La strage dei 121 Carabinieri Reali a Fusche
Gurra ( Albania )
16 /18 novembre 1943
Fusche
Gurra in lingua Albanese significa Altopiano o pianura con l'acqua,
in effetti è una grande radura, il cui terreno è impregnato di
acqua, a circa 1000 metri di altezza, circondata da boschi fitti e
selvaggi e attraversata da un torrente che impetuosamente scende a
valle, in questo luogo, a novembre 1943, si consumò un orrendo
crimine di massa, assurdo e senza ragioni. Fusche Gurra si trova
sull'altipiano di Cermenike,
Più
di cento Carabinieri, 121 o secondo alcune versioni 129 , compresi i
loro ufficiali e il loro comandante, vennero massacrati da partigiani
comunisti Albanesi in questo sito, dopo un calvario di brutalità e
di sevizie, probabilmente in due momenti diversi.
L'ufficiale
in comando dei carabinieri era il Colonnello Giulio Gamucci, di
Firenze che morì dopo immani sofferenze, con i suoi soldati. Chi
guidò praticamente e concretamente questa sporca azione
partecipandovi armi in pugno, fatto che non ha nulla di militare, ma
che fu solo una carneficina, fu tale Xhelal
Staravecka di nazionalità Albanese, che ricopriva il grado di
capitano del 2° battaglione della 1° Brigata d'assalto, il quale
dipendeva dal comandante di Brigata Kadir Hoxha.
E'
una storia quasi sconosciuta in Italia, se non in certi ambienti,
soprattutto storici o militari, ancora oggi non se ne parla. Il
fatto è noto in tutta la sua completezza per la testimonianza di un
militare del Corpo degli autieri che assistette personalmente
all'eccidio e che testimoniò nonostante le minacce da parte Albanese
: “il piombo Albanese ti raggiungerà anche a Napoli”.
Il
reparto di Carabinieri, noto come colonna Gamucci faceva parte della
Legione Carabinieri Reali di Tirana.
Durante
la seconda guerra mondiale, l'Albania era stata occupata dalle forze
dell'Asse, per gli Italiani era dispiegata la IX armata, denominata
Comando superiore forze armate Albania con l'incarico della
difesa del territorio albanese, della Dalmazia meridionale, fino al
corso del Narenta, del Kossovano e del Dibrano per proteggere il
confine Albanese in direzione sud est e operare dei rastrellamenti
contro la guerriglia delle formazioni partigiane albanesi e
Jugoslave.
L'8
settembre 1943, con l'armistizio tra l'Italia e gli alleati i
reparti della IX armata al comando del Generale Dalmazzo cessarono di
avere efficacia militare, mentre le truppe Germaniche senza colpo
ferire occupavano le posizioni nevralgiche in Albania. Le truppe
Italiane che scelgono di non collaborare con gli ex alleati vengono
fatte prigioniere.
Il
reparto del colonnello Gamucci in custodia ai Tedeschi viene
trasportato, a fine settembre, su un treno verso Bitola in Bulgaria,
nel corso di alcuni attacchi di formazioni partigiane fu preso da
partigiani che si professavano comunisti che odiavano i Carabinieri
in quanto tali e in quanto Italiani.
La
sopravvivenza dei prigionieri andò avanti per qualche mese, poi in
base ad un ordine segreto del capo di stato maggiore Albanese, Memet
Shehu, tutti i Carabinieri vennero disarmati ed internati nel più
orrendo dei lager Albanesi, Tepelene. In più erano stati anche
condannati a morte su decisione inappellabile e inspiegabile, dal
Partito Comunista e avrebbero dovuto essere, testuale, “uccisi
come cani”, come disposto dal comando generale.
L'odio
dei partigiani comunisti Albanesi verso i Carabinieri, era evidente
e non dissimulato. La strage era stata programmata dai vertici della
Brigata e come tante atrocità, compiute sugli Italiani doveva
rimanere segreta per non creare conflitti con gli Alleati, molto
sensibili a questi argomenti, i quali non dovevano interrompere gli
aviolanci con viveri ed armi destinati ai partigiani rossi.
