giovedì, aprile 05, 2018

L’uccisione del Brigadiere dei Carabinieri Umberto Bertoli “partigiano Umberto”. Bosco di Rezzo, Imperia


L’uccisione del Brigadiere dei Carabinieri Umberto Bertoli “partigiano Umberto”.
Bosco di Rezzo, Imperia



Anche sul ponente della Liguri, le esecuzioni sommarie e le vendette puramente personali , compiute da partigiani comunisti erano frequenti sia prima che dopo il 25 aprile 1945. Nell’Imperiese erano operative sul territorio, due brigate garibaldine, la “Cascione” e la “Bonfante”.
Questa tragica storia di sangue, riguarda un brigadiere dei Carabinieri di 44 anni, persona onesta e scrupolosa, che dopo l’8 settembre 1943, aveva scelto di fare parte della Resistenza e quindi di combattere contro l’occupazione Nazifascista. Il graduato dei carabinieri durante il suo servizio nell’Arma Benemerita, era una persona inflessibile ed onesta, il quale non lasciava spazio ai delinquenti che imperversavano nella zona.
Nel corso della sua attività istituzionale , fra le altre cose, assicurò alla giustizia un ladro, che aveva sottratto a dei contadini alcune coperte, questo era il normale servizio di un brigadiere dei Carabinieri in un periodo storico molto difficile, proprio questo ladro di coperte che fu condannato dal Giudice ascontare sei mesi di galera, non si dimenticò facilmente di Bertoli e giurò vendetta in cuor suo, alimentando nel tempo dentro sé, un odio ottuso e feroce nei confronti del Carabiniere il quale bloccandolo aveva semplicemente compiuto il proprio dovere.
E così purtroppo accadde, infatti dopo l’otto settembre 1943, il carabiniere Umberto Bertoli sceglie la via dei monti , assume il nome di battaglia “Umberto” e per un fatale e tragico destino si trova a combattere nella stessa unità partigiana, dove milita proprio la persona che egli ha arrestato per il furto delle coperte. Il ladro, in quel momento partigiano comunista, ha la memoria lunga e riconosce immediatamente Umberto Bertoli, da quel momento, pianifica la sua vendetta, che non puo’ che essere sanguinosa e crudele oltreché ingiustificata, visto che egli ha commesso un furto ed era stato legittimamente fermato dal carabiniere.
Il ladro – partigiano è pure fratello del comandante della brigata partigiana e quindi ha una grande facilità a mettere in atto il suo progetto criminale: il povero Bertoli, nonostante abbia ampiamente dimostrato di essere un antifascista sicuro ed affidabile, viene accusato ingiustamente di essere un delatore fascista, con questa infamante accusa, sarà trascinato sino ad una vastissima foresta nell’entroterra dell’Imperiese, il bosco di Rezzo, un faggeto che copre ben 600 ettari, molto fitto e in alcune sue parti inesplorato.
Questa vera e propria foresta è stata usata dai partigiani comunisti per compiervi esecuzioni sommarie di prigionieri Repubblicani o di benestanti a cui , oltre ai beni materiali veniva tolta anche la vita. L’immenso faggeto è raggiungibile da Imperia, verso il passo di San Bernardino, per poi scendere verso Andagna ( Molini di Triora) passando per Passo Teglia.
Queste atrocità avvenivano proprio nel Bosco di Rezzo per una serie di motivi: nessuno poteva vedere quello che accadeva nel fitto del bosco, nessuno poteva ascoltare gli spari persi nell’immensità dell’area verde e soprattutto gli assassini potevano seppellire i corpi degli sventurati sotto un palmo di terra, sicuri che la notte gli animali da preda avrebbero, nel giro di qualche settimana , fatto sparire i corpi o gran parte di essi. Qualcuno ha affermato che in quel bosco ci sono più morti che alberi e questa affermazione non è del tutto campata per aria.
Il 20 settembre 1944, il Bertoli, ignaro del destino che lo attende, è prelevato mentre sta andando a comprare il latte, sarà portato in località Casa Rossa, costretto crudelmente come è d’uso dei boia comunisti, a scavarsi la fossa sotto la minaccia delle armi dei suoi assassini, in quel momenti molto probabilmente avrà riconosciuto il ladro e compreso le infami motivazioni della sua esecuzione. Secondo un rapporto dei Carabinieri, avrebbe urlato in faccia al suo assassino : “ sei un vigliacco”. Appena gridate queste parole, fu abbattuto senza pietà, da una raffica di mitra e i due criminali gettarono qualche palata di terra sul corpo del poveretto allontanandosi per tornare alla loro brigata ferocemente soddisfatti.
