mercoledì, ottobre 26, 2016

l'eccidio di Giustenice

Giuseppe Goso e Lorenzo Ricci, ovvero l'odio oltre la morte
3 settembre 1944
Giustenice

Il geometra Giuseppe Goso, segretario comunale di Giustenice è il corrispondente de Il lavoro di Borgio Verezzi ha 34 anni una persona per bene come d'altronde lo è Lorenzo Ricci , detto Bartolomeo, messo comunale nella stessa amministrazione , di anni 60, entrambi con famiglia. Questi due funzionari comunali avevano l'incarico di censire il bestiame , bovini e ovini, presso il territorio del piccolo comune.
Non dobbiamo dimenticare che in quel periodo e in quella zona avvenivano spesso delle macellazioni illegali, e quelle carni venivano vendute al di fuori di Giustenice, si trattava di violazioni annonarie che comunque erano sanzionate severamente.
Comunque Goso e Ricci non erano elementi violenti del Partito Fascista Repubblicano, non portavano neppure un'arma. La loro morte è stata una delle tante, che avvenivano durante la guerra civile che tanto sangue innocente sparse nel nord Italia, da una parte e dall'altra. I due sventurati furono prelevati da un gruppo di partigiani e ammazzati o come si usava dire allora “giustiziati”, anche se la Giustizia con tutti questi omicidi c'entrava ben poco. Chi li uccise non ebbe alcuna punizione di natura penale, anche perchè non si seppe mai, ufficialmente il suo nome, che secondo alcune voci poteva essere Volpi o Volpe, anzi qualcuno disse che vennero assassinati per aver consegnato gli elenchi del bestiame all'esercito Tedesco sotto la minaccia di essere deportati se non avessero ottemperato all'ordine Germanico.
Passano gli anni e i loro parenti, pur con il dolore nel cuore per questa ingiustizia patita, tentano di darsi una ragione. Queste due povere anime, avrebbero potuto riposare in pace quando il caso e soprattutto la malvagità umana ripropose i loro nomi in una occasione, esattamente nel dicembre del 1976.
In quei giorni il comune di Giustenice toglie dalle pareti esterne del palazzo comunale due lapidi, su cui erano incisi i nomi dei caduti della prima e seconda guerra mondiale. I nomi erano illeggibili per la esposizione alle intemperie.
Nessuno, forse ne è a conoscenza, ma sulla lapide che commemora i caduti del secondo conflitto, vi sono anche i nomi dei due “giustiziati sommariamente” . Tutti questi nomi andavano i trasferiti su di un cippo, eretto in piazza, con i contributi del comune, della Provincia di Savona,di alcune banche e anche di una pubblica raccolta di cittadini. Il blocco di pietra con i nomi dei caduti, compresi Goso e Ricci, viene scoperto in una pubblica e solenne cerimonia, alla presenza delle autorità, ma qualcuno in un rigurgito di odio vecchio e stantio, affigge per il paese una serie di manifesti, vergati a mano, in cui un Comitato Permanente antifascista di Giustenice, Pietra Ligure Tovo San Giacomo con termini duri e autoritari stigmatizzano il fatto che sul blocco di pietra ci siano i nomi di due “fascisti” accanto a dei nomi di partigiani.
Con questi fogli manoscritti , pure con una prosa vecchia e obsoleta, alcuni vecchi arnesi vogliono ricreare un clima di odio che doveva essere oramai lontano.
Le famiglie delle due vittime ricadono in una atmosfera di intolleranza e discriminazione che ha poco di umano e di civile.
La pietà l'è morta e invece l'odio di marca stalinista no, anzi rivive con violenza. Pare che a stilare , con poco rispetto della sintassi, i fogli siano stati due o tre aderenti al P.C.I., nel 1976 si chiamava ancora così. Il gesto di accanimento fu comunque sostenuto dalla associazione che raggruppa i partigiani, avvallando una azione che allora come sempre, va contro la convivenza civile e la volontà di pacificazione.
La pianta dell'odio è sempre annaffiata e potata da chi ha interesse a spargere questi veleni. Comunque questi soggetti che tanto hanno ululato per un presunto scandalo, forse non hanno memoria storica di quello che nel 1943 - 1945 accadde ad Altare : un Generale della R.S.I. Amilcare Farina, quindi uno che era dall'altra parte, creò un cimitero militare dove trovarono posto , uno accanto all'altro, fascisti e partigiani.
Questo Ufficiale Repubblichino dimostrò molta più pietà umana di questi sedicenti combattenti della libertà che comunque al momento della esecuzione sommaria di Goso e Ricci non vollero neppure prendersi la responsabilità dell'uccisione, infatti a tutt'oggi i responsabili sarebbero degli sbandati senza nome, una versione molto comoda per chi ha realmente ammazzato Goso e Ricci.


