mercoledì, luglio 29, 2009

COME L'ANPI DAVA LE NOTIZIE DELLE AVVENUTE FUCILAZIONI


Notizie di cortesia
La fine del Finanziere Natale Alampi

Sto effettuando delle consultazioni , sulla guerra civile che insanguinò Savona e Provincia, presso l’Archivio di Stato e fra tutte le altre cose, strane e terribili, che mi hanno impressionato, questa che ora intendo pubblicare è indicativa del tipo di atteggiamento e cultura che i partigiani comunisti nutrivano nei confronti dei non comunisti, che notate bene, per essere “liquidati” ,non necessariamente dovevano essere fascisti o repubblicani.

La storia, triste e terribile allo stesso tempo riguarda un graduato della Regia Guardia di Finanza, per la precisione l’Appuntato Natale Alampi, un Calabrese, arrivato dalla Sua terra natia per prestare servizio in Provincia di Savona e reprimere i reati a carattere tributario.
Alampi , sposato a Noli con Parisina Baldini, e bravo finanziere, e’ un agente scrupoloso e ovviamente questo suo comportamento inflessibile può dare fastidio. Infatti, Alampi, che non e’ un fucilatore fascista, non e’ un torturatore di partigiani, non e’ un boia, viene preso e “liquidato” come qualcuno in quel periodo buio e terribile sapeva fare con efficienza e competenza. Il poveretto ad appena trentanove anni sparisce , e di lui non si sa piu’ nulla.
La moglie, Parisina Baldini, e i suoi commilitoni della Guardia di Finanza lo cercano ovunque ma non riescono a ritrovarlo. La burocrazia fa il suo corso e , circa un anno dopo, il primo di novembre del 1946, arriva bontà sua, dall’A.N.P.I. di Finale Ligure, con sede nella cosiddetta Casa del Popolo , una breve e gelida comunicazione , siglata e timbrata, le poche righe dattiloscritte, grondano indifferenza e sovietica insensibilità :

“ …Da informazioni da noi assunte, ci risulta che il Milite Tributario Alampi Natale e’ stato prelevato e fucilato dalle formazioni partigiane della div. G. Bevilacqua il 16.03.1945.
Si rilascia la presente a richiesta della moglie e per l’atto di morte: esecuzione a Campo Stringhini alle ore 7,30…”

Il tutto condito da timbri tondi e strane ed incomprensibili sigle.
Insomma, Natale Alampi viene prelevato e fucilato, a insaputa di tutti, compresi moglie e superiori e colleghi della Guardia di Finanza, e non se ne conosce la ragione, come non si sa se il finanziere sia stato sottoposto ad un qualsiasi tipo di istruttoria o processo, magari da un tribunale del popolo e non si conoscono soprattutto i nomi dei partigiani che lo hanno ammazzato e non si sa la ragione per cui e’ stato ucciso, ne dove e’ finito il suo corpo.
Uniche notizie certe : ora e data della esecuzione sommaria e luogo : il famigerato “campo Stringhini”, situato, pare a Montagna, accanto ad un noto campo di concentramento gestito dalla tristemente nota polizia partigiana, e mai realmente localizzato, sito dove venivano trascinate dai partigiani comunisti le loro inermi vittime, colpevoli unicamente di non essere comuniste, ammazzate e pare seppellite in una adiacente fossa comune.
A parte questo ennesimo atto di terrorismo consumato ai danni di un innocente, mi ha colpito il documento stilato dall’A.N.P.I. di Finale, la sua ignobile freddezza , la sua terribile aridità, un altro tassello per demolire la favola dei partigiani tutti buoni ed idealisti.

Roberto Nicolick

martedì, luglio 21, 2009

LA STRAGE DI COSTA D'AMEGLIA

La Strage di Costa d'Oneglia, avvenuta nella notte tra il 4 maggio e il 5 maggio 1945, fu un'esecuzione sommaria di ventisei persone appartenenti o sospettate di appartenere all'esercito della Repubblica Sociale Italiana o al Partito Fascista Repubblicano compiuto da partigiani comunisti appartenenti alle formazioni garibaldine.

