domenica, marzo 19, 2017

L'auto fuori strada, la morte di Ettore e Silvio Lunelli

L'auto fuori strada

Era il 30 maggio del 1945, quando il gruppo di partigiani entrò al mattino presto, nell'ospedale di Cogoleto un vecchio stabile del 1800, sito in Via Isnardi , marciò compatto sino alla saletta della astanteria dove erano ricoverati alcuni traumatizzati in attesa di essere medicati.
Gli uomini armati si diressero con decisione verso due uomini in divisa, distesi ed immobilizzati su dei letti, uno molto giovane e aitante, altro visibilmente anziano, entrambi erano chiaramente sofferenti, fasciati alla meglio in diversi punti del torace e negli arti.
Portavano la camicia delle formazioni armate della repubblica Sociale Italiana, su una sedia accanto era appoggiata la giacca grigioverde con le mostrine nere e il gladio e un paio di pantaloni. I partigiani li sollevarono quasi di peso li trascinarono fuori senza umanità alcuna. Nel piazzale li aspettava una giardinetta al cui volante c'era un altro partigiano, fecero entrare i due feriti nel retro e poi partirono.
Uno di loro salì sul predellino dell'auto brandeggiando con tracotanza il suo mitra. C'era poca strada da fare infatti la destinazione era Pratozanino, in collina, sede di un manicomio dove i partigiani generalmente praticavano le esecuzioni sommarie, lontano da sguardi indiscreti. Quindi i due repubblichini sarebbero stati abbattuti come degli animali contro un muro, senza processo, senza alcuna garanzia , solo per odio e desiderio di rivalsa e vendetta ma sopratutto senza pietà.
Chi erano i due feriti che si avviavano alla morte ? Ettore Lunelli e suo figlio Silvio Giorgio, entrambi di Varazze, Ettore classe 1889, nelle Brigate Nere di Savona e Silvio Giorgio di appena 19 anni, milite della Guardia Nazionale Repubblicana nonché allievo ufficiale dello stesso reparto. Ettore e Silvio facevano parte delle colonne Repubblichine in ritirata dalla Liguria, giunti a Milano erano stati fermati e trattenuti. Poi qualcuno aveva avvisato i partigiani di Varazze che avevano inviato un auto con la scorta a prelevarli.
La prima destinazione era la famigerata Villa Astoria, la ex pensione Varazzina, dove una banda partigiana deteneva i prigionieri Fascisti, li seviziava e spesso li giustiziava sommariamente nelle viuzze adiacenti alla triste costruzione.
I due Lunelli, legati e impossibilitati a difendersi, lungo la strada del ritorno da Milano verso la Liguria furono picchiati brutalmente dalla loro scorta, senza nessuna ragione evidente se non quella che erano fascisti. Entrambi sapevano che li aspettava una raffica di mitra.
Erano tipi duri che non si spaventavano facilmente, soprattutto il giovane Silvio, il quale carico di collera per il trattamento che gli era stato riservato e per quello che si prospettava, decise di vendere la pelle a caro prezzo, aspettò l'occasione propizia e pur essendo legato ai polsi, si lanciò sul partigiano che guidava, ingaggiando, una disperata e feroce colluttazione. Silvio era forte ed atletico e spinto da una forte volontà di non morire come una pecora condotta al macello.
A seguito di questo gesto chi era al volante, perse il controllo della vettura che uscì di strada e precipitò rotolando in una scarpata. Uno dei partigiani di scorta, un certo Scotto, morì, ma gli altri due subirono ferite non gravi e riuscirono a trattenere con le armi i due Repubblicani che anch'essi subirono delle ferite.
Con il suo gesto disperato ma coraggioso, Silvio Lunelli rientrava con stoicismo nel ruolo che si era assunto, qualcuno afferma che mentre mandava fuori strada la macchina, pur sapendo che poteva morire anch'esso e il padre, abbia gridato .
Comunque sia, Lunelli non aveva alcuna intenzione di morire come una pecora e rivendicò la scelta di morire come meglio credeva, uccidendo pure uno di quelli che portava alla morte. In seguito i due Lunelli benchè feriti, senza essere medicati furono passati per le armi.

Roberto Nicolick



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