domenica, ottobre 21, 2018

La strage della famiglia Turchi maggio 1945, località Ciatti, Savona



La strage della famiglia Turchi in località Ciatti
13 maggio 1945

Fu una strage di una famiglia, la famiglia Turchi, i cui responsabili non furono mai identificati. La famiglia Turchi aveva un orientamento politico vicino alla RSI, ma non erano combattenti, non erano delatori, erano semplicemente una famiglia normale come ce ne sono tante in allora e adesso che abitava un casolare con del bestiame e dei campi coltivati con cui la famiglia viveva.
C'era un padre di 65 anni, Flaminio Turchi, la moglie Caterina Carlevari di 48 anni e le giovani figlie, Giuseppina, detta Pia, di anni 25, Pierina di 23 e la più giovane Maria di 20. I Turchi erano benestanti, anche per questo la famiglia era nel mirino da tempo, subito dopo la liberazione, le due ragazze più giovani, erano state sequestrate dai partigiani e sottoposte al taglio coatto dei capelli, la classica pena per le donne accusate di aver collaborato con i fascisti.
Per questo gesto di prepotenza, il padre delle ragazze, Flaminio Turchi , uomo diretto e deciso, si recò alla sede del CNL e protestò per la prepotenza gravissima che le sue ragazze avevano subito
Si trattava di una cascina isolata, abbastanza grande, che dava da vivere alla famiglia Turchi, era localizzata sulle colline nord di Savona, in località Ciatti.
Secondo alcune voci, cinque assassini arrivarono ai Ciatti, la notte del 13 maggio 1945, irruppero nella casa, e fecero la strage, che ha analogie molto, troppo precise, con quella della famiglia Biamonti, avvenuta pochissimi giorni dopo, i cui responsabili furono però individuati, rinviati a giudizio e condannati.
Decine di pallottole di mitra furono sparate in uno spazio ristretto della cucina. Dopo qualche ora, all'alba, Maria fu trovata dagli operai delle funivie nel mezzo del bosco accanto alla cascina dei Turchi, morta dissanguata dove si era trascinata, lontano dalla mattanza.
Gli altri componenti la famiglia furono rinvenuti all'interno della cucina, nel cortile della casa c'era anche il cane della famiglia ammazzato anch'esso, forse aveva cercato di azzannare gli aggressori dei suoi padroni, è evidente la matrice politica dei killer che compirono questo ennesimo eccidio, partigiani comunisti.
Ipocrita fu l'atteggiamento della polizia ausiliaria partigiana che prese solo atto dell'accaduto.
E' molto probabile che gli assassini dei Turchi fossero un gruppo di fuoco, coordinato o vicino a quello che sterminarono i Biamonti di Legino.
Ci fu un seguito alla strage, come con i Biamonti, la casa dei Turchi fu depredata di ogni bene, denari, ori e abbigliamento.
Il parroco di Lavagnola di quegli anni, Don Pino Cristoforoni, appena seppe dell'accaduto, salì ai Ciatti, dove benedisse i corpi delle vittime , quindi li fece raccogliere e caricare su di un carretto, per trasportarli al campo santo di Zinola.
Lungo la strada che è in discesa nelle adiacenze di Corso Ricci, il cadavere della ragazza più giovane, Maria, sballottato dagli scossoni, pendeva in modo scomposto dal carretto, con il capo ed un braccio che erano trascinati sulla strada, una signora che era li accanto con la figlioletta di pochi anni, la signora P. si avvicinò e dopo aver fatto fermare il mezzo, riordinò in modo dignitoso il corpo della povera ragazza.
Mentre dava seguito a questo suo gesto di pietà, arrivò un uomo, dall'aspetto ripugnante, che la spinse via minacciandola con grevi parole. La figlia della donna, che fece in seguito l'insegnante, non dimenticò mai questa scena, l'atteggiamento di questo energumeno e l'odio che traspariva dai suoi gesti. La donna spaventata ed indignata, si allontanò dal carretto che proseguì con il suo mesto carico. La casa dei Turchi, conservò per qualche decennio i segni delle pallottole sulle pareti interne, poi fu abbattuta e al suo posto venne costruita una palazzina più recente.

