Arnaldo Vischi, era un valente
dirigente di azienda, lavorava presso le Officine Reggiane come
direttore generale,le Officine Reggiane erano un importante complesso
industriale con circa 7000 dipendenti. Durante la seconda guerra
mondiale le O.R. producevano materiale bellico in particolare aerei
da combattimento e proiettili da artiglieria.
L'ing. Vischi era una brava persona
molto amata dalle maestranze e faceva la spola tra la fabbrica a
Reggio e la famiglia che si trovava sfollata a Fosdondo. Con la fine
della guerra la dirigenza della fabbrica si trova nelle condizioni di
affrontare un ridimensionamento del numero del numero degli operai,
tale incarico gravoso e pericoloso viene affidato a Vischi , anche il
CLN , molto influente in una zona comunista non trova nulla da
eccepire sulla qualità morale di Armando Vischi e dà il suo
beneplacito.
La sera del 31 agosto mentre Vischi, in
auto tornava a casa dai suoi famigliari veniva fermato da tre ex
partigiani comunisti, rapito e portato in un borgo vicino a Santa
Maria della Fossa nel comune di Novellara. Alla mattina successiva il
suo cadavere era ritrovato accanto ad un rigagnolo.
Vischi era stato ucciso con modalità
usate dai partigiani comunisti, tuttavia la commissione interna della
fabbrica tentava maldestramente di addebitare l'omicidio ad elementi
“fascisti e reazionari”. In realtà Vischi era persona
stimatissima ed aliena dalla politica. Per la cattura dei suoi
assassini si pose anche una taglia di un milione di lire e la
polizia, quella ausiliari partigiana, indagò in un territorio molto
difficile ad alta concentrazione di ex partigiani comunisti con
ancora arsenali nascosti ma tenuti sempre in efficienza.
Al centro delle indagini furono da
subito tre operai delle Reggiane, Nello Riccò, Giuseppe Grassi e
Emore Casoli tutti iscritti al PCI ed ex partigiani comunisti, tratti
in arresto ma subito e arbitrariamente, un tenente della polizia
ausiliaria partigiana, Renzo Caffani liberava Riccò che
misteriosamente spariva dalla circolazione. Caffani era un ex partigiano comunista.
Un altro episodio inquietante si
inserisce nella vicenda, il partigiano Vivaldo Donelli, impiegato
delle Reggiani, con l'incarido di compiere una indagine interna
sull'omicidio di Vischi viene sequestrato e pestato a sangue, in
quella occasione apprende che il Presidente dell'ANPI , nonché
segretario del PCI di Reggio, Didimo Ferrari, avrebbe dato ordine di
“giustiziarlo”.
Vista la situazione di inquinamento
politico, l'attività investigativa veniva affidata ai Carabinieri,
nella persona del Capitano Pasquale Vesce che procedeva a diversi
arresti, oltre a Grassi e Casoli, anche Renzo Caffani , partigiano
“celeste” che nella sua veste di tenente della polizia ausiliaria
partigiana per aver dolosamente liberato Riccò su intercessione del
segretario del PCI di Reggio Emilia , Arrigo Nizzoli.
Inoltre i Carabinieri denunciano a
piede libero, Armando Attolini assessore comunista di Reggio, Alfredo
Casoli , operaio, Adelmo Beggi , Alfredo Gerioni ex partigiano
“topo”, Adelmo Beggi ex partigiano “padella”, Odino Cattini
ex poliziotto ausiliario partigiano, Luciano Vecchi operaio, questi
ultimi per sequestro di persona nei confronti dell'impiegato delle
Reggiane, Vivaldo Donelli, incaricato dalla direzione di svolgere una
inchiesta interna sull'omicidio di Vischi. Altri denunciati sono ,
Ultimio Canapini e Alfredo Ghidoni per complicità in sequestro di
persona nei confronti di Donelli.
Il processo per l'omicidio di Vischi,
si svolse presso la Corte di Assise di Ancona e vide ben 13 imputati
alla sbarra per omicidio, sequestro di persona e percosse, di cui tre
in stato di arresto, due a piede libero e otto latitanti.
Il processo di Ancona si concluse,
dopo 5 ore di camera di consiglio, con le seguenti condanne, Nello
Riccò, latitante , condannato a 22 anni, Giuseppe Grassi, detenuto,
condannato a 22 anni, entrambi godono di tre anni di condono, Renzo
Cafarri e Didimo Ferrari latitanti, condannati a otto anni di cui
quattro condonati, Armando Apollini e Adelmo Vecchi, latitanti,
condannati a tre anni. Tutti i latitanti erano ospitati in
Cecoslovacchia.
Robert Nicolick
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