Eccidi di famiglie intere
La famiglia Navone di Leca
di Albenga
Era una prassi scellerata
quella di eliminare completamente, giustiziandoli sommariamente,
interi nuclei famigliari che a discrezione dei partigiani, fossero
giudicati collaborazionisti dei Repubblichini, la stessa cosa se il
nucleo avesse un orientamento politico fascista.
A Savona fu sterminata la
famiglia Turchi in località Ciatti, a Natarella, sempre Savona,
scomparve la famiglia Biamonti domestica compresa e ad Albenga, fu
massacrata in modo plateale la famiglia Navone, formata da ben otto
elementi, in Leca di Albenga una frazione di Albenga.
Fu un fatto orrendo di
cui oggi , come allora, non si parla assolutamente, preferendo
focalizzare l'attenzione sugli eccidi commessi dai Nazi fascisti alla
foce del Centa, alle cui vittime deve essere portato rispetto e ne
deve essere alimentato il ricordo, senza tuttavia dimenticare le
altre vittime dell'odio e della intolleranza.
La famiglia Navone era
composta dal capofamiglia Giovanni, nativo di Villanova ma residente
a Leca, una frazione adiacente alla cittadina Ingauna. Egli era uno
squadrista convinto, aveva partecipato alla nascita del fascismo in
Liguria e in seguito aveva aderito alla Repubblica Sociale ,
sessantacinquenne, era un tipo deciso, aveva un curioso soprannome,
“pipetta”, poi c'era la moglie Maria Danielli, una casalinga
tutta dedita alle faccende domestiche, di 56 anni, c'erano ben
quattro figlie, Rosa, Bice, Rita e Irene , rispettivamente di 36,
35, 28 e 20 anni, e un figlio sedicenne Leo, colpevole di non si sa
cosa, forse solo del fatto di appartenere ad una famiglia con
spiccate simpatie Repubblichine.
In quei giorni, era
presente al momento dell'eccidio anche una nuora di Giovanni Navone,
Gina Fanucci di 31 anni, anch'essa venne accomunata nella
carneficina dei Navone, la sua colpa quella di aver sposato un figlio
di Giovanni, Elso, deceduto qualche tempo prima in un incidente
all'interno di una caserma di Albenga dove prestava servizio nella
Guardia Nazionale Repubblicana.
Questa strage, che nulla
aveva a che fare con la Liberazione, fu accreditata ufficialmente
come opera di ignoti. Albenga dal 1943, era un crocevia di violenze,
personaggi con la divisa della gendarmeria Tedesca, ma che Tedeschi
non erano, imperversavano sulla popolazione civile che ne era
terrorizzata.
All'indomani del 25
aprile 1945 iniziarono le vendette che secondo un teorema morale
avrebbero dovuto riscattare da 20 anni di oppressione e violenze
fasciste. In realtà ai vecchi dominatori si erano sostituiti, almeno
temporaneamente, altri soggetti dal mitra facile che volevano lavare
il sangue con altro sangue.
Qualcuno addebitava a
Giovanni Navone una attività di delazione, nello specifico a danno
della fidanzata di un noto capo partigiano. La povera ragazza,
arrestata dai nazisti subì delle sevizie e morì in seguito a queste
torture.
Il capo partigiano,
colpito negli affetti, colmo di odio vendicativo, si presentò la
sera del 26 aprile 1945 probabilmente non da solo, alla porta della
famiglia Navone, imbracciava un pesante fucile mitragliatore, forse
un MP40 tedesco, con cui spesso si faceva fotografare mentre lo
imbracciava, oppure un Thompson di fabbricazione Americana e senza
andare tanto per il sottile, iniziò a sparare nel mucchio,
freddamente e metodicamente, passando implacabile, da un bersaglio
all'altro e scavalcando i corpi dei morti, subito freddò la moglie
di Pipetta che gli aprì l'uscio, poi inseguì le ragazze che urlando
di terrore cercavano di sfuggire alle raffiche, qualcuna cercò di
nascondersi sotto il tavolo ma fu colpita anche lei ugualmente.
Inseguì le sue vittime nelle camere da letto e le abbatté, quindi
si trovò di fronte il capofamiglia e il ragazzino, Leo e con una
lunga raffica, pressoché ininterrotta ammazzò anch'essi e per
ultima freddò la nuora di Giovanni che si era rincantucciata
tremante in un angolo.
In quella casa c'era
anche un piccolo animale domestico, che venne ucciso anch'esso,
forse per qualche pallottola vagante, oppure perchè c'era la volontà
di annullare tutto di quella famiglia, dimostrando l'odio assoluto e
la totale mancanza di sentimenti umani sfogando il proprio rancore su
delle donne e su un adolescente e persino su un gatto.
Presumo che le sue
vittime, implorarono pietà, mentre le mitragliava, ma lui non la
concesse, mettendosi sullo stesso piano dei boia che avevano
torturato e ucciso la sua fidanzata. Voleva solo vendicarsi, ed era
arrivato a compiere quella strage senza nessuna indagine, basandosi
solo su voci di paese, senza contare che se effettivamente ci fosse
stata una spia nella famiglia Navone, non tutta la famiglia comunque
doveva essere sterminata ma solo il responsabile.
Quando l'assassino si
allontanò dal teatro dell'eccidio, lasciò dietro di sé una scena
da film dell'orrore : sangue ovunque, sui muri, sul pavimento e sui
mobili, corpi quasi smembrati dal calibro da guerra del fucile
mitragliatore, odore pungente di cordite e tanta devastazione.
Quell'uomo che senza
esitazione, sparse tanto sangue, senza chiedersi se fosse innocente,
in seguito, fu insignito della medaglia d'argento al Valore Militare,
non credo e spero non per questo episodio che ha solo del criminale.
Intervistato in una
trasmissione televisiva degli anni 90 , ammise con freddezza “
qualcuno l'ho tolto di mezzo” , chissà se faceva riferimento alla
famiglia Navone che massacrò senza pietà ? Come tanti altri
partigiani, egli aveva un soprannome, che era tutto un programma :
cimitero, nomen omen.
In seguito sparì dalle
cronache e non fu più argomento di conversazione, invece i cadaveri
con cui lui riempì i cimiteri, si.
Roberto Nicolick
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