domenica, aprile 08, 2018

L'occupazione e la strage di Gaggio Montano



L’occupazione la strage di Gaggio Montano ( Bologna )
16 novembre 1945

Gaggio Montano è un piccolo centro di 4000 abitanti, dell’Appennino Bolognese, a breve distanza da Bologna, in esso il 16 novembre 1945, ebbe luogo un atroce esperimento di terrore e dittatura del proletariato, almeno a dire degli attori principali di questo evento. Un gruppo di 17 partigiani comunisti, appartenenti ad una GAP montana e addirittura guidati dal segretario locale del PCI.
Probabilmente una strage compiuta nelle vicinanze, da reparti Tedeschi, ebbe una certa influenza motivazionale, ma si era a guerra finita da sette mesi e quindi questa strage comunque non avrebbe avuto alcuna ragione di essere, anche perche fu preceduta da violenze, ruberie e seguita da omicidi privi di ogni giustificazione morale e legale, inoltre le vittime erano civili indifesi e non collaboranti con i Nazi fascisti. Le vere motivazioni erano nel punire gli ex fascisti , ma di questi oramai non ce n’erano più, e nel togliere denari e oggetti di benessere, ai benestanti, i pochi che c’erano a Gaggio.
Addirittura fu assassinato a freddo davanti alla moglie incinta un appartenente al Partito d’Azione, assolutamente anti fascista. L’idea di questa occupazione e della giustizia sommaria successiva, venne a due ex partigiani comunisti, Lenzi e Gaetani, entrambi intrisi di quel massimalismo feroce leninista che non fa sconti a nessuno, portatori di disvalori e idee molto male intese e ottuse ma semplici e altrettanto violente, i quali progettarono all’interno di una stalla vicina al paese,  con l’aiuto di una cartina topografica l’azione criminale con modalità militari.
Lenzi, che in seguito morirà presso il carcere di Pianosa, era noto per aver strangolato con un cavo elettrico, un anziano paralitico mentre Gaetani era un ex seminarista che aveva sposato la causa delle rivoluzione comunista e che si considerava la mente del gruppo di fuoco. Il piano prevedeva la “requisizione “ di proprietà, biancheria, argento, oro, denaro e viveri e il “prelevamento” di cinque abitanti di Gaggio e la  “esecuzione sommaria” di questi ultimi, era una epurazione sanguinaria condita da beghe personali coniugate con l’odio ideologico.

