giovedì, giugno 04, 2020

Virginio Chiappori, Severino Chiappori e Filippo Bussi Montegrosso D'Asti


Virginio Chiappori, Severino Chiappori e Filippo Bussi
Montegrosso D'Asti
14 maggio 1945



In provincia di Asti erano operative diverse unità partigiane, nella zona di Mombercelli c'era la 7° Divisione Garibaldi i cui capi erano Giovanni Battista Reggio, detto gatto, e Valentino Ghione già precedentemente in una formazione della RSI, accanto alla regione della 7° divisione Garibaldi in un territorio adiacente a Montegrosso D'Asti, c'era una unità dalla configurazione politica non definita, ma soprannominata Azzurra, il cui capo era Angelo Roasio, detto Poli.
La convivenza tra le due unità partigiane non era facile, ma si era creato un equilibrio anche se delicato e precario.
Il Podestà o meglio l'ex podestà di Montegrosso d'Asti, era un commerciante di vino, Virginio Chiappori che era bene accetto un po da tutti, in quanto evitava di fare scelte di natura politica molto precise, ma badava solo ad amministrare bene il centro, il suo lavoro amministrativo era stato talmente onesto e corretto che dopo il 25 aprile 1945 era stato riconfermato in carica.
Nelle prime settimane del maggio 1945, in frazione Valle di Montegrosso, vennero organizzati due balli il cui incasso doveva andare in beneficenza, nel primo andò tutto bene nel secondo nacquero dei tafferugli durante i quali un esponente della brigata Garibaldina fu preso a schiaffi per futili motivi dai partigiani azzurri.
Il capo della divisione comunista dopo aver aprreso i fatti, volle vendetta e identificò nell'ex podestà il responsabile di questa offesa in quanto a suo dire egli simpatizzava per i partigiani azzurri.
La notte del 15 maggio 1945, due macchine con a bordo Reggio e Ghione si fermò davanti alla casa dell'ex Podestà Chiappori, ne scesero alcuni uomini armati e attraverso un segnale conosciuto da pochi, si fecero aprire la porta, quindi sotto la minaccia delle armi prelevarono Virginio Chiappori e il figlio Severino, dicendo che dovevano essere trasportati a Mombercelli per essere interrogati, poi passarono dalla casa del barbiere del paese, Filippo Bussi, con la scusa che egli era amico dei due Chiappori.
Il giorno successivo, i tre sequestrati vennero trovati morti in località Rivellino di Montaldo Scarampi crivellati da colpi d'arma da fuoco. Il Gatto si assunse la responsabilità dei tre omicidi qualificandoli come azione di polizia, nei confronti di tre fascisti repubblicani, la solita scusa .
La tragedia non uscì dai confini del territorio per diversi anni, la famiglia di Chiappori si chiuse nel suo dolore per questo terribile gesto che non aveva giustificazioni .
Per molti anni la strage rimase quasi sconosciuto, ma emerse in tutta la sua tragicità quando uno degli assassini, Reggio detto gatto, fu proposto per il conferimento di una medaglia d'oro al V.M.
per le sue azioni partigiane, fu in questa occasione che i Carabinieri esaminarono anche tutta questa vicenda e quindi passarono il fascicolo alla Procura della Repubblica che rinviò a giudizio Reggio e Ghione presso la C.di A. di Padova.
Il processo si svolse in tale città lontano da condizionamenti, con l'accusa ai due imputati di : violazione di domicilio, triplice sequestro di persona e omicidio volontario ed aggravato. Durante il processo uno degli imputati raccontò a motivazione del triplice omicidio, che i tre tentarono la fuga ed egli e il suo sottoposto, Ghione, furono costretti ad ucciderli per fermarne la fuga.
Ebbero modo di testimoniare all'udienza anche la vedova di Chiappori, la figlia e il fratello, tutti affermarono che Virginio Chiappori dimostrò sempre di essere un bravo amministratore, non fazioso e di aver sempre beneficato i partigiani sia comunisti che azzurri.
Inoltre si appurò che il figlio Severino, ex allievo ufficiale alla scuola di Asti, volle seguire volontariamente il padre durante il sequestro perchè non si fidava dell'atteggiamento dei partigiani. Alla fine dei tre gradi di giudizio, anche la Corte di Cassazione respinse il ricorso dei due capi partigiani, condannandoli a trentanni ciascuno di reclusione, tuttavia grazie ai numerosi condoni essi scontarono solo due anni a testa. Anche se tornarono in libertà dopo una pena risibile per quello che avevano fatto, erano a tutti gli effetti due assassini riconosciuti.

Robert Nicolick

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