La sera del 4 maggio, alle 11 della sera, si presentarono al carcere di Imperia un gruppo di armati, che intimarono i guardiani di aprire la porta. Entrati nel carcere si qualificarono come membri della polizia partigiana incaricati di prelevare un certo numero di prigionieri colà custoditi. Una trentina di persone furono isolate dagli altri prigionieri e sommariamente processate. Secondo lo storico Giorgio Pisanò, all'epoca combattente nella Xª Flottiglia MAS, i prigionieri subirono anche sevizie di vario tipo. Dei trenta iniziali due furono rilasciati, i fratelli Quinto e Carlotto Daneri, che durante la guerra civile avevano finanziato la Resistenza. I partigiani presero in consegna gli altri 28 prigionieri che, fatti salire a bordo di due autocarri, portarono via dopo averli legati col fil di ferro.


Gli autocarri, scortati da una quarantina di partigiani e pieni di prigionieri si diressero fuori città. Giunti in località Cappuccini, i prigionieri furono fatti scendere e avviati a piedi fino a Costa d'Oneglia. I condannati, arrivati presso la chiesa del Carmine, ottennero la possibilità di poter entrare per un'ultima preghiera, ma alla fine intonarono in coro "Giovinezza". Questo fatto fece infuriare i partigiani che li trascinarono via a forza per un altro centinaio di metri fino ad una trincea scavata dai tedeschi durante la guerra appena conclusa. Le vittime furono spinte sul bordo della buca e li uccise a raffiche di mitra. Tra le vittime figurava anche l'onorevole Pietro Salvo, ex deputato del PNF. Tra questi si salvò solamente Francesco Agnelli, che pur coperto di ferite, si districò dai cadaveri e raggiunse degli amici a Diano Castello ai quali raccontò i fatti. Ma nelle 48 ore dopo fu rintracciato dai partigiani e nuovamente fucilato. L'intervento dei settori moderati della Resistenza impedì che nei giorni immediatamente successivi altri civili fossero nuovamente tratti dal carcere di Imperia. Il CLN tre giorni dopo la strage fece affiggere un manifesto in cui si condannava la strage e si invitava alla pacificazione.

Nonostante questo, il 18 giugno, furono prelevare e uccise ancora due giovani infermiere ex appartenenti del SAF sospettate di conoscere i nomi degli autori della strage, Giovanna Serini e Lidia Bosia. Furono violentate ed uccise a Oliveto di Imperia, nei pressi di Oneglia

In una testimonianza resa il 16 giugno 1945 dall'avvocato Ambrogio Viale, nuovo prefetto della provincia di Imperia: "In quei giorni i partigiani facevano le cose a modo loro. E disponevano delle carceri senza nessuna disciplina. Introducendovi persone prese a casaccio e liberando quelle che ritenevano meritevoli d'essere scarcerate"


Le vittime di Costa d'Oneglia

Pietro Salvo
Negoziante di olio
Porto Maurizio (Im)
54 anni
Ex deputato PNF

Leopoldo Pira
Commerciante
Costa d'Oneglia
57 anni
Squadrista iscritto al PNF dal 1919


Martino Musso
Civile
Oneglia (Im)
46 anni
Brigata Nera "Antonio Padoan"


Nullo Mangia
Commerciante
Medesano (Pr)
52 anni

Francesco Agnelli
Impiegato del Servizio Alimentare
Sestri Ponente (Ge)
45 anni

Francesco Barbarotta
Agente di pubblica sicurezza
Geraci Siculo (Pa)
40 anni

Antonio Baroncini
Ricevitore dei Monopoli di stato
Volterra (Pi)
54 anni

Arturo De Filippis
Civile
Napoli
58 anni

Ivo Di Donè
Civile pensionato
Cittadella (Pd)
54 anni

Teresio Mameli
Apprendista
Oneglia(Im)
17 anni

Giuseppe Ferrario
Civile
Imperia
26 anni

Antonio Calvi
Civile
Oneglia (Im)
51 anni

Eugenio Calderone
Elettricista
Palermo
49 anni

Stefano Aicardi
Contadino
Cipressa(Im)
57 anni

Ernesto Aiello
Agente di pubblica sicurezza
Gabbes (Tunisia)
24 anni

Gustavo Acquarone
Impiegato civile
Oneglia (Im)
61 anni
Squadrista iscritto al PNF dal 1919


