lunedì, febbraio 14, 2011

IL MARTIRIO DI DUE POVERE FANCIULLE: ANCHE QUESTA FU RESISTENZA??


Il martirio di Giovannina Innocenti e Assunta Pierina Ivaldi Assassinate a Pian Castagna , Ponzone Ponzone , in dialetto Piemontese Ponson, è un piccolissimo comune al confine tra la provincia di Savona e di Alessandria, conta circa un migliaio di anime, e’ composto da alcune frazioni disposte lungo la provinciale : Pianlago, Caldasio, Chiappino, Cimaferle, Toleto, Abasse, Piancastagna e Moretti di Ponzone.

La zona è collinare, con dei bellissimi scorci paesaggistici. La popolazione ha avuto, da sempre la cultura caratteristica di questi luoghi: caccia, castagne e funghi e niente altro. Nel corso della resistenza, la zona divenne strategica per le formazioni partigiane comuniste, che effettuavano attacchi alle truppe della Repubblica Sociale Italiana acquartierate nel Sassellese e poi ripiegavano sulle colline attorno a Ponzone.

Dopo il 25 aprile anche in questi posti si consumarono delle atrocità, con la solita giustificazione. La Brigata partigiana che operava in zona, apparteneva alle formazioni Garibaldine, ed era la Brigata “Emilio Vecchia”, precedentemente nominata “Cristoforo Astengo”, il capo era tale Vanni Giovanni Battista e il Commissario Politico era Cavallero Augusto. I contadini della zona, in particolare quelli che abitavano i casolari più isolati , mal sopportavano la presenza e i movimenti delle bande partigiane, visto che spesso avvenivano, da parte di questi, requisizioni di animali da cortile o di derrate alimentari, questi generi alimentari erano importantissimi per le famiglie dei contadini, spesso formata da due adulti e alcuni adolescenti, la cui sopravvivenza era legata, soprattutto nei mesi invernali, agli animali da cortile, galline e pecore e alle poche piante che riuscivano a coltivare : un chilo di patate era una piccola ricchezza.

D’altra parte in quelle zone rurali, i partigiani comunisti imponevano il loro volere con la forza delle armi, opporsi alle requisizioni di derrate, sarebbe stato molto pericoloso. In questo contesto, due giovani donne, Giovannina Innocenti di anni 31, sposata e madre di tre figli, e Pierina assunta Ivaldi di anni 29, nubile di professione sarta, abitanti con le loro famiglie a Pian Castagna , case Viazzi, vengono prese di mira dai partigiani rossi che nel pomeriggio del 6 aprile 1945, si recano presso le loro abitazioni e sotto la minaccia delle armi, tagliano loro i capelli , come vecchio e collaudato sfregio per una donna accusata di essere una spia al servizio dei fascisti, si trattava ovviamente della solita ed abusata falsa accusa.

La cosa, purtroppo, non finisce lì, infatti la sera stessa, del 6 aprile 1945, alle 21, i partigiani ritornano, sfondano la porta dei poveri casolari di campagna e “prelevano” le due giovani donne , senza che i loro parenti possano opporre resistenza, in Spagna nella guerra civil questo tipo di prelevamento era noto come “sacas” I congiunti delle due donne vedranno per l’ultima volta in vita Giovanna e Assunta. Le donne vengono trascinate, per alcuni chilometri, in direzione di La Carta, frazione di Palo, in un accampamento della brigata Partigiana, situato in una vecchia casa abbandonata in zona denominata “In Cravin”, in un avvallamento chiamato Valle Scura. In questo sito, lontano dalle strade percorse dai contadini , si eseguivano le esecuzioni sommarie, a decine ogni settimana.

I contadini di Ponzone e delle frazioni, all’imbrunire sentivano le raffiche dei mitra partigiani spezzare il silenzio della sera: ogni raffica era un morto che si andava ad aggiungere ad altri. Le due ragazze verranno assassinate come quelli che li hanno preceduti, in più dovranno subire abusi sessuali da parte di ventisette criminali che si daranno il cambio nella loro azione scellerata, sino al giorno successivo. Quindi i loro poveri corpi saranno seppelliti sotto un leggero strato di terra, nel bosco, in posti separati. Il marito della Giovanna e il padre della Assunta Pierina, si fanno aiutare da altri amici e parenti, riescono a trovare i cadaveri e danno loro cristiana sepoltura presso il Camposanto di Ponzone. Ora le due povere ragazze si trovano nell’ossario del cimitero.

