Rosa
Maria Amodio è una giovanissima maestra elementare, poco più che
ventenne aderisce al Corpo delle Ausiliarie della Repubblica Sociale
Italiana, e questo suo gesto la condanna a morte . Su suggerimento
di amici e parenti, dopo il 25 aprile 1945, decide di allontanarsi
prudentemente da Savona per evitare le solite gesta degradanti che i
partigiani comunisti riservavano alle ragazze appartenenti al corpo
delle ausiliarie della Repubblica Sociale Italiana : il taglio dei
capelli e la verniciatura di rosso del capo, in piazza davanti ad una
folla di bestie inferocite e anche, in luogo più isolato, lo stupro
di gruppo, spesso secretato da una pallottola alla nuca.
Rosa
Amodio, riesce con il suo allontanamento da Savona ad evitarsi
nell'immediato questa sorte, poi appena il peggio passa, torna a
Savona e inizia ad insegnare in una scuola elementare.
E'
una ottima insegnante, i suoi scolari ne sono contenti, la direzione
pure, ma i partigiani comunisti non dimenticano e attendono con odio
omicida l'opportunità di " giustiziare " Rosa Maria.
La
ragazza, coraggiosa e determinata, non sospetta nulla, ma i suoi
carnefici la pedinano in attesa di poter agire e infatti
l'opportunità si presenta il 14 agosto 1947, a due anni di distanza
dalla fine della guerra. La ragazza in bicicletta, sta percorrendo
il tratto di strada che congiunge Zinola a Savona, una manciata di
chilometri , alla altezza del quartiere delle fornaci, notoriamente
comunistizzato, nel tardo pomeriggio intorno alle ore 18, viene
avvicinata da tre persone, una delle quali impugna una pistola
automatica calibro 22, munita di silenziatore, un arma che verrà
usata molte volte dai killer rossi per eliminare tante persone,
colpevoli di non essere comuniste : vanno ricordati fra gli altri,
Wingler Giuseppe aderente alla Repubblica Sociale Italiana, Lorenza
Ernesto ufficiale delle Brigate Nere, Amilcare Salemi commissario di
Pubblica Sicurezza inviato a Savona per indagare.
La
pistola in alcuni casi era impugnata e coperta da un quotidiano
piegato che la celava alla vista dei pochi passanti. La ragazza ferma
la bicicletta e affronta i tre assassini da lei sicuramente
riconosciuti, che senza alcuna pietà , la ammazzano, vigliaccamente,
con una sequenza di colpi e poi la finiscono con un ultimo colpo alla
nuca.
Nessuno
vide, nessuno parlò, nessuno sentì nulla, in un quartiere come
quello decisamente comunista e dominato da una banda di ex partigiani
comunisti che imponevano la loro legge annullando la civile
convivenza.
L'arma
non fu mai ritrovata, e un processo farsa negli anni successivi,
portò alla condanna di un mitomane che si spense in carcere di
tubercolosi, mentre i mandanti e i responsabili vivevano in libertà
tra onori e prebende politiche nella città di Savona.
L'unico
che non si piegò al tragico destino della morte della Rosa Maria
Amodio fu il suo fidanzato, Lorenzo Calzia, il quale da solo proseguì
nelle indagini ma qualcuno gli imbottì la porta di casa con del
tritolo per convincerlo a desistere dalle sue ricerche a carattere
personale.
Evidentemente
si era troppo avvicinato agli assassini della Rosa Maria, noti come
la banda della pistola silenziosa.
Qui
di seguito pubblico i rapporti e le deposizioni originali, rese dal
fidanzato di Rosa, nelle ore e nei giorni seguenti all'attentato che
subì per tappargli la bocca.
Roberto
Nicolick
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