Achille Calegari
Violinista e maestro di musica
Castelnuovo (Re)
57 anni

Gori Aldo
Impiegato civile
Porto Maurizio(Im)
32 anni

Illuminato Ferro
Civile pensionato
Porto Maurizio(Im)
64 anni
Grande invalido di guerra


Angelo Viola
Panettiere
Calizzano (Sv)
60 anni

Antonio Dedoni
Impiegato Civile
Mandas (Ca)
24 anni

Francesco Languasco
Civile
Oneglia(Im)
69 anni

Isidoro Dominici
Industriale
Oneglia(Im)
43 anni
Brigata Nera "Antonio Padoan"


Carmelo Daunisi
Panettiere
Naro (Ag)
18 anni

2 Caduti ignoti




Le povere ragazze vittime di Oliveto di Imperia

Giovanna Serini
Infermiera
Treviso (TV)
22 anni
SAF Ausiliaria


Lidia Bosia
Infermiera
Baldichieri d'Asti (At)
25 anni
SAF Ausiliaria

Vostra eccellenza che mi sta in cagnesco
Per que’ pochi scherzucci di dozzina ,
e mi gabella per anti-tedesco
perché metto le birbe alla berlina,
o senta il caso avvenuto di fresco
a me, che girellando una mattina,
càpito in Sant’ Ambrogio di Milano,
in quello vecchio, la fuori di mano.
M’era compagno il figlio giovinetto
D’un di que’ capi un po’ pericolosi,
di quel tal Sandro, autor d’un romanzetto
ove si tratta di Promessi Sposi…
Che fa il nesci, Eccellenza? O non l’ha letto?
Ah, intendo: il suo cervel, Dio lo riposi,
in tutt’altra faccende affacendato,
a questa roba è morto e sotterrato.
Entro, e ti trovo un pieno di soldati,
di que’ soldati settentrionali,
come sarebbe Boemi e Croati,
messi qui nella vigna a far da pali:
di fatto se ne stavano impalati,
come sogliano in faccia a’ generali,
co’ baffi di copecchio e con que’ musi,
davanti a Dio diritti come fusi.
Mi tenni indietro; ché piovuto in mezzo
Di quella marmaglia, io non lo nego
D’aver provato un senso di ribrezzo
Che lei non prova in grazia dell’impiego.
Sentiva un afa, un abito di lezzo:
scusi, Eccellenza, mi parean di sego,
in quella bella casa del Signore,
fin le candele dell’altar maggiore.
Ma in quella in quella che s’appresta il sacerdote
a consacrar la mistica vivanda
di sùbita dolcezza mi percuote
su, di verso l’altare, un suon di banda.
Dalle trombe di guerra uscian le note
Come di voce che si raccomanda
D’una gente che gema in duri stenti
e de’ perduti beni si rammenti
Era un coro del Verdi; il coro a Dio
Là de’ Lombardi miseri, assetati;
quello: O Signore, dal tetto natio,
che tanti petti ha scossi e inebriati.
Ricominciai a non esser più io
E, come se que’ cosi doventati
Fossero gente della nostra gente,
entrai nel branco involontariamente.
Che vuol ella, Eccellenza, il pezzo è bello,
poi nostro, e poi suonato come va;
e coll’arte di mezzo, e col cervello
dato all’arte, l’ubbìe si buttan là.
Ma cessato che fu, dentro bel bello
Io ritornava a star come la sa;
quand’eccoti, per farmi un altro tiro
da quelle bocche che parean di ghiro,
un cantico tedesco lento lento
per l’aer sacro a Dio mosse le penne:
era preghiera, e mi parean lamento,
d’un suono grave, flabile, solenne,
tal che sempre nell’anima lo sento;
e mi stupisco che in quelle cotenne,
in quei fantocci esotici di legno,
potesse l’armonia fino a quel segno.
Sentia nell’inno la dolcezza amara
De’canti uditi da fanciullo; il core
Che da voce domestica gl’impara,
ce li ripete il giorni del dolore;
un pensier mesto della madre cara,
un desiderio di pace e d’amore,
uno sgomento di lontano esilio,
che mi faceva andare in visibilio.
E quando tacque, mi lasciò pensoso
Di pensieri più forti e più soavi.
Costor, dicea tra me, re pauroso,
schiavi gli spinge per tenerci schiavi;
gli spinge di Croazia e di Boemme,
come mandre a svernar nelle maremme.
A dura vita, a dura disciplina,
muti, derisi, solitari stanno,
strumenti ciechi d’occhiuta rapina
che lor non tocca e che forse non sanno;
e quet’odio, che mai non avvicina
il popolo lombardo all’allemanno,
