mercoledì, ottobre 26, 2016

la strage dei 121 carabinieri reali a Fushe Gura


La strage dei 121 Carabinieri Reali a Fusche Gurra ( Albania )
16 /18 novembre 1943


Fusche Gurra in lingua Albanese significa Altopiano o pianura con l'acqua, in effetti è una grande radura, il cui terreno è impregnato di acqua, a circa 1000 metri di altezza, circondata da boschi fitti e selvaggi e attraversata da un torrente che impetuosamente scende a valle, in questo luogo, a novembre 1943, si consumò un orrendo crimine di massa, assurdo e senza ragioni. Fusche Gurra si trova sull'altipiano di Cermenike,
Più di cento Carabinieri, 121 o secondo alcune versioni 129 , compresi i loro ufficiali e il loro comandante, vennero massacrati da partigiani comunisti Albanesi in questo sito, dopo un calvario di brutalità e di sevizie, probabilmente in due momenti diversi.
L'ufficiale in comando dei carabinieri era il Colonnello Giulio Gamucci, di Firenze che morì dopo immani sofferenze, con i suoi soldati. Chi guidò praticamente e concretamente questa sporca azione partecipandovi armi in pugno, fatto che non ha nulla di militare, ma che fu solo una carneficina, fu tale Xhelal Staravecka di nazionalità Albanese, che ricopriva il grado di capitano del 2° battaglione della 1° Brigata d'assalto, il quale dipendeva dal comandante di Brigata Kadir Hoxha.
E' una storia quasi sconosciuta in Italia, se non in certi ambienti, soprattutto storici o militari, ancora oggi non se ne parla. Il fatto è noto in tutta la sua completezza per la testimonianza di un militare del Corpo degli autieri che assistette personalmente all'eccidio e che testimoniò nonostante le minacce da parte Albanese : “il piombo Albanese ti raggiungerà anche a Napoli”.
Il reparto di Carabinieri, noto come colonna Gamucci faceva parte della Legione Carabinieri Reali di Tirana.
Durante la seconda guerra mondiale, l'Albania era stata occupata dalle forze dell'Asse, per gli Italiani era dispiegata la IX armata, denominata Comando superiore forze armate Albania con l'incarico della difesa del territorio albanese, della Dalmazia meridionale, fino al corso del Narenta, del Kossovano e del Dibrano per proteggere il confine Albanese in direzione sud est e operare dei rastrellamenti contro la guerriglia delle formazioni partigiane albanesi e Jugoslave.
L'8 settembre 1943, con l'armistizio tra l'Italia e gli alleati i reparti della IX armata al comando del Generale Dalmazzo cessarono di avere efficacia militare, mentre le truppe Germaniche senza colpo ferire occupavano le posizioni nevralgiche in Albania. Le truppe Italiane che scelgono di non collaborare con gli ex alleati vengono fatte prigioniere.
Il reparto del colonnello Gamucci in custodia ai Tedeschi viene trasportato, a fine settembre, su un treno verso Bitola in Bulgaria, nel corso di alcuni attacchi di formazioni partigiane fu preso da partigiani che si professavano comunisti che odiavano i Carabinieri in quanto tali e in quanto Italiani.
La sopravvivenza dei prigionieri andò avanti per qualche mese, poi in base ad un ordine segreto del capo di stato maggiore Albanese, Memet Shehu, tutti i Carabinieri vennero disarmati ed internati nel più orrendo dei lager Albanesi, Tepelene. In più erano stati anche condannati a morte su decisione inappellabile e inspiegabile, dal Partito Comunista e avrebbero dovuto essere, testuale, “uccisi come cani”, come disposto dal comando generale.
L'odio dei partigiani comunisti Albanesi verso i Carabinieri, era evidente e non dissimulato. La strage era stata programmata dai vertici della Brigata e come tante atrocità, compiute sugli Italiani doveva rimanere segreta per non creare conflitti con gli Alleati, molto sensibili a questi argomenti, i quali non dovevano interrompere gli aviolanci con viveri ed armi destinati ai partigiani rossi.
