Le stragi di Argelato
( Bologna)
Maggio 1945
Tra l'8 e l'11 maggio
1945, a guerra finita, elementi armati di fede comunista inquadrati
nella brigata garibaldina “Paolo”, guidata da Marcello Zanetti e
Vitaliano Bertuzzi, commisero due differenti stragi di abitanti della
zona di Pieve di Cento, persone, uomini e donne, per la stragrande
maggioranza non fascisti, anzi alcuni di loro, con sentimenti di
intolleranza verso la RSI ma colpevoli di non avere un orientamento
comunista e di non voler aderire a questa ideologia.
I massacri preceduti da
sadiche torture, ebbero alcune caratteristiche molto particolari, vi
furono coinvolti membri di diversi gruppi famigliari, i Costa, i
Bonora e i Govoni. Altro particolare inquietante, non vennero usate
armi da fuoco, infatti tutte le vittime furono strangolate.
La prima vittima ad
essere presa fu una insegnante , Laura Emiliani, in seguito sempre
gli stessi “prelevatori”, i partigiani Dino Cipollani e Guido
Belletti agli ordini del commissario politico Caffeo, presero Sisto
Costa, un anziano notabile suo tempo Podestà a San Pietro in
Casale, sua moglie, Adelaide e anche il figlio Vincenzo.
Lo stesso gruppo di
poliziotti ausiliari partigiani sequestrarono, arbitrariamente
:Giuseppe
Alborghetti, Dino Bonazzi, Guido Tartati, Ferdinando Melloni, Otello
Moroni, Vanes Maccaferri, Augusto Zoccarato, Enrico Cavallini e
Alfonso Cevolani, tutti residenti a Cento. Tutti i civili vennero
portati nella sede del Comitato di liberazione, dove in comando era
tale Luigi Borghi auto nominatosi “ufficiale superiore della
polizia ausiliaria partigiana”.
In
quella sede, al riparo di eventuali controlli delle autorità
alleate, ebbe luogo una tragica farsa, una specie di tribunale del
popolo presieduto da tale Adelmo Benni, che ovviamente giudicò
colpevoli tutti i sequestrati e manco a dirlo emise per tutti una
sentenza capitale, senza averne nessuna autorità.
Il
fratello di Alfonso Cevolani, Guido riuscì ad entrare nella prigione
e a convincere i partigiani a liberare suo fratello con cui si
allontanò, dopo aver promesso il suo silenzio su quello che aveva
visto e cioè i corpi dei prigionieri coperti di sangue a causa delle
torture subite.
Il
seguito fu come da copione, bastonate sui poveretti irrogate con
grande ferocia, predazione dei valori ed effetti personali, spartiti
poi tra i partigiani garibaldini e quindi la strage , compiuta
strangolando, gesto di inaudita crudeltà, le vittime che poi
vennero seppellite la notte del 9 maggio 1945 in una fossa comune in
una località segreta.
Ma
non era ancora finita, l'11 maggio 1945 , sempre i partigiani
comunisti della “Paolo”, saliti su un autocarro iniziarono la
ricerca dei componenti la famiglia Govoni, per cui nutrivano un
immotivato odio, immotivato in quanto, degli otto fratelli Govoni
solo due, Dino e Marino avevano aderito alla RSI.
La
prima tappa, la fanno presso la casa del padre dove trovarono solo
uno dei fratelli, Marino che prelevarono, quindi si recarono alla
abitazione di Ida Govoni, di appena 20 anni, che in quel momento
stava allattando la sua bimba , la presero e pestarono il marito che
faceva resistenza al sequestro della moglie e che dovette desistere.
I
partigiani comunisti raggiunsero il podere di Emilio Grazia, a Pieve
di Cento, dove altri Govoni, Emo, Augusto, Ida, , Giuseppe, Primo ,
inconsapevoli, stavano ballando ad una festa campestre e con la
scusa di fare degli accertamenti li convinsero a seguirli.
Mancava
all'appello la sorella Maria, l'ottava dei Govoni che essendosi
trasferita in altro paese, salvò la sua vita.