Il destino di sangue che colpì il brigadiere Bertoli è il medesimo che colpì il maresciallo dei Carabinieri Barbagallo, ammazzato nella pubblica piazza di Albisola ( Savona)da un partigiano comunista dopo un feroce pestaggio, accusato di essere una spia fascista. Il brigadiere dei Carabinieri, Carmine Scotti ucciso a Bargagli, nell’entroterra di Genova dalla banda dei vitelli,una banda di ladri che fra le altre cose, facevano affari con la borsa nera di Genova, anche Scotti fu obbligato a scavarsi la fossa dai suoi assassini che peraltro conosceva benissimo.
Bertoli, Barbagallo e Scotti, tre carabinieri coraggiosi e giusti, assassinati dalla stessa genia di criminali, che dovevano vendicarsi di fedeli servitori dello stato oppure volevano coprire la loro immoralità ed i loro crimini compiuti o in via di compimento e questo la dice lunga sulla qualità di tanti soggetti che si fecero scudo della Resistenza per raggiungere un veloce arricchimento.
Bertoli, inoltre, fu una delle tante vittime di esecuzioni sommarie, uccise e seppellite nel famigerato bosco di Rezzo, che in seguito divenne sempre di più un grande scannatoio particolarmente dopo il 25 aprile 1945, e soprattutto divenne un gigantesco cimitero .
Trascorsero alcuni decenni dall’omicidio di Bertoli e un coraggioso avvocato, Gino Sandei del foro di Milano parente dell’ucciso, presenta un esposto-denuncia alla Procura della Repubblica, nell’aprile del 1985. Nell’esposto l’avvocato indica come presunti assassini due fratelli, partigiani di Oneglia , entrambi militanti di una formazione partigiana comunista, Pippo e Massimo Gismondi, al momento pensionati, uno dei quali decorato con grande sfarzo, da Pertini per meriti militari.
Dopo pochissimo tempo, purtroppo, l’accusa verso i due soggetti, sarà archiviata e non ci saranno conseguenze penali di nessun tipo , che si diranno scandalizzati e indignati per questo “attacco strumentale contro la Resistenza”, qualcuno griderà: “ è una manovra strumentale pilotata dai fascisti per sporcare la Resistenza”.
Il fatto curioso, che fa molto riflettere è che uno dei due ammise effettivamente, di aver “sequestrato” delle coperte per proteggersi dal freddo a un certo Nicola Terrucco ma che in quella occasione rilasciò una “regolare ricevuta. alle persone a cui prese le coperte”, inoltre sulla morte del Bertoli qualcuno rilasciò diverse versioni a volte contrastanti: inizialmente i due ex partigiani dissero che non avevano “mai sparato ad un uomo a sangue freddo”, poi che “avevano saputo della morte del brigadiere solo ora” e le ultime due versioni sono un campionario di ipocrisia: “ Bertoli era un delatore giustiziato dopo un regolare processo” e infine “ che era morto in combattimento con onore contro i fascisti”.
Insomma si tentò di seppellire la verità sotto il solito cumulo di menzogne controverse e incrociate, che i comunisti sono così bravi a creare per proteggere se stessi e i loro interessi. Dopo questa buriana, si svolsero molte riunioni tra i “reducisti ad oltranza della resistenza” e si arrivò anche a minacciare le solite denunce per tutelare il buon nome dello stesso Bertoli (sic), dei partigiani imperiesi e della resistenza. Furono sicuramente dichiarazioni involontariamente comiche.
Nonostante l’impegno civile dell’Avvocato Sandei, i due fratelli uscirono indenni dalle accuse perche’ l’omicidio era prescritto e pertanto chi aveva ucciso Umberto Bertoli poté continuare a camminare libero tra la gente ma con la coscienza pesante e le mani lorde di sangue di un innocente ma soprattutto un giusto.
Roberto NicolickQQ

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