giova a chi regna dividendo, e teme
popoli avversi affratellati insieme.
Povera gente! Lontana da’ suoi,
in un paese qui che vuol male,
chi sa che in fondo all’anima po’ poi
non mandi a quel paese il principale!
Gioco che l’ hanno in tasca come noi.
Qui, se non fuggo, abbraccio un caporale,
colla su’ brava mazza di nocciòlo,
duro e piantato li come un piolo.
Vostra eccellenza che mi sta in cagnesco
Per que’ pochi scherzucci di dozzina ,
e mi gabella per anti-tedesco
perché metto le birbe alla berlina,
o senta il caso avvenuto di fresco
a me, che girellando una mattina,
càpito in Sant’ Ambrogio di Milano,
in quello vecchio, la fuori di mano.
M’era compagno il figlio giovinetto
D’un di que’ capi un po’ pericolosi,
di quel tal Sandro, autor d’un romanzetto
ove si tratta di Promessi Sposi…
Che fa il nesci, Eccellenza? O non l’ha letto?
Ah, intendo: il suo cervel, Dio lo riposi,
in tutt’altra faccende affacendato,
a questa roba è morto e sotterrato.
Entro, e ti trovo un pieno di soldati,
di que’ soldati settentrionali,
come sarebbe Boemi e Croati,
messi qui nella vigna a far da pali:
di fatto se ne stavano impalati,
come sogliano in faccia a’ generali,
co’ baffi di copecchio e con que’ musi,
davanti a Dio diritti come fusi.
Mi tenni indietro; ché piovuto in mezzo
Di quella marmaglia, io non lo nego
D’aver provato un senso di ribrezzo
Che lei non prova in grazia dell’impiego.
Sentiva un afa, un abito di lezzo:
scusi, Eccellenza, mi parean di sego,
in quella bella casa del Signore,
fin le candele dell’altar maggiore.
Ma in quella in quella che s’appresta il sacerdote
a consacrar la mistica vivanda
di sùbita dolcezza mi percuote
su, di verso l’altare, un suon di banda.
Dalle trombe di guerra uscian le note
Come di voce che si raccomanda
D’una gente che gema in duri stenti
e de’ perduti beni si rammenti
Era un coro del Verdi; il coro a Dio
Là de’ Lombardi miseri, assetati;
quello: O Signore, dal tetto natio,
che tanti petti ha scossi e inebriati.
Ricominciai a non esser più io
E, come se que’ cosi doventati
Fossero gente della nostra gente,
entrai nel branco involontariamente.
Che vuol ella, Eccellenza, il pezzo è bello,
poi nostro, e poi suonato come va;
e coll’arte di mezzo, e col cervello
dato all’arte, l’ubbìe si buttan là.
Ma cessato che fu, dentro bel bello
Io ritornava a star come la sa;
quand’eccoti, per farmi un altro tiro
da quelle bocche che parean di ghiro,
un cantico tedesco lento lento
per l’aer sacro a Dio mosse le penne:
era preghiera, e mi parean lamento,
d’un suono grave, flabile, solenne,
tal che sempre nell’anima lo sento;
e mi stupisco che in quelle cotenne,
in quei fantocci esotici di legno,
potesse l’armonia fino a quel segno.
Sentia nell’inno la dolcezza amara
De’canti uditi da fanciullo; il core
Che da voce domestica gl’impara,
ce li ripete il giorni del dolore;
un pensier mesto della madre cara,
un desiderio di pace e d’amore,
uno sgomento di lontano esilio,
che mi faceva andare in visibilio.
E quando tacque, mi lasciò pensoso
Di pensieri più forti e più soavi.
Costor, dicea tra me, re pauroso,
schiavi gli spinge per tenerci schiavi;
gli spinge di Croazia e di Boemme,
come mandre a svernar nelle maremme.
A dura vita, a dura disciplina,
muti, derisi, solitari stanno,
strumenti ciechi d’occhiuta rapina
che lor non tocca e che forse non sanno;
e quet’odio, che mai non avvicina
il popolo lombardo all’allemanno,
giova a chi regna dividendo, e teme
popoli avversi affratellati insieme.
Povera gente! Lontana da’ suoi,
in un paese qui che vuol male,
chi sa che in fondo all’anima po’ poi
non mandi a quel paese il principale!
Gioco che l’ hanno in tasca come noi.
Qui, se non fuggo, abbraccio un caporale,
colla su’ brava mazza di nocciòlo,
duro e piantato li come un piolo.