I Carabinieri della Stazione di Ponzone, dopo qualche tempo, si muovono e indagano , per omicidio premeditato, su due personaggi: Vanni Giovanni Battista e Cavallero Augusto, che guidano il distaccamento partigiano locale. Questi affermano agli inquirenti, nel 1949, di aver dovuto giustiziare le due povere donne, in quanto a loro dire, erano spie fasciste, e di dicono pronti a fornire le prove di questa loro affermazione, dimenticando che spesso le famiglie delle due donne nascondevano in casa partigiani sfuggiti ai rastrellamenti fascisti. Ovviamente anche in questo caso arriva, con tempismo, la comunicazione ufficiale del Comando di Brigata e del CNL , addirittura di un processo “celebrato” dal tribunale partigiano alle due donne, si produce un breve verbale che dimostra la prassi seguita, si fanno i nomi dei componenti, tutti partigiani rossi, della corte di “giustizia” partigiana che avrebbe giudicato le due povere donne e che avrebbe emesso la “sentenza” di morte a mezzo fucilazione alla schiena. Per meglio sgravarsi dalla responsabilità di aver massacrato le due donne, diranno anche che ad ucciderle furono dei partigiani di nazionalità russa.

Per la cronaca il Presidente della “ alta corte di giustizia” è lo stesso Vanni e il Vice Presidente è Cavallero, giudici e boia allo stesso tempo in malvagia quadratura del cerchio. Nessuno di loro sconterà un solo giorno di galera. Ho incontrato i parenti delle due donne e non hanno dimenticato cio’ che accadde a Giovanna e Assunta Pierina, in particolare , il fratello della Assunta Pierina ,all’epoca aveva 16 anni, ora ne ha una ottantina, e ricorda con precisione l’odio e la follia di questi partigiani che si ergevano a giudici supremi di vita e di morte. Una foto incorniciata e’ appesa al muro, in essa si vede Assunta Pierina, un viso bellissimo di una donna che ha sofferto uno strazio indicibile pur essendo come la sua amica, Giovanna, innocente da ogni colpa. Nella piazza del Comune di Ponzone, un piccolo obelisco riporta i nomi dei caduti nei vari conflitti, nella riga più in basso sotto la qualifica “Vittime Civili” si leggono i nomi delle due povere ragazze: solo una ipocrisia in più.


Roberto Nicolick

2 commenti:

  1. Naturalmente saranno stati graziati dall'amnistia di Togliatti e magari anche insigniti di quache medaglia al merito....fatti che chiedono vendetta ma bisognerebbe essere delinquenti come loro!