La mattina del 16 novembre 1943, iniziò un orrore senza fine, tutti i Carabinieri, più qualche ufficiale compreso il comandante, Gamucci furono costretti a marciare, con i polsi legati dietro la schiena dal lager partigiano, percorrendo una distanza incredibile, 250 km senza scarpe, su e giiù per sentieri impervi, da colline e montagne tra bastonate, calci e pugni e umiliazioni pesantissime. I prigionieri nella parte finale del percorso percepirono la loro imminente fine.
Raggiunto l'altipiano, mentre i loro carnefici posavano a terra lo zaino per avere le mani libere, i prigionieri divisi in piccoli, gruppi furono portati nelle vicinanze del canalone dove scorreva il torrente, gli furono prese le uniformi, e gli effetti personali, quindi completamente nudi, furono assassinati con il classico colpo alla nuca.
Le esecuzioni sommarie avvennero a breve distanza gli uni dagli altri, per cui i poveretti poterono sentire quello che accadeva ai loro commilitoni al di là della cortina di vegetazione: spari e gemiti umani. Il bosco divenne un luogo dell'orrore con corpi sanguinanti, materia celebrale a terra e sui tronchi degli alberi.
Il cosiddetto “ capitano “ Xhelal Staravecka, menò vanto in quella occasione, di aver ucciso , solo lui, ben 17 militari , salvo a tenere un atteggiamento vile sotto il fuoco nemico.
Poi i boia Albanesi ispezionarono la bocca dei cadaveri e a corpo ancora caldo, strapparono i denti d'oro per portarli come prova dell'avvenuto massacro e diligentemente fecero l'inventario delle uniformi, scarpe, anelli, penne, orologi sottratte prima della mattanza, tutto materiale che doveva essere accantonato nei magazzini dell'intendenza, tranne qualche divisa che indossarono subito.
Il battaglione Albanese dormì tranquillamente sul posto accanto ai cadaveri che non furono seppelliti anzi abbandonati alla azione delle intemperie, dopo qualche giorno, finirono nel corso d'acqua che li trascinò a valle contribuendo alla loro quasi completa distruzione. In seguito la Gazzetta Ufficiale Albanese pubblicò i nomi dei “giustiziati” indicandoli come nemici del comunismo. Nelle settimane successive, nello stesso luogo furono sterminati anche i rimanenti ufficiali dei Carabinieri tanto per fare l'en plein.
C'è una voce non confermata, secondo cui a ordinare materialmente la morte dei 121 Carabinieri fosse stato anche un Italiano rinnegato, ex sergente della Divisione Arezzo, divenuto poi capo di una brigata partigiana, tale Terzilio C. a cui in seguito la Repubblica Italiana concesse la Medaglia D'Oro al V.M. Di più, su un monte in Albania, sorge un monumento celebrativo di questo bel personaggio.
Attualmente il suo cadavere è sepolto in Italia, mentre i corpi dei Carabinieri , ufficialmente dispersi, nonostante numerose missioni di ricerca, non hanno ancora una tomba, bisognerebbe scavare il letto del torrente che li trascinò a valle, per una profondità di alcune decine di metri, per trovare almeno le piastrine di riconoscimento di questi poveri ragazzi.
Nessuno dei ex militari Italiani che combatterono nelle file della resistenza Albanese fiatò mai di questa strage una volta tornati in patria, e questa non fu l'unico sterminio di militari Italiani prigionieri da parte di partigiani comunisti Albanesi, infatti in alcune zone montagnose non si poteva andare per il fetore di decomposizione. Su queste stragi, i media Italiani non pubblicarono quasi nulla e l'opinione pubblica non venne informata in modo adeguato.
Su questo crimine contro l'umanità un carabiniere in congedo, pochi anni fa, scrisse un libro che racconta in modo dettagliato ed esaustivo i fatti. Per la cronaca uno dei protagonisti della strage , un importante comandante Albanese fu processato durante la dittatura comunista e condannato all'ergastolo per tappargli la bocca su questo e molti altri eccidi di Italiani sul suolo di Albania.
Roberto Nicolick






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