lunedì, luglio 20, 2009

LA STRAGE DELLA CARTIERA DI MIGNAGOLA. ALTRA INFORMAZIONE


Strage della cartiera di Mignagola


La Strage della cartiera Burgo di Mignagola, situata nel comune di Carbonera, provincia di Treviso è un episodio di vendetta sommaria che avvenne negli ultimi giorni della II guerra mondiale, da parte di un autonominato tribunale partigiano. Essa consistette nel concentramento e nella successiva uccisione di un centinaio di persone (in buona parte accusate di essere criminali fascisti, simpatizzanti fascisti o delatori) ivi raccolte negli ultimi giorni della II guerra mondiale da partigiani attivi nelle file delle Brigate Garibaldi. In particolare la struttura gerarchico-militare garibaldina nella zona era la seguente : Divisione Sabatucci, con sede a Treviso, da cui dipendevano le brigate : Brigata U. Bottacin e Brigata Wladimiro Paoli. Dalla Brigata "Wladimiro Paoli" dipendevano il battaglione “G. Fabris”, il battaglione autonomo “Falco” e la squadra “Balilla”.

I partigiani comunisti negli ultimi giorni di guerra instauravano alla "Cartiera Burgo" di Mignagola di Carbonera (Treviso) un campo di concentramento dove furono internate alcune centinaia di persone, molte delle quali costituite da fascisti, simpatizzanti fascisti, delatori o collaborazionisti con i tedeschi occupanti; alcune di esse furono torturate in modo efferato, e un centinaio furono uccise. I corpi furono occultati, sotterrati in luoghi nascosti, gettati nei fiumi, in particolare nel SileI reparti operativi interessati furono due brigate partigiane Garibaldi. Il comando fu inizialmente posto il 26 aprile 1945 a villa Dal Vesco, i cui tre proprietari erano stati assassinati in febbraio. Vennero creati dei posti di blocco nella strade. I fascisti, le persone sospette, militari sbandati, civili della zona più o meno compromessi con il regime, possidenti locali compromessi con il passato regime, venivano inizialmente interrogati, talvolta torturati. Successivamente venivano spostati nella cartiera Burgo di Mignagola, dove era arrivata il 26 la seconda brigata.
Il giorno 29 aprile, domenica, un sacerdote si recò alla cartiera offrendosi di confessare i prigionieri. Vide una scena che definì "una bolgia infernale
Il giorno 30, lunedì apprese che vari dei prigionieri visitati il giorno prima erano stati fucilati. Il prete andò lo stesso giorno 30 dal vescovo di Treviso, informandolo di quel che aveva visto e chiedendogli di intervenire.

