venerdì, agosto 17, 2018

L'omicidio del Maresciallo Berardi a Torino da parte delle BR

Maresciallo di P.S. Rosario Berardi
Commissariato porta Palazzo
Torino
Rosario Berardi, maresciallo della polizia, nativo di Bari ma cresciuto a Ruvo di Puglia, già in servizio presso la Questura di Bari, padre di 5 figli, alle 7,30 del mattino del 10 marzo 1978, beve una tazza di caffè con la moglie e poi esce per recarsi al lavoro, ex appartenente alla Digos, dipartimento investigativo generale e operazioni speciali, aveva maturato una grande esperienza nel campo della lotta al terrorismo partecipando a numerose operazioni di servizio, con la scoperta di alcuni covi di brigatisti ed all'arresto di molti appartenenti alle bierre, fra cui Maurizio Ferrari.
Berardi, tranquillo e sereno, esce dal portone numero 1 di Via Manin, quartiere Vanchiglia, Torino, a piedi come al solito si dirige in Corso Belgio dove c'è la fermata del tram numero 7, che lo avrebbe portato al lavoro al Commissariato di Porta Palazzo dove attualmente prestava servizio.
In corso Belgio, un gruppo di brigatisti, quattro, di cui tre uomini e una donna, sono in agguato, armati, appostati in auto dalla mattina, una comune 128 FIAT di colore blu, posteggiata dalla parte opposta alla fermata del tram su cui sarebbe salito Berardi, molto probabilmente hanno studiato per settimane e forse per mesi le sue abitudini, l'autista tiene il motore acceso, perchè a poca distanza c'è il commissariato di polizia del quartiere Vanchiglia.
Quando Rosario Bersrdi esce dal portone di casa, in borghese e con la pipa tra i denti, il meccanismo omicida si mette in moto, una donna, Nadia Ponti “Marta” segnala l'arrivo della vittima ai suoi compagni che scendono dall'auto in tre, uno di essi, Patrizio Peci, “Mauro” ha un mitra nascosto sotto il soprabito e si muove parallelo alla vittima nella sua stessa direzione, in attività di copertura, gli altri due, Cristoforo Piancone “Sergio”, e Vincenzo Acella “Filippo”, attraversano in diagonale la strada e e si portano alle sue spalle, estraggono le loro armi, una Nagant MI 895 e una Beretta Serie 70, ed esplodono tre proiettili tutti andati a segno, con due pistole di diverso calibro.
Il maresciallo non riesce ad estrarre la sua pistola di ordinanza che custodiva nel borsello e cade a terra ferito gravemente ma ancora in vita, ha un gesto istintivo : con le mani cerca di ripararsi il volto.
La gente rimane paralizzata dal terrore ma non si può avvicinare alla vittima perchè il terrorista con il soprabito imbraccia il mitra e minaccia i presenti, gli altri due si avvicinano al maresciallo a terra e gli sparano altri quattro colpi al capo e ad un braccio, prima di risalire sull'auto i terroristi afferrano il borsello del maresciallo con dentro i suoi effetti personali, agendina dove il maresciallo custodiva i recapiti telefonici di una ventina di suoi ex collaboratori dell'antiterrorismo che ovviamente da quel momento sono in pericolo anch'essi e l'arma in dotazione, una Beretta calibro 9 con caricatore bifilare. La 128 sparisce nel traffico
L'azione si svolge in meno di un minuto. Un passante corre al Commissariato Vanchiglia e avverte della sparatoria, arriva un agente con la pistola in pugno che riconosce il maresciallo, ma non può fare altro che telefonare alla Croce Rossa, purtroppo Berardi arriva morto alle Molinette.
I posti di blocco non danno alcun risultato, i brigatisti si sono mossi in modo militare e con spietatezza fidando nella debolezza politica dello stato che non lascia libertà di azione alle forze di polizia.
In questura centrale la notizia arriva come una bomba e scatena il dolore e la rabbia degli agenti, dei sottufficiali e dei funzionari, Berardi era un operatore onesto, preparato e molto stimato dai suoi colleghi. La sua famiglia ne è sconvolta, come ne è colpita la città di Torino.
Il giorno successivo una telefonata all'ANSA, fa ritrovare alle 15, in una cabina telefonica di Via Cibrario un volantino delirante e pieno di odio, in cui le Bierre rivendicano l'omicidio del sottufficiale “nel quadro del più generale attacco alla struttura militare del nemico”.
Nel mega processo alle Bierre nella ex caserma Lamarmora, gli imputati tentano di leggere un analogo comunicato di rivendicazione ma il Presidente della Corte Giudicante glielo impedisce.
Le indagini investigative non porteranno a nulla, poi, due anni dopo, Patrizio Peci un terrorista pentito si autoaccuserà e farà una chiamata di correo nei confronti di Nadia Ponti, Vincenzo Acella e Cristoforo Piancone.

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