L'ultimo
prelevamento viene fatto a breve distanza, a San Giorgio di piano
nelle persone di : nonno Alberto, il padre Cesarino e il nipote Ivo
Bonora, Guido Pancaldi, Ugo Bonora, Alberto Bonvicini, Giovanni
Caliceti, , Guido Mattioli, Vinicio Testoni, Giacomo Malaguti ,
quest'ultimo era addirittura un ufficiale del regio esercito di
appena 22 anni, che aveva combattuto contro i Tedeschi a
Montecassino, aggregato all'esercito Britannico, noto per essere
anticomunista proprio a causa delle atrocità commesse dai partigiani
comunisti in quelle zone, per questo motivo, benchè anti fascista
fu ammazzato anch'esso dai partigiani rossi.
Poi
il camion carico di ostaggi ritorna alla casa colonica di Grazia,
dove nel frattempo arrivano molti altri partigiani comunisti. Inizia
all'interno della cascina una mattanza infernale, con torture, feroci
pestaggi, violenze inaudite, che i partigiani comunisti scatenano su
29 persone inermi.
Non
è dato di sapere cosa esattamente, accadde all'interno del
cascinale, visto che nessuno sopravvisse pere raccontarlo e poi
grazie ad una omertà impenetrabile da parte degli esecutori
materiali di queste atrocità, ma è ipotizzabile che diverse decine
di persone , a tutt'oggi non identificate, avvisate da qualcuno,
giunsero appositamente, per partecipare alle sevizie e agli
assassini.
Comunque
anche in questa seconda strage non furono esplosi colpi di arma da
fuoco e chi sopravvisse alle torture fu strangolato, dopo aver tolto
la vita a tutti, gli assassini si divisero i beni delle vittime,
occultarono i corpi in due fosse distinte, note solo a loro, si
allontanarono nel buio della notte. Su questa strage, nota come
l'eccidio di Argelato, calò una cappa di piombo, nessuno doveva
sapere chi e come, l'aveva compiuta.
Caterina,
la madre dei fratelli Govoni, la famiglia quasi del tutto sterminata,
non si stancò mai di cercare la verità, di chiedere giustizia e
almeno di conoscere il luogo della sepoltura dei suoi sette figli, e
un giorno , un partigiano comunista, tale Filippo Lanzoni, la derise
crudelmente in pubblico, dicendole che avrebbe dovuto cercarli con un
cane da tartufi.
Si
sa che col tempo le coscienze cominciano a pesare, non quelle degli
assassini, ma bensì quella di Guido Cevolani, che decise di
raccontare ai Carabinieri di Pieve ciò che aveva visto e soprattutto
chi aveva visto.
Un
coraggioso sottufficiale dei CC, Vincenzo Masala dopo un attento
lavoro, portò a termine le indagini, e fra il 49 e il 51, furono
trovate tre fosse comuni nella prima c'erano i corpi del primo
sequestro , nella seconda 25 corpi ignoti e nella terza i cadaveri
del secondo sequestro fra cui i Govoni, tutti con segni evidenti di
torture e molteplici esiti di fratture causate delle feroci
bastonature , nessuno presentava ferite da armi da fuoco e nessuna
pallottola fu rinvenuta, a significare la causa della morte per
strangolamento.
La
procura di Modena dopo la fase istruttoria fece dei rinvii a giudizio
nelle persone di Il
processo presso la Corte di Assise, che ebbe luogo dal 1951 al 1953,
si concluse con quattro ergastoli, comminati però esclusivamente per
l’omicidio del tenente Malaguti, e non per gli altri omicidi. Le
pene però, non vennero mai scontate da nessuno, in quanto i
principali responsabili erano già riparati all’estero, in
Cecoslovacchia. Inoltre l’amnistia Togliatti coprì tutti questi
delitti.
Anni
dopo, e dopo molte esitazioni, lo Stato riconobbe a Cesare e Caterina
Govoni, i genitori la cui progenie era stata sterminata, una pensione
di settemila lire: mille per ogni figlio trucidato.
Ancora oggi, idioti privi di ogni dignità umana vanno a scrivere stupidaggini sui manifesti commemorativi dei Govoni.
Roberto Nicolick
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