera con la sua effige e i ragazzini indossano la maglietta nel corso di manifestazioni “contro la guerra”. Come si fa a prendere come esempio una persona così? Possibile che ci siano migliaia di persone (probabilmente inconsapevoli della verità) che sfoggiano magliette con il suo volto? In quelle bandiere e magliette c'è una sola cosa corretta: il colore. Rosso, come il sangue che per colpa sua è stato sparso.
In un film di qualche anno fa Sfida a White Buffalo, il bianco chiede al pellerossa: «Vuoi sapere la verità rossa oppure la verità vera?». Lasciamo a Gianni Minà la verità rossa, noi preferiamo conoscere la verità vera.

lunedì, ottobre 05, 2009

ANGELA MARIA BIAMONTI


ANGIOLA MARIA BIAMONTI, 23 ANNI, trucidata dai valorosi partigiani comunisti, assieme ai suoi genitori e alla domestica.Ecco la giustizia egalitaria dei comunisti: il piombo non si nega a nessuno, ricchi e poveri.