Roberto Nicolick

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Cesare B Cairo Montenotte 13 agosto 1987 Questo omicidio non ebbe risonanza mediatica solo nella provincia di Savona ma anche a livello nazionale e non solo. Con questo delitto dai risvolti intricati, il piccolo centro della Valle Bormida assurse alla ribalta delle cronache nazionali. Fu una vicenda contorta e ingarbugliata, con chiari e scuri, con frequenti colpi di scena, dove tutto quello che sembrava come tale , in realtà non era come appariva, era come un teatrino in cui entravano ed uscivano attori sempre diversi con ruoli criptici. Una storia di sangue, di soldi e ovviamente di sesso, che coinvolse l’opinione pubblica con tutti i suoi numerosi protagonisti, offrendo all’occhio impietoso della gente una immagine, purtroppo veritiera, della piccola provincia, delle ipocrisie che nascono tuttora all’ombra dei campanili, delle storie extraconiugali che venivano nascoste ma che prosperavano e che si protraevano nel tempo spesso con un doloroso epilogo. Da questa vicenda si fece pure un film noir con Monica Guerritore come protagonista. Per una dei protagonisti della vicenda, forse la principale, si coniò un soprannome: la mantide di Cairo Montenotte, facendo riferimento all’abitudine dell’omonimo insetto femmina che uccide il partner maschio dopo il rapporto sessuale. Le vite di molte persone, coinvolte a vario titolo nelle indagini, furono rivoltate come calzini, molti particolari, soprattutto, intimi vennero messi in piazza e non solo nelle aule di tribunali. Ancora oggi, nonostante la conclusione giudiziaria con una colpevole condannata in via definitiva, molti dubbi sussistono , soprattutto nella gente del posto che conosceva benissimo i protagonisti della vicenda. La storia ebbe inizio con una improvvisa scomparsa di un uomo, Cesare B, classe 1931, noto personaggio e notabile della Valle Bormida, consigliere comunale di Cairo Montenotte, facoltoso farmacista, con la passione prima per l’equitazione e poi per il calcio. Egli è il patron della squadra calcistica locale, la Cairese, che segue con grande passione e che sponsorizza a livello economico dando la possibilità alla squadra di effettuare trasferte e di avere giocatori di spicco. Come tutti gli uomini , Cesare B, nonostante fosse sposato e quindi tenesse famiglia, amava frequentare le donne, quelle belle. Egli conosce e inizia a frequentare una donna , Gigliola G, molto graziosa , di corporatura minuta, con una caschetto di capelli biondo, grazie al suo fascino magnetico, lei sapeva affascinare e sedurre gli uomini nella loro fantasia. Di professione fa la gallerista, esponeva e vendeva quadri, nel centro di Cairo. Tuttavia la donna era nata professionalmente come infermiera, aveva anche svolto la professione sanitaria in un orfanotrofio e quindi in una fabbrica a sempre Savona , la Magrini, in quel contesto lavorativo si era sposata con un metronotte da cui ha 2 figli. In seguito contrarrà altri due matrimoni, avrà un’altra figlia, e avvierà altre relazioni . Fra l’altro la donna in prima istanza si chiamava Anna Maria, mutato successivamente nell’attuale Gigliola. Fra Cesare e Gigliola, nasce una relazione amorosa che si protrae, Cesare provvede a tutte le necessità economiche della donna, paga senza fare domande per tutto quello che gli viene chiesto. I pettegolezzi su questa relazione si sprecano considerando anche il fatto che cesare è un uomo molto conosciuto e stimato e che entrambi vivono in un paese dove la gente "mormora". Dunque il 12 agosto del 1987 , il farmacista scompare senza lasciare traccia. Da qui si sviluppa una storia complicatissima, il suo corpo in parte carbonizzato viene trovato sul monte Ciuto, una altura nelle adiacenze di Savona. Effettuato il riconoscimento grazie ad un portachiavi metallico che riporta il simbolo dell'ordine dei farmacisti, alle protesi dentali e alle lenti degli occhiali. Brin era di corporatura massiccia, per ucciderlo, trasportarlo sino a quel sito ci sono volute sicuramente più di una persona. La prima indiziata è la sua amica, Gigliola G, la quale sostiene che responsabili dell’omicidio e poi dell’occultamento furono due personaggi provenienti da Torino con cui l’uomo aveva delle pendenze economiche in corso. Secondo la sua versione nacque una colluttazione tra i due e il farmacista ne uscì pesto e sanguinante, quindi i due aggressori trascinarono via l’uomo. La donna non portò elementi oggettivi a sostegno della sua tesi e quindi venne arrestata e rinviata a giudizio. Un minuscolo frammento di teca cranica venne trovato sulle scale della casa della gallerista e alcune macchie di sangue erano sui muri della camera da letto della casa della Gigliola, dove in effetti viveva di fatto anche il Brin. Secondo gli inquirenti la responsabile principale dell’omicidio fu proprio lei che in concorso con il suo convivente, Ettore G, uccise con un corpo contundente sul capo, un martello o un altro soprammobile, l’uomo nella notte fra il 12 e il 13 di agosto dell’87 mentre egli era disteso inerme nel letto, infatti i fendenti sono chiaramente dall’alto verso il basso, il delitto è avvenuto d’impeto come risultato di tutta una serie di contrasti anche su questioni a carattere economico, che sarebbero alla lunga sfociati in una separazione, forse l’uomo aveva in progetto di tornare dalla propria famiglia e in questo caso veniva a mancare per la gallerista una fonte di reddito. Pare anche che il farmacista avesse rifiutato un prestito di un centinaio di milioni alla donna, richiesti da lei con insistenza. Inoltre sempre secondo le indagini c’era un gruppetto di quattro persone che aiutarono concretamente la coppia a trasportare e occultare il cadavere sino al monte Ciuto, cosa che la donna da sola non poteva oggettivamente fare, il quartetto era formato da un funzionario di polizia in pensione, un politico locale, un artigiano e un collaboratore della vittima, tutti questi verranno riconosciuti colpevoli e condannati a pene minori. Vi furono tre gradi di giudizio e nell’ultimo, presso la suprema corte di Cassazione, venne confermata la condanna a 26 anni per la donna a suo marito 15 anni, mentre agli imputati minori , quattro uomini, vennero date pene minori.