Virginio Chiappori,
Severino Chiappori e Filippo Bussi
Montegrosso D'Asti
14 maggio 1945
In provincia di Asti
erano operative diverse unità partigiane, nella zona di Mombercelli
c'era la 7° Divisione Garibaldi i cui capi erano Giovanni Battista
Reggio, detto gatto, e Valentino Ghione già precedentemente in una
formazione della RSI, accanto alla regione della 7° divisione
Garibaldi in un territorio adiacente a Montegrosso D'Asti, c'era una
unità dalla configurazione politica non definita, ma soprannominata
Azzurra, il cui capo era Angelo Roasio, detto Poli.
La convivenza tra le due
unità partigiane non era facile, ma si era creato un equilibrio
anche se delicato e precario.
Il Podestà o meglio l'ex
podestà di Montegrosso d'Asti, era un commerciante di vino, Virginio
Chiappori che era bene accetto un po da tutti, in quanto evitava di
fare scelte di natura politica molto precise, ma badava solo ad
amministrare bene il centro, il suo lavoro amministrativo era stato
talmente onesto e corretto che dopo il 25 aprile 1945 era stato
riconfermato in carica.
Nelle prime settimane del
maggio 1945, in frazione Valle di Montegrosso, vennero organizzati
due balli il cui incasso doveva andare in beneficenza, nel primo andò
tutto bene nel secondo nacquero dei tafferugli durante i quali un
esponente della brigata Garibaldina fu preso a schiaffi per futili
motivi dai partigiani azzurri.
Il capo della divisione
comunista dopo aver aprreso i fatti, volle vendetta e identificò
nell'ex podestà il responsabile di questa offesa in quanto a suo
dire egli simpatizzava per i partigiani azzurri.
La notte del 15 maggio
1945, due macchine con a bordo Reggio e Ghione si fermò davanti alla
casa dell'ex Podestà Chiappori, ne scesero alcuni uomini armati e
attraverso un segnale conosciuto da pochi, si fecero aprire la porta,
quindi sotto la minaccia delle armi prelevarono Virginio Chiappori e
il figlio Severino, dicendo che dovevano essere trasportati a
Mombercelli per essere interrogati, poi passarono dalla casa del
barbiere del paese, Filippo Bussi, con la scusa che egli era amico
dei due Chiappori.
Il giorno successivo, i
tre sequestrati vennero trovati morti in località Rivellino di
Montaldo Scarampi crivellati da colpi d'arma da fuoco. Il Gatto si
assunse la responsabilità dei tre omicidi qualificandoli come azione
di polizia, nei confronti di tre fascisti repubblicani, la solita
scusa .
La tragedia non uscì dai
confini del territorio per diversi anni, la famiglia di Chiappori si
chiuse nel suo dolore per questo terribile gesto che non aveva
giustificazioni .
Per molti anni la strage
rimase quasi sconosciuto, ma emerse in tutta la sua tragicità quando
uno degli assassini, Reggio detto gatto, fu proposto per il
conferimento di una medaglia d'oro al V.M.
per le sue azioni
partigiane, fu in questa occasione che i Carabinieri esaminarono
anche tutta questa vicenda e quindi passarono il fascicolo alla
Procura della Repubblica che rinviò a giudizio Reggio e Ghione
presso la C.di A. di Padova.
Il processo si svolse in
tale città lontano da condizionamenti, con l'accusa ai due imputati
di : violazione di domicilio, triplice sequestro di persona e
omicidio volontario ed aggravato. Durante il processo uno degli
imputati raccontò a motivazione del triplice omicidio, che i tre
tentarono la fuga ed egli e il suo sottoposto, Ghione, furono
costretti ad ucciderli per fermarne la fuga.
Ebbero modo di
testimoniare all'udienza anche la vedova di Chiappori, la figlia e il
fratello, tutti affermarono che Virginio Chiappori dimostrò sempre
di essere un bravo amministratore, non fazioso e di aver sempre
beneficato i partigiani sia comunisti che azzurri.
Inoltre si appurò che il
figlio Severino, ex allievo ufficiale alla scuola di Asti, volle
seguire volontariamente il padre durante il sequestro perchè non si
fidava dell'atteggiamento dei partigiani. Alla fine dei tre gradi di
giudizio, anche la Corte di Cassazione respinse il ricorso dei due
capi partigiani, condannandoli a trentanni ciascuno di reclusione,
tuttavia grazie ai numerosi condoni essi scontarono solo due anni a
testa. Anche se tornarono in libertà dopo una pena risibile per
quello che avevano fatto, erano a tutti gli effetti due assassini
riconosciuti.
Robert Nicolick
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