L’uccisione del
Brigadiere dei Carabinieri Umberto Bertoli “partigiano Umberto”.
Bosco di Rezzo, Imperia
Anche sul ponente della Liguri, le
esecuzioni sommarie e le vendette puramente personali , compiute da
partigiani comunisti erano frequenti sia prima che dopo il 25 aprile
1945. Nell’Imperiese erano operative sul territorio, due brigate
garibaldine, la “Cascione” e la “Bonfante”.
Questa tragica storia di sangue,
riguarda un brigadiere dei Carabinieri di 44 anni, persona onesta e
scrupolosa, che dopo l’8 settembre 1943, aveva scelto di fare parte
della Resistenza e quindi di combattere contro l’occupazione
Nazifascista. Il graduato dei carabinieri durante il suo servizio
nell’Arma Benemerita, era una persona inflessibile ed onesta, il
quale non lasciava spazio ai delinquenti che imperversavano nella
zona.
Nel corso della sua attività
istituzionale , fra le altre cose, assicurò alla giustizia un
ladro, che aveva sottratto a dei contadini alcune coperte, questo era
il normale servizio di un brigadiere dei Carabinieri in un periodo
storico molto difficile, proprio questo ladro di coperte che fu
condannato dal Giudice ascontare sei mesi di galera, non si dimenticò
facilmente di Bertoli e giurò vendetta in cuor suo, alimentando nel
tempo dentro sé, un odio ottuso e feroce nei confronti del
Carabiniere il quale bloccandolo aveva semplicemente compiuto il
proprio dovere.
E così purtroppo accadde, infatti
dopo l’otto settembre 1943, il carabiniere Umberto Bertoli sceglie
la via dei monti , assume il nome di battaglia “Umberto” e per un
fatale e tragico destino si trova a combattere nella stessa unità
partigiana, dove milita proprio la persona che egli ha arrestato per
il furto delle coperte. Il ladro, in quel momento partigiano
comunista, ha la memoria lunga e riconosce immediatamente Umberto
Bertoli, da quel momento, pianifica la sua vendetta, che non puo’
che essere sanguinosa e crudele oltreché ingiustificata, visto che
egli ha commesso un furto ed era stato legittimamente fermato dal
carabiniere.
Il ladro – partigiano è pure
fratello del comandante della brigata partigiana e quindi ha una
grande facilità a mettere in atto il suo progetto criminale: il
povero Bertoli, nonostante abbia ampiamente dimostrato di essere un
antifascista sicuro ed affidabile, viene accusato ingiustamente di
essere un delatore fascista, con questa infamante accusa, sarà
trascinato sino ad una vastissima foresta nell’entroterra
dell’Imperiese, il bosco di Rezzo, un faggeto che copre ben 600
ettari, molto fitto e in alcune sue parti inesplorato.
Questa vera e propria foresta è stata
usata dai partigiani comunisti per compiervi esecuzioni sommarie di
prigionieri Repubblicani o di benestanti a cui , oltre ai beni
materiali veniva tolta anche la vita. L’immenso faggeto è
raggiungibile da Imperia, verso il passo di San Bernardino, per poi
scendere verso Andagna ( Molini di Triora) passando per Passo Teglia.
Queste atrocità avvenivano proprio nel
Bosco di Rezzo per una serie di motivi: nessuno poteva vedere quello
che accadeva nel fitto del bosco, nessuno poteva ascoltare gli spari
persi nell’immensità dell’area verde e soprattutto gli assassini
potevano seppellire i corpi degli sventurati sotto un palmo di terra,
sicuri che la notte gli animali da preda avrebbero, nel giro di
qualche settimana , fatto sparire i corpi o gran parte di essi.
Qualcuno ha affermato che in quel bosco ci sono più morti che alberi
e questa affermazione non è del tutto campata per aria.
Il 20 settembre 1944, il Bertoli,
ignaro del destino che lo attende, è prelevato mentre sta andando a
comprare il latte, sarà portato in località Casa Rossa, costretto
crudelmente come è d’uso dei boia comunisti, a scavarsi la fossa
sotto la minaccia delle armi dei suoi assassini, in quel momenti
molto probabilmente avrà riconosciuto il ladro e compreso le infami
motivazioni della sua esecuzione. Secondo un rapporto dei
Carabinieri, avrebbe urlato in faccia al suo assassino : “ sei un
vigliacco”. Appena gridate queste parole, fu abbattuto senza pietà,
da una raffica di mitra e i due criminali gettarono qualche palata di
terra sul corpo del poveretto allontanandosi per tornare alla loro
brigata ferocemente soddisfatti.
