L'uccisione di Don Guido
Salvi
Bosco del Garau (
Calizzano )
1 marzo 1944
Don Guido Salvi, 51 anni,
era il parroco di Castelvecchio di Rocca Barbena un piccolo centro,
poco sopra Albenga. Don Guido era nativo di Camogli e svolgeva la sua
missione in questo pugno di case a cavallo dell'Appennino Ligure.
Era un prete che prendeva
sul serio la missione del sacerdozio, aperto e comunicativo, aveva
legato molto con gli abitanti del paese, e soprattutto per cultura e
voglia di fare molto vicino ai giovani con cui dialogava spesso,
aprendo loro le porte della Chiesa, della Canonica e soprattutto
dell'Oratorio della Chiesa di Nostra Signora dell'Assunta, una antica
e splendida Chiesa con un affresco sulla facciata, un piccolo
campanile una meridiana.
Don Salvi aveva educato
alla fede diverse generazioni di ragazzi del paese, ma il suo lavoro
non si fermava alla religiosità era sempre presente concretamente
dove ci fosse bisogno di braccia per aiutare gli agricoltori della
zona. Era quindi il contraltare alle bande di partigiani che giravano
nel territorio, bande profondamente ideologizzate, logico che la sua
figura fosse invisa a certi capi che lo vedevano come un personaggio
ostile.
Una sera, il primo di
marzo del 1944, un gruppo di persone armate arrivò, dalle alture
circostanti, alla Canonica ma non era una visita di piacere, sotto
la minaccia delle armi prelevò il sacerdote per portarlo fuori dal
paese, arrancarono per diversi chilometri in direzione di Calizzano.
Gli uomini che lo
sequestrarono, indossavano la divisa dei partigiani comunisti, sulle
loro giubbe spiccava la stella rossa, quella che, decenni dopo
leggermente modificata, sarebbe diventata il simbolo delle bierre.
Raggiunta una vasta area
boschiva, il bosco del Garau, sotto la minaccia delle armi, lo
costrinsero a scavarsi la fossa e lo assassinarono con una raffica di
mitra, dopo avergli dato il tempo di recitare appena una breve
preghiera, bontà loro.
Fu un omicidio, come
tanti in quel periodo, senza spiegazioni, dettato dalla ferocia e
dalla intolleranza dei partigiani comunisti che infestavano quelle
zone e che imponevano con la violenza le loro regole.
Forse Don Guido Salvi non
voleva piegarsi a queste regole, non assisteva senza protestare a
furti travestiti da requisizioni che colpivano le già magre risorse
dei contadini della zona. Inoltre questo prete per il suo
atteggiamento onesto era rispettato dai militari Tedeschi e dai
Repubblichini e aveva un largo seguito tra la gente del posto
sottraendosi al potere delle bande che taglieggiavano i contadini
usando lo scudo della resistenza.
Ancora oggi le
associazioni reducistiche partigiane non danno alcuna spiegazione di
questa esecuzione sommaria, un omicidio eccellente, inspiegabile per
tutti ma non per qualcuno che sapeva benissimo quello che faceva.
La cosa triste è che nel
gruppo di partigiani rossi che lo presero e che lo uccisero, c'erano
anche dei giovani abitanti di Castelvecchio, persone che lo
conoscevano bene e che lui conosceva allo stesso modo.
Don Salvi non fu l'unico
sacerdote ammazzato dai partigiani comunisti, infatti un sacerdote
molto scomodo perchè orientato politicamente a destra, Don Antonio
Padoan, figlio di un ufficiale, noto per le sue omelie in cui
invitava i giovani ad aderire alla R.S.I., per queste sue posizioni
ricevette una visita in canonica da partigiani comunisti. Don Padoan
che era armato fece resistenza e fu finito con un colpo di pistola in
bocca, a evidenziare l'odio che i suoi assassini nutrivano per lui,
poi nel luglio del 44, Don Virginio Icardi, parroco di Squaneto, fu
assassinato a Pareto, fu liquidato perchè guidava una brigata di
partigiani non comunisti che manteneva l'ordine e la legalità nel
territorio attorno a Spigno Monferrato.
A maggio del 1945, presso
Cesino, Genova, veniva assassinato Don Colombo Fasce, il quale era a
conoscenza dei nomi di responsabili di molte esecuzioni sommarie
nell'immediato dopoguerra e pertanto doveva essere messo a tacere.
Stesso destino per Don Andrea Testa, parroco di Diano Borrello in
provincia di Imperia, anch'egli ammazzato dai partigiani comunusti.
Roberto Nicolick
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