domenica, aprile 08, 2018

L'omicidio del partigiano Renato Seghedoni





Renato Seghedoni
Seghedoni, è un giovane partigiano di 25 anni, di una brigata garibaldina, è comunista come tanti nel Modenese, opera nel famigerato triangolo della morte,  ha una onestà di fondo che lo distingue dai suoi compagni di brigata, è convinto che i civili non debbano patire le conseguenze di inutili vendette che hanno molto di personale. Quello che vede fare ai suoi compagni  non gli piace , è coraggioso ed istintivo, in particolare si trova ad affrontare un suo compagno, un soggetto molto pericoloso, Dante Bottazzi, ex seminarista, uomo dall’aspetto sfuggente, dogmatico e pronto a tutto. Tra i due avviene uno scontro verbale, Renato minaccia il Bottazzi, noto con il soprannome di battaglia  “beta”, di rivelare le atrocità che ha commesso e manifesta anche l’intenzione di cambiare vita, con queste parole firma la sua condanna a morte.
La  sera del 14 marzo 1945,  qualcuno lo trova morto, segato in due da una raffica di mitra, su un sentiero tra Castelfranco e  San Giovanni in Persiceto, gli hanno tappato la bocca. Le indagini in quel particolare momento non portano a nulla, al funerale i suoi compagni di lotta si presentano con particolare vicinanza alla famiglia e insistono addirittura per portare la bara sino al cimitero.
La sorella, vuole giustizia al che viene sparsa la voce e addirittura pubblicata su Rinascita di Bologna, che la causa dell’omicidio vada ricercata nella sparizione di una cifra di denaro e di quattro pneumatici di un autocarro, frutto di un “prelevamento” e da lui indebitamente trattenuti.
Lo si vuole delegittimare appositamente per fare apparire la morte come un regolamento di conti per il bottino da dividere, ma la sorella non si ferma e apprende, nella sua ricerca della verità che era stato giudicato colpevole di “deviazionismo” e isolato dai suoi compagni di partito. La donna va dai carabinieri e fa le sue denunce, partono le indagini , tra gli indagati Rino Govoni, Renato Cattabriga, Venusto Bottazzi, Giuseppe Stopazzini, Vittorio Bolognini e lo stesso Dante Bottazzi, tutti appartenenti alla polizia ausiliari partigiana di Castelfranco.
Ci sarà un rinvio a giudizio nel 1951, presso le Assise di Bologna ma solo a Govoni, Cattabriga e Venusto Bottazzi perché gli altri tre , gli imputati più importanti vengono giudicati in contumacia, in quanto evasi in modo clamoroso dalle carceri di Modena.
Dante Bottazzi, ritenuto responsabile anche dell’omicidio del maresciallo dei Carabinieri Attilio Vannetti,  del parroco di Riolo di Castelfranco, prelevato dalla canonica nella notte tra il 25 e il 26 maggio 1945, don Giuseppe Tarozzi il cui corpo non verrà mai ritrovato, sarà condannato all’ergastolo nel 52 in contumacia, perché fuggito in Jugoslavia, dove peraltro completerà gli studi e prenderà anche una laurea , insegnando nella scuola della minoranza italiana fino al 1960. Dal '60 all'83, ricoprì l’incarico di professore universitario alla facoltà di economia di Fiume. I suoi omicidi infine furono coperti dall'amnistia e rientrato in Italia,si iscrisse all'ANPI tanto per gradire.

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