Il destino di sangue che colpì il
brigadiere Bertoli è il medesimo che colpì il maresciallo dei
Carabinieri Barbagallo, ammazzato nella pubblica piazza di Albisola
( Savona)da un partigiano comunista dopo un feroce pestaggio,
accusato di essere una spia fascista. Il brigadiere dei
Carabinieri, Carmine Scotti ucciso a Bargagli, nell’entroterra di
Genova dalla banda dei vitelli,una banda di ladri che fra le altre
cose, facevano affari con la borsa nera di Genova, anche Scotti fu
obbligato a scavarsi la fossa dai suoi assassini che peraltro
conosceva benissimo.
Bertoli, Barbagallo e Scotti, tre
carabinieri coraggiosi e giusti, assassinati dalla stessa genia di
criminali, che dovevano vendicarsi di fedeli servitori dello stato
oppure volevano coprire la loro immoralità ed i loro crimini
compiuti o in via di compimento e questo la dice lunga sulla qualità
di tanti soggetti che si fecero scudo della Resistenza per
raggiungere un veloce arricchimento.
Bertoli, inoltre, fu una delle tante
vittime di esecuzioni sommarie, uccise e seppellite nel famigerato
bosco di Rezzo, che in seguito divenne sempre di più un grande
scannatoio particolarmente dopo il 25 aprile 1945, e soprattutto
divenne un gigantesco cimitero .
Trascorsero alcuni decenni
dall’omicidio di Bertoli e un coraggioso avvocato, Gino Sandei del
foro di Milano parente dell’ucciso, presenta un esposto-denuncia
alla Procura della Repubblica, nell’aprile del 1985. Nell’esposto
l’avvocato indica come presunti assassini due fratelli, partigiani
di Oneglia , entrambi militanti di una formazione partigiana
comunista, Pippo e Massimo Gismondi, al momento pensionati, uno dei
quali decorato con grande sfarzo, da Pertini per meriti militari.
Dopo pochissimo tempo, purtroppo,
l’accusa verso i due soggetti, sarà archiviata e non ci saranno
conseguenze penali di nessun tipo , che si diranno scandalizzati e
indignati per questo “attacco strumentale contro la Resistenza”,
qualcuno griderà: “ è una manovra strumentale pilotata dai
fascisti per sporcare la Resistenza”.
Il fatto curioso, che fa molto
riflettere è che uno dei due ammise effettivamente, di aver
“sequestrato” delle coperte per proteggersi dal freddo a un certo
Nicola Terrucco ma che in quella occasione rilasciò una “regolare
ricevuta. alle persone a cui prese le coperte”, inoltre sulla morte
del Bertoli qualcuno rilasciò diverse versioni a volte contrastanti:
inizialmente i due ex partigiani dissero che non avevano “mai
sparato ad un uomo a sangue freddo”, poi che “avevano saputo
della morte del brigadiere solo ora” e le ultime due versioni sono
un campionario di ipocrisia: “ Bertoli era un delatore giustiziato
dopo un regolare processo” e infine “ che era morto in
combattimento con onore contro i fascisti”.
Insomma si tentò di seppellire la
verità sotto il solito cumulo di menzogne controverse e incrociate,
che i comunisti sono così bravi a creare per proteggere se stessi e
i loro interessi. Dopo questa buriana, si svolsero molte riunioni tra
i “reducisti ad oltranza della resistenza” e si arrivò anche a
minacciare le solite denunce per tutelare il buon nome dello stesso
Bertoli (sic), dei partigiani imperiesi e della resistenza. Furono
sicuramente dichiarazioni involontariamente comiche.
Nonostante l’impegno civile
dell’Avvocato Sandei, i due fratelli uscirono indenni dalle accuse
perche’ l’omicidio era prescritto e pertanto chi aveva ucciso
Umberto Bertoli poté continuare a camminare libero tra la gente ma
con la coscienza pesante e le mani lorde di sangue di un innocente ma
soprattutto un giusto.
Roberto NicolickQQ
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