L'intervento dell'esercito americano
Lo stesso giorno 30 una jeep americana con tre militari arrivò alla cartiera ordinando la cessazione delle attività. In seguito all'intimazione degli americani, la situazione si modificò alquanto, e il giorno 1 maggio il comando della prima brigata fu spostato all'asilo parrocchiale di Carbonera. Tuttavia gli arresti le torture e le uccisioni sarebbero continuate.

L'intervento del CLN
I 6 partiti impegnati nella liberazione erano uniti nel CLN. Tuttavia il CLN aveva una funzione politica, non militare. Sul piano militare svolgeva una funzione di indirizzo, i 6 partiti (più il Partito Repubblicano che non faceva parte del CLN) avevano proprie strutture militari con una propria gerarchia, ma i rapporti con le formazioni partigiane combattenti non erano sempre facili e lineari. In particolare il partito comunista aveva le Divisioni, brigate, ecc., con il simbolo "Garibaldi". I reparti impiegati appartenevano ad una divisione Garibaldina. Il CLN ordinò un'inchiesta, estesa anche ai fatti della "Strage di Oderzo". A seguito dell'inchiesta il CLN ordinò l'espulsione dalle sue file di Gino Simionato, detto "Falco", considerato responsabile dell'eccidio, e poi spiccò nei suoi confronti un mandato di arresto.

Il Processo
Contro gli autori della strage fu istruito un processo, che si concluse nel 1951 con l'assoluzione in istruttoria degli imputati, poiché fu ritenuto che le uccisioni fossero avvenute nell'ambito della guerra di liberazione e rientrassero quindi nell'amnistia.

Le testimonianze dei reduci al processo
Non tutti gli internati del campo di concentramento furono uccisi. I sopravvissuti furono interrogati al processo.

Il numero delle vittime
I metodi usati per eliminare i cadaveri non permisero un accertamento del numero delle vittime. Vi sono fonti contrastanti sul numero di persone coinvolte in questo sanguniso episodio di vendetta sommaria avvenuta a Carbonera. Un sopravvissuto, maresciallo della Guardia Nazionale Repubblicana, parlò di 2000 fascisti internati di cui 900 fucilati. Il parroco di Carbonera parlò invece di 92 vittime uccise nel giro di 10-12 giorni. La stessa cifra è riportata nelle relazioni della polizia allegate agli atti del processo

Personaggi
Gino Simionato detto «Falco», un partigiano comunista classe 1920, protagonista controverso della guerriglia partigiana nel trevigiano, era il comandante del Battaglione autonomo "Falchi delle Grave" ed ebbe un ruolo di primo piano nella resa dei conti che avvenne alla Cartiera Burgo. Prosciolto nel processo relativo ai "fatti della Burgo", fu invece condannato per l'uccisione del fascista Antonio Chinellato e per furto. Rimase in carcere dal 1946 al 1954, poi emigrò in Francia.

La banda Collotti
Il 27 aprile era stato sequestrato ad un posto di blocco a Olmi di San Biagio di Callalta (TV) un autocarro e una automobile con un carico d'oro, e sette persone, ovvero la cosiddetta "banda Collotti" che faceva capo a Gaetano Collotti, protagonista a Trieste della repressione antipartigiana, che parve stesse trafugando oro, denaro e altra refurtiva; tra loro c'era anche l'amante di Collotti, in attesa di un figlio. Tutti furono portati alla Cartiera di Mignagola. I partigiani li eliminarono tutti, compresa la donna, e l'oro scomparve, diviso tra i partigiani[.

