domenica, febbraio 19, 2017

Franco Percoco


Franco Percoco

Il mostro di Bari che accoltellò la famiglia
La strage fu compiuta con un coltellaccio da cucina impugnato da Franco Percoco di anni 27, studente universitario di agraria il quale sterminò la famiglia nella notte tra il 26 maggio e il 27 maggio del 56 a Bari, Eresvida Martini di anni 50 madre e donna timida che fu la prima ad essere colpita con un netto taglio alla gola mentre dormiva nel letto della camera matrimoniale , poi Vincenzo Percoco il padre, di anni 64, che dormiva accanto alla moglie si sveglia di soprassalto e viene colpito ripetutamente al torace ma ha il tempo di urlare prima di essere finito, egli era pensionato delle Fs, e persona molto stimata, si affaccia alla porta della camera il fratello Giulio di anni 21, un povero ed inoffensivo ragazzo, affetto dalla sindrome di Down che viene ucciso anch'esso, poi l'assassino spogliò i corpi delle vittime dagli abiti lordi di sangue e le nascose in camera da letto.
Quindi si bevve una birra e si addormentò nel proprio letto come se niente fosse accaduto.
Nei 10 giorni successivi , senza mostrare alcun disagio, continuò ad ospitare i suoi amici in allegre feste conviviali a pochi metri dalla camera ove erano i cadaveri dei suoi congiunti.
Franco continuò anche a ricevere donne nell'appartamento di Via Celentano 12, sigillò con del nastro adesivo, le finestre e le porte della camera dove erano i corpi in putrefazione, per non fare uscire la puzza della decomposizione, diffondendo ogni tanto del deodorante al gelsomino.
Quando i vicini gli chiedevano dove fossero i suoi parenti egli rispondeva che erano partiti per una vacanza a Montecatini. Tuttavia il fetore di decomposizione divenne troppo forte allarmando i vicini, a questo punto Franco Percoco sparì rendendosi irreperibile.
La polizia infine arrivò, avvisata dai vicini per il fetore, entrò nell'appartamento da una finestra, trovò la madre distesa nel letto coperta da un materasso, il figlio ai piedi del letto e il padre in un armadio piegato in due per farcelo stare, tutti i cadaveri erano gonfi perchè colpiti dall'enfisema putrefattivo che sviluppa dei gas all'interno delle cavità fisiche .
Franco Percoco ricercato in tutta Italia, si dava alla bella vita, conducendo una vacanza spensierata a Ischia, con i denari dei genitori, tra bar, night club e ristoranti di lusso. La sua latitanza venne aiutata dal fatto che l'albergatore che lo ospitò, omise di registrare la sua presenza nella struttura e quindi la Questura non notò il nome del ricercato tra le schede delle registrazioni.
Il Percoco che in quei giorni, vestiva sempre molto elegante, aveva anche una frequentazione con una donna che lavorava in una casa di tolleranza, la quale alla fine dopo mille reticenze, indirizzò la polizia sulle tracce del mostro di Bari.
Arrivarono dalla questura di Napoli 50 agenti, che iniziarono a battere tutti i locali del porto di Ischia e dopo tre giorni lo trovarono e lo arrestarono traducendolo a Bari, dove venne rinchiuso nel locale carcere giudiziario.
All'arresto non oppose resistenza. Si giustificò, affermando di aver sterminato, i genitori perchè gli impedivano di fare una vita brillante e dispendiosa, continuando a rimproverarlo per il fallimento negli studi e uccisa pure il fratello Giulio perchè accorse richiamato dal rumore.
Fu rinviato a giudizio per triplice omicidio e occultamento di cadavere.
La dinamica omicidiaria accertata fu questa : Percoco stava preparando gli ultimi esami, assalito dalle sue nevrosi , cominciò a bere del cognac, poi in cucina afferrò un coltellaccio , entrò nella stanza dove dormivano i suoi e prima massacrò la madre che morì in silenzio, mentre il padre, durante l'aggressione urlò e infine il fratello disabile attirato dal trambusto.
Quindi sfilò gli anelli dalle dita della madre, cercò dei titoli di stato dei suoi genitori che sottrasse e si impossessò della pensione del padre, circa 70 mila lire .
Dopo l'interrogatorio in cui rese completa confessione, in attesa di giudizio, venne inizialmente detenuto presso il manicomio criminale di Rebibbia, poi il processo alla Corte di Assise di Bari, in cui venne anche sentito il fratello dell'imputato, Vittorio con precedenti penali , detenuto presso il carcere di Perugia per rapina, il quale alla vista del coltello usato per massacrare la famiglia, svenne subito.
Quando Vittorio si riprese disse che in sogno aveva visto l'arma del delitto e la scena della strage nel suo avvenire.
Un'altra testimone fu la ex fidanzata Concetta Tassi, che affermò di essere stata invitata da Percoco nella casa del massacro a pranzo e a cena, assieme al fratello e alla di lui fidanzata.
Dopo sei ore di camera di consiglio decise per la sua colpevolezza, pur attestando la sua seminfermità di mente, e lo condannò all'ergastolo per omicidio continuato nella persona dei genitori e fratricidio nei confronti del fratello aggravato dalla continuazione del reato per coprire i reati anzidetti, inoltre fu anche riconosciuto colpevole di occultamento di cadavere.
Venne definito socialmente pericoloso, prima della esecuzione della pena è stato condannato a rimanere per tre anni in una casa di cura. Fu la prima strage famigliare avvenuta in Italia a cui seguirono altri casi molto noti perchè con una copertura mediatica che questo invece non ebbe.
Questo il fatto ma ci fu un seguito, scontati circa 30 anni di detenzione, Percoco uscì libero cittadino, nonostante avesse fatto quello che fece e iniziò una relazione di convivenza con una donna di Torino che forse era all'oscuro del suo passato.
Con essa si trasferì in un piccolo e anonimo centro dell'Alessandrino, Ponti. Nessuno lo conosceva e in quel piccolo paese, non esisteva neppure una caserma del Carabinieri. La coppia era nota come “i bixjoux” dal nome del cagnolino che la donna portava sempre con sé.
Era un perfetto sconosciuto che poteva muoversi a suo piacimento, prese un piccolo appartamento in affitto e disse di essere un pittore e in effetti aveva una buona mano nel dipingere.
Ovviamente non parlava mai del suo passato e dei suoi famigliari e a qualche domanda troppo indiscreta rispondeva che erano morti in un incidente.
Appariva come una persona molto calma e fin troppo controllato, un po come una molla compressa ed infatti in alcune occasioni reagì violentemente a delle osservazioni che una anziana signora gli fece e manifestò anche interessi morbosi verso una dodicenne del posto che aveva accompagnato con una scusa a Torino, città dove la sua convivente abitava, e quando effettuava dei viaggi usava sempre il treno, infatti non aveva la patente.

Robert Nicolick

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