La
mattina del 16 novembre 1943, iniziò un orrore senza fine, tutti i
Carabinieri, più qualche ufficiale compreso il comandante, Gamucci
furono costretti a marciare, con i polsi legati dietro la schiena
dal lager partigiano, percorrendo una distanza incredibile, 250 km
senza scarpe, su e giiù per sentieri impervi, da colline e montagne
tra bastonate, calci e pugni e umiliazioni pesantissime. I
prigionieri nella parte finale del percorso percepirono la loro
imminente fine.
Raggiunto
l'altipiano, mentre i loro carnefici posavano a terra lo zaino per
avere le mani libere, i prigionieri divisi in piccoli, gruppi furono
portati nelle vicinanze del canalone dove scorreva il torrente, gli
furono prese le uniformi, e gli effetti personali, quindi
completamente nudi, furono assassinati con il classico colpo alla
nuca.
Le
esecuzioni sommarie avvennero a breve distanza gli uni dagli altri,
per cui i poveretti poterono sentire quello che accadeva ai loro
commilitoni al di là della cortina di vegetazione: spari e gemiti
umani. Il bosco divenne un luogo dell'orrore con corpi sanguinanti,
materia celebrale a terra e sui tronchi degli alberi.
Il
cosiddetto “ capitano “ Xhelal Staravecka, menò vanto in
quella occasione, di aver ucciso , solo lui, ben 17 militari , salvo
a tenere un atteggiamento vile sotto il fuoco nemico.
Poi
i boia Albanesi ispezionarono la bocca dei cadaveri e a corpo ancora
caldo, strapparono i denti d'oro per portarli come prova
dell'avvenuto massacro e diligentemente fecero l'inventario delle
uniformi, scarpe, anelli, penne, orologi sottratte prima della
mattanza, tutto materiale che doveva essere accantonato nei magazzini
dell'intendenza, tranne qualche divisa che indossarono subito.
Il
battaglione Albanese dormì tranquillamente sul posto accanto ai
cadaveri che non furono seppelliti anzi abbandonati alla azione delle
intemperie, dopo qualche giorno, finirono nel corso d'acqua che li
trascinò a valle contribuendo alla loro quasi completa distruzione.
In seguito la Gazzetta Ufficiale Albanese pubblicò i nomi dei
“giustiziati” indicandoli come nemici del comunismo. Nelle
settimane successive, nello stesso luogo furono sterminati anche i
rimanenti ufficiali dei Carabinieri tanto per fare l'en plein.
C'è
una voce non confermata, secondo cui a ordinare materialmente la
morte dei 121 Carabinieri fosse stato anche un Italiano rinnegato,
ex sergente della Divisione Arezzo, divenuto poi capo di una brigata
partigiana, tale Terzilio C. a cui in seguito la Repubblica Italiana
concesse la Medaglia D'Oro al V.M. Di più, su un monte in Albania,
sorge un monumento celebrativo di questo bel personaggio.
Attualmente
il suo cadavere è sepolto in Italia, mentre i corpi dei Carabinieri
, ufficialmente dispersi, nonostante numerose missioni di ricerca,
non hanno ancora una tomba, bisognerebbe scavare il letto del
torrente che li trascinò a valle, per una profondità di alcune
decine di metri, per trovare almeno le piastrine di riconoscimento di
questi poveri ragazzi.
Nessuno
dei ex militari Italiani che combatterono nelle file della resistenza
Albanese fiatò mai di questa strage una volta tornati in patria, e
questa non fu l'unico sterminio di militari Italiani prigionieri da
parte di partigiani comunisti Albanesi, infatti in alcune zone
montagnose non si poteva andare per il fetore di decomposizione. Su
queste stragi, i media Italiani non pubblicarono quasi nulla e
l'opinione pubblica non venne informata in modo adeguato.
Su
questo crimine contro l'umanità un carabiniere in congedo, pochi
anni fa, scrisse un libro che racconta in modo dettagliato ed
esaustivo i fatti. Per la cronaca uno dei protagonisti della strage
, un importante comandante Albanese fu processato durante la
dittatura comunista e condannato all'ergastolo per tappargli la bocca
su questo e molti altri eccidi di Italiani sul suolo di Albania.
Roberto
Nicolick
Molto interessante. Articolo ben fatto
RispondiElimina