Il calesse del terrore
Valle Tanaro
1943 -1945
Non solo nei grandi
centri abitati, imperversava il terrore, ma anche nelle zone alpine
accadevano dei soprusi e degli omicidi. Le zone dove noi Liguri siamo
abituati ad andare in ferie, il basso Piemonte, furono teatro dal 43
al 45 di azioni di vero e proprio brigantaggio.
Ezio Bovero, Carlo
Camilla, Giuseppe Ruffino, Francesco Dante, Battaglieri, Cozzo,
sedicenti partigiani operanti nella Valle Tanaro nel 1943 -45, erano
infatti tristemente famosi nella zona del Cebano e della Valle
Tanaro, giravano armati su di un calesse trainato da un cavallo. Il
veicolo su cui viaggiavano era soprannominato dai contadini della
zona, il calessino della morte, per dei motivi validissimi, connessi
alle esecuzioni sommarie di tanta brava gente, che nulla avevano a
che fare con il Fascismo, e i principali esecutori, Bovero, Camilla e
Dante erano noti come il terzetto del terrore.
Mentre le formazioni
partigiane Mauri erano in montagna per sfuggire ai rastrellamenti
dei Nazi fascisti, questi dormivano nei loro letti, al caldo delle
loro case, da cui partivano per effettuare ruberie, spoliazioni ed
esecuzioni sommarie a Bagnasco, Ceva, Mombasiglio. Era una vera e
propria banda armata, senza scrupoli che ben poco aveva a che fare
con la resistenza .
Secondo il Maresciallo
dei Carabinieri di Bagnasco, Ascione che indagò sulla banda
autodenominatasi della stella rossa, questi soggetti, erano stati un
tempo alle dipendenze e soprattutto alla scuola di un sedicente
ufficiale partigiano, Dino Mora, il quale forniva le indicazioni
strategiche su come agire nel territorio.
Mora , come i suoi
compagni di violenze, provenivano da una formazione Mauri, quindi da
un gruppo non comunista, in seguito compresa la situazione di
impunità in cui si trovavano ad agire e la assoluta mancanza di
leggi, decisero di mettersi in proprio e si staccarono dalle
formazioni Mauri.
Dino Mora, accusato di
aver compiuto diversi omicidi ingiustificati, per esempio quello di
un ingegnere civile Fulvio Albesano, di un militare Tedesco che si
era arreso anche e di violenza carnale ai danni di una povera
contadina, fu arrestato e condannato alla pena capitale, poi eseguita
mediante fucilazione.
Morto Mora, i suoi
compagni, non si fermarono anzi continuarono ad imperversare nella
Valle Tanaro imponendo la loro legge.
Per meglio marcare la
loro diversità dai Mauri e per darsi una identificazione politica,
si erano cuciti una stella rossa sulle uniformi.
Un'altra vittima della
banda fu il Segretario Comunale di Bagnasco, Berruti, in tale
occasione gli assassini affermarono che le esecuzioni erano decise da
loro in piena autonomia e che quando c'era da eseguirle non era
necessario alcun ordine da nessuno.
In tale occasione il
povero Oreste Berruti fu ucciso mentre era in ginocchio,
terrorizzato, che pregava con un rosario tra le mani giunte. Dopo che
fu ucciso qualcuno dei tre assassini gli tolse il portafoglio dalla
tasca posteriore dei pantaloni, il tutto davanti alla moglie della
vittima che dovette assistere alla morte del marito.
Berruti non era
assolutamente un fascista anzi, aveva sempre aiutato i patrioti,
quelli veri, e per questa sua esposizione era anche stato arrestato
dai Tedeschi, ma nonostante questo non ci fu nulla da fare, fu
assassinato dal terzetto del terrore.
Un'altro episodio
efferato di questi briganti con la stella rossa, fu l'omicidio della
Maestra Cristina Barberis e del tentato omicidio del figlio di lei,
Attilio che riuscì a fuggire benchè ferito dalle pallottole che
Bovero e Camilla gli spararono addosso.
Il 27 aprile del 1945,
ancora la squadra capitanata dai tre, arrestò e ammazzò senza pietà
Carlo Boschetti, unicamente perchè indossava la divisa da marinaio.
Quando fu preso egli affermò che si stava recando da una formazione
partigiana a consegnarsi.
Anche un Carabiniere,
certo Del Buono, non sfuggì alla morte, perchè secondo i tre, egli
manifestava odio per i partigiani ed aveva simpatie per i fascisti,
in realtà il povero carabiniere si era congedato dall'arma per non
essere inglobato nelle Brigate Nere. Dopo le esecuzioni sommarie i
banditi dicevano ai parenti delle vittime, che loro applicavano “la
legge del mitra”.
Questo gruppo aveva
potere di vita o di morte su tutti in quella zona. Si erano anche
procurati una lista di proscrizione in cui c'erano i notabili e i
benestanti della zona da taglieggiare. Nel marzo del 49, la giustizia
fece il suo corso e i criminali furono rinviati a giudizio e
processati presso la Corte di Assise di Novara.
Durante il processo fu
ascoltato lo stesso Comandante Mauri il quale espresse l'opinione
della esistenza di una regia esterna, che indirizzasse le azioni
degli imputati. Anche i parenti delle numerose vittime accertate si
presentarono come parte civile per fare valere le loro ragioni.
Il Pubblico Ministero
chiese per i principali imputati trenta anni a testa , più diverse
somme alle parti civili. Il 30 marzo 1949, dopo sei ore di camera di
consiglio, il Tribunale di Novara riconobbe Ezio Bovero e Carlo
Camilla colpevoli di omicidio continuato aggravato, con le attenuanti
generiche, e li condannò a venticinque anni di reclusione, Dante per
concorso in omicidio a nove anni e sei mesi, Giuseppe Ruffino a
cinque anni per rapina, Fortunato Cozzo e Francesco Battaglieri a
due anni per furto. Condannava inoltre gli imputati a versare alle
parti lese delle somma da ottanta mila a duecentoquarantamila lire.
Purtroppo le sentenze di
condanna parvero sin troppo lievi di fronte al clima di terrore che
essi avevano imposto e mantenuto oltre a tutte le vite che erano
state ingiustamente spezzate da questa banda che aveva agito troppo
tempo indisturbata.
Roberto Nicolick
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