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Cesare B Cairo Montenotte 13 agosto 1987 Questo omicidio non ebbe risonanza mediatica solo nella provincia di Savona ma anche a livello nazionale e non solo. Con questo delitto dai risvolti intricati, il piccolo centro della Valle Bormida assurse alla ribalta delle cronache nazionali. Fu una vicenda contorta e ingarbugliata, con chiari e scuri, con frequenti colpi di scena, dove tutto quello che sembrava come tale , in realtà non era come appariva, era come un teatrino in cui entravano ed uscivano attori sempre diversi con ruoli criptici. Una storia di sangue, di soldi e ovviamente di sesso, che coinvolse l’opinione pubblica con tutti i suoi numerosi protagonisti, offrendo all’occhio impietoso della gente una immagine, purtroppo veritiera, della piccola provincia, delle ipocrisie che nascono tuttora all’ombra dei campanili, delle storie extraconiugali che venivano nascoste ma che prosperavano e che si protraevano nel tempo spesso con un doloroso epilogo. Da questa vicenda si fece pure un film noir con Monica Guerritore come protagonista. Per una dei protagonisti della vicenda, forse la principale, si coniò un soprannome: la mantide di Cairo Montenotte, facendo riferimento all’abitudine dell’omonimo insetto femmina che uccide il partner maschio dopo il rapporto sessuale. Le vite di molte persone, coinvolte a vario titolo nelle indagini, furono rivoltate come calzini, molti particolari, soprattutto, intimi vennero messi in piazza e non solo nelle aule di tribunali. Ancora oggi, nonostante la conclusione giudiziaria con una colpevole condannata in via definitiva, molti dubbi sussistono , soprattutto nella gente del posto che conosceva benissimo i protagonisti della vicenda. La storia ebbe inizio con una improvvisa scomparsa di un uomo, Cesare B, classe 1931, noto personaggio e notabile della Valle Bormida, consigliere comunale di Cairo Montenotte, facoltoso farmacista, con la passione prima per l’equitazione e poi per il calcio. Egli è il patron della squadra calcistica locale, la Cairese, che segue con grande passione e che sponsorizza a livello economico dando la possibilità alla squadra di effettuare trasferte e di avere giocatori di spicco. Come tutti gli uomini , Cesare B, nonostante fosse sposato e quindi tenesse famiglia, amava frequentare le donne, quelle belle. Egli conosce e inizia a frequentare una donna , Gigliola G, molto graziosa , di corporatura minuta, con una caschetto di capelli biondo, grazie al suo fascino magnetico, lei sapeva affascinare e sedurre gli uomini nella loro fantasia. Di professione fa la gallerista, esponeva e vendeva quadri, nel centro di Cairo. Tuttavia la donna era nata professionalmente come infermiera, aveva anche svolto la professione sanitaria in un orfanotrofio e quindi in una fabbrica a sempre Savona , la Magrini, in quel contesto lavorativo si era sposata con un metronotte da cui ha 2 figli. In seguito contrarrà altri due matrimoni, avrà un’altra figlia, e avvierà altre relazioni . Fra l’altro la donna in prima istanza si chiamava Anna Maria, mutato successivamente nell’attuale Gigliola. Fra Cesare e Gigliola, nasce una relazione amorosa che si protrae, Cesare provvede a tutte le necessità economiche della donna, paga senza fare domande per tutto quello che gli viene chiesto. I pettegolezzi su questa relazione si sprecano considerando anche il fatto che cesare è un uomo molto conosciuto e stimato e che entrambi vivono in un paese dove la gente "mormora". Dunque il 12 agosto del 1987 , il farmacista scompare senza lasciare traccia. Da qui si sviluppa una storia complicatissima, il suo corpo in parte carbonizzato viene trovato sul monte Ciuto, una altura nelle adiacenze di Savona. Effettuato il riconoscimento grazie ad un portachiavi metallico che riporta il simbolo dell'ordine dei farmacisti, alle protesi dentali e alle lenti degli occhiali. Brin era di corporatura massiccia, per ucciderlo, trasportarlo sino a quel sito ci sono volute sicuramente più di una persona. La prima indiziata è la sua amica, Gigliola G, la quale sostiene che responsabili dell’omicidio e poi dell’occultamento furono due personaggi provenienti da Torino con cui l’uomo aveva delle pendenze economiche in corso. Secondo la sua versione nacque una colluttazione tra i due e il farmacista ne uscì pesto e sanguinante, quindi i due aggressori trascinarono via l’uomo. La donna non portò elementi oggettivi a sostegno della sua tesi e quindi venne arrestata e rinviata a giudizio. Un minuscolo frammento di teca cranica venne trovato sulle scale della casa della gallerista e alcune macchie di sangue erano sui muri della camera da letto della casa della Gigliola, dove in effetti viveva di fatto anche il Brin. Secondo gli inquirenti la responsabile principale dell’omicidio fu proprio lei che in concorso con il suo convivente, Ettore G, uccise con un corpo contundente sul capo, un martello o un altro soprammobile, l’uomo nella notte fra il 12 e il 13 di agosto dell’87 mentre egli era disteso inerme nel letto, infatti i fendenti sono chiaramente dall’alto verso il basso, il delitto è avvenuto d’impeto come risultato di tutta una serie di contrasti anche su questioni a carattere economico, che sarebbero alla lunga sfociati in una separazione, forse l’uomo aveva in progetto di tornare dalla propria famiglia e in questo caso veniva a mancare per la gallerista una fonte di reddito. Pare anche che il farmacista avesse rifiutato un prestito di un centinaio di milioni alla donna, richiesti da lei con insistenza. Inoltre sempre secondo le indagini c’era un gruppetto di quattro persone che aiutarono concretamente la coppia a trasportare e occultare il cadavere sino al monte Ciuto, cosa che la donna da sola non poteva oggettivamente fare, il quartetto era formato da un funzionario di polizia in pensione, un politico locale, un artigiano e un collaboratore della vittima, tutti questi verranno riconosciuti colpevoli e condannati a pene minori. Vi furono tre gradi di giudizio e nell’ultimo, presso la suprema corte di Cassazione, venne confermata la condanna a 26 anni per la donna a suo marito 15 anni, mentre agli imputati minori , quattro uomini, vennero date pene minori.