Roberto Nicolick

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Cesare B Cairo Montenotte 13 agosto 1987 Questo omicidio non ebbe risonanza mediatica solo nella provincia di Savona ma anche a livello nazionale e non solo. Con questo delitto dai risvolti intricati, il piccolo centro della Valle Bormida assurse alla ribalta delle cronache nazionali. Fu una vicenda contorta e ingarbugliata, con chiari e scuri, con frequenti colpi di scena, dove tutto quello che sembrava come tale , in realtà non era come appariva, era come un teatrino in cui entravano ed uscivano attori sempre diversi con ruoli criptici. Una storia di sangue, di soldi e ovviamente di sesso, che coinvolse l’opinione pubblica con tutti i suoi numerosi protagonisti, offrendo all’occhio impietoso della gente una immagine, purtroppo veritiera, della piccola provincia, delle ipocrisie che nascono tuttora all’ombra dei campanili, delle storie extraconiugali che venivano nascoste ma che prosperavano e che si protraevano nel tempo spesso con un doloroso epilogo. Da questa vicenda si fece pure un film noir con Monica Guerritore come protagonista. Per una dei protagonisti della vicenda, forse la principale, si coniò un soprannome: la mantide di Cairo Montenotte, facendo riferimento all’abitudine dell’omonimo insetto femmina che uccide il partner maschio dopo il rapporto sessuale. Le vite di molte persone, coinvolte a vario titolo nelle indagini, furono rivoltate come calzini, molti particolari, soprattutto, intimi vennero messi in piazza e non solo nelle aule di tribunali. Ancora oggi, nonostante la conclusione giudiziaria con una colpevole condannata in via definitiva, molti dubbi sussistono , soprattutto nella gente del posto che conosceva benissimo i protagonisti della vicenda. La storia ebbe inizio con una improvvisa scomparsa di un uomo, Cesare B, classe 1931, noto personaggio e notabile della Valle Bormida, consigliere comunale di Cairo Montenotte, facoltoso farmacista, con la passione prima per l’equitazione e poi per il calcio. Egli è il patron della squadra calcistica locale, la Cairese, che segue con grande passione e che sponsorizza a livello economico dando la possibilità alla squadra di effettuare trasferte e di avere giocatori di spicco. Come tutti gli uomini , Cesare B, nonostante fosse sposato e quindi tenesse famiglia, amava frequentare le donne, quelle belle. Egli conosce e inizia a frequentare una donna , Gigliola G, molto graziosa , di corporatura minuta, con una caschetto di capelli biondo, grazie al suo fascino magnetico, lei sapeva affascinare e sedurre gli uomini nella loro fantasia. Di professione fa la gallerista, esponeva e vendeva quadri, nel centro di Cairo. Tuttavia la donna era nata professionalmente come infermiera, aveva anche svolto la professione sanitaria in un orfanotrofio e quindi in una fabbrica a sempre Savona , la Magrini, in quel contesto lavorativo si era sposata con un metronotte da cui ha 2 figli. In seguito contrarrà altri due matrimoni, avrà un’altra figlia, e avvierà altre relazioni . Fra l’altro la donna in prima istanza si chiamava Anna Maria, mutato successivamente nell’attuale Gigliola. Fra Cesare e Gigliola, nasce una relazione amorosa che si protrae, Cesare provvede a tutte le necessità economiche della donna, paga senza fare domande per tutto quello che gli viene chiesto. I pettegolezzi su questa relazione si sprecano considerando anche il fatto che cesare è un uomo molto conosciuto e stimato e che entrambi vivono in un paese dove la gente "mormora". Dunque il 12 agosto del 1987 , il farmacista scompare senza lasciare traccia. Da qui si sviluppa una storia complicatissima, il suo corpo in parte carbonizzato viene trovato sul monte Ciuto, una altura nelle adiacenze di Savona. Effettuato il riconoscimento grazie ad un portachiavi metallico che riporta il simbolo dell'ordine dei farmacisti, alle protesi dentali e alle lenti degli occhiali. Brin era di corporatura massiccia, per ucciderlo, trasportarlo sino a quel sito ci sono volute sicuramente più di una persona. La prima indiziata è la sua amica, Gigliola G, la quale sostiene che responsabili dell’omicidio e poi dell’occultamento furono due personaggi provenienti da Torino con cui l’uomo aveva delle pendenze economiche in corso. Secondo la sua versione nacque una colluttazione tra i due e il farmacista ne uscì pesto e sanguinante, quindi i due aggressori trascinarono via l’uomo. La donna non portò elementi oggettivi a sostegno della sua tesi e quindi venne arrestata e rinviata a giudizio. Un minuscolo frammento di teca cranica venne trovato sulle scale della casa della gallerista e alcune macchie di sangue erano sui muri della camera da letto della casa della Gigliola, dove in effetti viveva di fatto anche il Brin. Secondo gli inquirenti la responsabile principale dell’omicidio fu proprio lei che in concorso con il suo convivente, Ettore G, uccise con un corpo contundente sul capo, un martello o un altro soprammobile, l’uomo nella notte fra il 12 e il 13 di agosto dell’87 mentre egli era disteso inerme nel letto, infatti i fendenti sono chiaramente dall’alto verso il basso, il delitto è avvenuto d’impeto come risultato di tutta una serie di contrasti anche su questioni a carattere economico, che sarebbero alla lunga sfociati in una separazione, forse l’uomo aveva in progetto di tornare dalla propria famiglia e in questo caso veniva a mancare per la gallerista una fonte di reddito. Pare anche che il farmacista avesse rifiutato un prestito di un centinaio di milioni alla donna, richiesti da lei con insistenza. Inoltre sempre secondo le indagini c’era un gruppetto di quattro persone che aiutarono concretamente la coppia a trasportare e occultare il cadavere sino al monte Ciuto, cosa che la donna da sola non poteva oggettivamente fare, il quartetto era formato da un funzionario di polizia in pensione, un politico locale, un artigiano e un collaboratore della vittima, tutti questi verranno riconosciuti colpevoli e condannati a pene minori. Vi furono tre gradi di giudizio e nell’ultimo, presso la suprema corte di Cassazione, venne confermata la condanna a 26 anni per la donna a suo marito 15 anni, mentre agli imputati minori , quattro uomini, vennero date pene minori.