L'auto fuori strada
Era il 30 maggio del
1945, quando il gruppo di partigiani entrò al mattino presto,
nell'ospedale di Cogoleto un vecchio stabile del 1800, sito in Via
Isnardi , marciò compatto sino alla saletta della astanteria dove
erano ricoverati alcuni traumatizzati in attesa di essere medicati.
Gli uomini armati si
diressero con decisione verso due uomini in divisa, distesi ed
immobilizzati su dei letti, uno molto giovane e aitante, altro
visibilmente anziano, entrambi erano chiaramente sofferenti, fasciati
alla meglio in diversi punti del torace e negli arti.
Portavano la camicia
delle formazioni armate della repubblica Sociale Italiana, su una
sedia accanto era appoggiata la giacca grigioverde con le mostrine
nere e il gladio e un paio di pantaloni. I partigiani li sollevarono
quasi di peso li trascinarono fuori senza umanità alcuna. Nel
piazzale li aspettava una giardinetta al cui volante c'era un altro
partigiano, fecero entrare i due feriti nel retro e poi partirono.
Uno di loro salì sul
predellino dell'auto brandeggiando con tracotanza il suo mitra.
C'era poca strada da fare infatti la destinazione era Pratozanino, in
collina, sede di un manicomio dove i partigiani generalmente
praticavano le esecuzioni sommarie, lontano da sguardi indiscreti.
Quindi i due repubblichini sarebbero stati abbattuti come degli
animali contro un muro, senza processo, senza alcuna garanzia , solo
per odio e desiderio di rivalsa e vendetta ma sopratutto senza pietà.
Chi erano i due feriti
che si avviavano alla morte ? Ettore Lunelli e suo figlio Silvio
Giorgio, entrambi di Varazze, Ettore classe 1889, nelle Brigate Nere
di Savona e Silvio Giorgio di appena 19 anni, milite della Guardia
Nazionale Repubblicana nonché allievo ufficiale dello stesso
reparto. Ettore e Silvio facevano parte delle colonne Repubblichine
in ritirata dalla Liguria, giunti a Milano erano stati fermati e
trattenuti. Poi qualcuno aveva avvisato i partigiani di Varazze che
avevano inviato un auto con la scorta a prelevarli.
La prima destinazione era
la famigerata Villa Astoria, la ex pensione Varazzina, dove una banda
partigiana deteneva i prigionieri Fascisti, li seviziava e spesso li
giustiziava sommariamente nelle viuzze adiacenti alla triste
costruzione.
I due Lunelli, legati e
impossibilitati a difendersi, lungo la strada del ritorno da Milano
verso la Liguria furono picchiati brutalmente dalla loro scorta,
senza nessuna ragione evidente se non quella che erano fascisti.
Entrambi sapevano che li aspettava una raffica di mitra.
Erano tipi duri che non
si spaventavano facilmente, soprattutto il giovane Silvio, il quale
carico di collera per il trattamento che gli era stato riservato e
per quello che si prospettava, decise di vendere la pelle a caro
prezzo, aspettò l'occasione propizia e pur essendo legato ai polsi,
si lanciò sul partigiano che guidava, ingaggiando, una disperata e
feroce colluttazione. Silvio era forte ed atletico e spinto da una
forte volontà di non morire come una pecora condotta al macello.
A seguito di questo gesto
chi era al volante, perse il controllo della vettura che uscì di
strada e precipitò rotolando in una scarpata. Uno dei partigiani di
scorta, un certo Scotto, morì, ma gli altri due subirono ferite non
gravi e riuscirono a trattenere con le armi i due Repubblicani che
anch'essi subirono delle ferite.
Con il suo gesto
disperato ma coraggioso, Silvio Lunelli rientrava con stoicismo nel
ruolo che si era assunto, qualcuno afferma che mentre mandava fuori
strada la macchina, pur sapendo che poteva morire anch'esso e il
padre, abbia gridato .
Comunque sia, Lunelli non
aveva alcuna intenzione di morire come una pecora e rivendicò la
scelta di morire come meglio credeva, uccidendo pure uno di quelli
che portava alla morte. In seguito i due Lunelli benchè feriti,
senza essere medicati furono passati per le armi.
Roberto Nicolick
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