Il gruppo composto, da 17 uomini armati e dotati di una mitragliatrice pesante, bloccarono i due unici accessi al paese, poi dopo aver sorpreso il piantone della caserma dei carabinieri, vi penetrarono e disarmarono i militari presenti in quel momento in mensa, cogliendoli di sorpresa , nessuno poté abbozzare una minima  resistenza. Gli aggressori dissero agli stupiti carabinieri, “non fate resistenza, non affacciatevi alle finestre, all’ordine, ora ci pensiamo noi”, quindi gli armati raggiunsero l’osteria del paese dove vi erano molti dei paesani e lessero l’elenco delle persone che stavano cercando da prelevare. I banditi entrano anche nelle abitazioni con i mitra spianati, Aldo Brasa e sua moglie, Elide Palmieri, che era incinta, sono seduti a prendere il caffè, Brasa coraggiosamente, si alza e inizia una colluttazione con il più vicino, ma viene colpito da una raffica di mitra, cade a terra morto, in una pozza di sangue mentre la moglie urla disperata.
L’oste del paese è costretto a salire nelle camere che vengono perquisite alla ricerca di un certo Capitani che non viene trovato subito, in questa occasione l’oste deve consegnare 70 mila lire, indumenti e altri oggetti.
Il rastrellamento del paese procede, tutti quelli che vengono incontrati dai criminali sono perquisiti e in qualche caso alleggeriti dei soldi che tengono nelle loro tasche, nel corso del rastrellamento sono prelevati : Adolfo Cecchelli, la moglie dell’oste Bianca Ramazzini, Guido Brasa, il cui fratello era già stato assassinato e Alfredo Capitani. Cecchelli ha la moglie gravemente malata, ma i suoi sequestratori non si lasciano commuovere e lo strappano da casa. Il sindaco Ferrari, che è di fede liberale, salva la vita perché in quelle ore non si trova al paese, ma anche il suo nome è nella lista di proscrizione che i gappisti hanno in mano.
I sequestrati sono obbligati sotto minaccia delle armi, a seguire il gruppo verso le colline, fuori dal paese, portando in spalla i sacchi pieni di refurtiva che gli ex partigiani hanno preso. Mentre il gruppo si allontana da Gaggio, il Parroco, tardivamente, batte le campane a martello per avvisare del pericolo ma oramai i bandidti hanno già colpito.
Dopo una marcia di qualche chilometro, il gruppo si ferma in un bosco, quattro criminali si allontanano per scavare delle fosse, vi fanno avvicinare i prigionieri e leggono loro una specie di sentenza che li condanna morte nel nome di altri che sono stati fucilati dai Tedeschi,  e in quel posto li assassinano a colpi di mitra, uno per uno, poi li seppelliscono con poche vangate di terra. In tutta l’evoluzione dell’azione a Gaggio Montano, gli ex partigiani dimostrarono una assoluta mancanza di umanità e un odio feroce verso coloro che vessavano e che poi avrebbero ucciso. A breve distanza di tempo,  dalla strage, le indagini iniziarono e tutti i responsabili, tranne Secondo Lenzi, il capo, che morì di TBC, vennero presi e interrogati, quindi detenuti in attesa di processo. Il loro arresto causò molto imbarazzo al PCI che non poteva negare la matrice comunista degli arrestati e delle loro azioni.
A luglio del 48, quasi tutti i responsabili effettivi e cioè, Mario Rovinetti, Ivo Gaetani, ideatore dell’azione nonchè responsabile locale del PCI,Giuseppe Torri e Antonio Camurri, erano da circa due anni, in custodia preventiva e rei confessi, e affrontarono il processo che si svolse in Corte di Assise a Bologna, tutti gli imputati furono difesi da un collegio di legali vicini al P.C.I. guidati da un avvocato espertissimo in queste questioni, la maggior parte di loro consideravano giusto moralmente, quello che avevano fatto, le vittime erano fascisti, si meritavano quello che gli era accaduto, le confessioni , a loro dire, erano state estorte dai carabinieri e dai questurini che li avevano percossi per farli confessare, quindi in tribunale ritrattarono tutto, di fronte alla indignazione del pubblico.
Impressionante fu la deposizione dell’imputato Rovinetti, detto “macchinino” per il lavoro di meccanico, che si disse sempre pronto ad aderire ad azioni dovunque ci fosse la presenza di “fascisti che ostacolassero l’azione dei proletari”, con un frasario stile lotta armata, oramai fuori dai tempi, tradendo una mentalità da burocrate stalinista afferma che nel paese ha sequestrato una macchina da scrivere che gli sarebbe tornata utile per il suo “ufficio stralcio” oltre , ovviamente a prelevare in una occasione  40 mila lire dal Credito Romagnolo e altri 150 mila sempre dalla stessa banca, da dividere , disse lui, tra coloro che vivevano alla macchia nella zona.  Tutta questa refurtiva non fu mai ritrovata.
Il presidente della Corte di Assise gli chiese se era giusto troncare così delle vite e “macchinino” rispose “per me era indifferente prelevare o uccidere dato che erano dei fascisti”.
Il 19 luglio il PM chiese, in primo grado, per tutti gli imputati, 30 anni per Gaetani, Torri e Camurri i Gaggesi che fecero da basisti alla banda, trenta per Rovinetti, Nanni e per i quattro contumaci perché in latitanza, Ropa, Lolli, Baldi e Franchi, 22 per Stefanini e per Mazzini gli esecutori materiali, 15 anni per Valentini, Dal Piai, Guidotti e i gregari un totale di 359 anni di pena detentiva e per un imputato la assoluzione per insufficienza di prove.
Il 24 luglio dopo 5 ore di camera di consiglio fu letta la sentenza che in linea di massima ha accolto le richieste del PM, Rovinetti anni 28, Gaetani e Torri 27 anni e 7 mesi, Camurri anni 23, Nanni, Stefanini e Mazzini anni 22, Valeriani, Guidotti, Del Piai e i 4 latitanti ( Ropa, Lolli, Franchi, Baldi )anni 7, liberando solo il vecchio Mattioli per insufficienza di prove, gli imputati non hanno voluto essere presenti alla lettura del verdetto, infatti la gabbia era vuota.
I parenti degli imputati alla lettura della sentenza inveirono contro la Corte gridando “maledetti fascisti”.
Roberto Nicolick ( ricostruzione e rielaborazione fedele dei fatti realmente accaduti attraverso la rilettura dei quotidiani dell’epoca)

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