IL TANARO AD ALESSANDRIA

martedì, luglio 14, 2009

AUTO ABBANDONATE ALLA FIUMARA GE

Nel mezzo di multisale cinematografiche, Megapalestre, centri commerciali e ristoranti ecco un classico esempio di degrado e di abbandono, sotto gli occhi di tutti, tra il passaggio della gente , alcune auto abbandonate sul marciapiede, da mesi, a marcire...

giovedì, luglio 09, 2009

PSICOPATOLOGIA DEL DIMOSTRANTE NO - GLOBAL




C’è da chiedersi perché continuiamo a interpellare politologi e sociologi per cercare di «comprendere le ragioni» dei contestatori in servizio effettivo e permanente, quando sarebbe più adatto un buon psicologo, o meglio ancora un buon psichiatra.Costoro, i professionisti della protesta, scendono in campo ad ogni G8, e c’è da capirli: i G8 sono le loro Olimpiadi. Ma sottotraccia sono sempre presenti: per denunciare chiunque detenga un potere (cattivo per definizione); per gridare che la democrazia è in pericolo; per sottolineare lo squilibrio fra ricchi e poveri; per esecrare un terremoto; per stigmatizzare un’alluvione. Per loro c’è sempre «un colpevole» in tutto, dalle crisi alle calamità naturali ai loro insuccessi privati.La psicopatologia del contestatore può essere analizzata passando attraverso alcune chiavi di lettura. La prima è quella del linguaggio.Il contestatore non pensa prima di parlare: va in automatico. Ripete slogan e frasi fatte che si possono rimescolare come il cubo di Rubik ottenendo sempre il risultato di non ottenere alcun risultato. Per esempio a questo G8 il «manifesto della protesta» annuncia «una dinamica di blocco della circolazione e della mobilità che, combinando pratiche creative e intelligentemente radicali, rivolga la nostra degna rabbia a ostacolare la funzionalità della celebrazione dei potenti della Terra e della loro bancarotta». Sembra un monologo di Verdone e invece è pubblicata sul sito di Indymedia. Ad Ancona, per dire, hanno spiegato che ci sarà «una giornata senza frontiere per liberare il porto dalle barriere e dalle gabbie dove si infrangono quei desideri di libertà e dignità che vengono dal mare». La parola d’ordine per tutti è «essere imprevedibili per vincere la repressione». Cioè, un sacco impegnati, questi ragazzi.Secondo indizio che suggeriamo allo psichiatra che avrà la bontà di esaminare il caso: l’essere sempre «contro» senza mai proporre soluzioni ai problemi che denunciano. Al Forum dell’altro ieri, per esempio, c’erano quelli «contro» la discarica di Chiaiano, quelli «contro» l’allargamento della base Dal Molin, quelli «contro» la Tav, e tutti naturalmente «contro» il G8, che è «illegittimo, l’espressione politica dello sfruttamento e del profitto». Sono «contro» anche l’immancabile «globalizzazione», un termine che ormai non si capisce più che cosa voglia dire, e infatti debbono averlo intuito perfino loro, visto che Luca Casarini, ex portavoce del «movimento» (altro termine frusto) ha detto ieri che non si riconosce più nel termine «no global» ma nella dicitura «un altro mondo è possibile». Quale mondo? Boh. Casarini cerca di articolare una piattaforma: «Le richieste sono le stesse: democrazia, partecipazione, consenso dal basso». Di nuovo boh. Qual è l’idea di modifica dell’attuale democrazia? Proposte zero. Almeno le Brigate rosse una visione della società l’avevano.Terzo sintomo psichiatrico: la voglia di menare le mani. Sul web corre il tam tam della guerriglia urbana, si informa «sulle cariche e la caccia all’uomo degli sbirri», si indicano «gli obiettivi sensibili». Su Ticker, un rullo di notizie aperto da Indymedia, si forniscono informazioni dettagliate: «Blindati circondano la stazione Termini, evitare di circolare da soli»; in piazza vengono distribuiti «vademecum anti repressione», consigli su cosa fare «se la polizia ti ferma per strada». Ad esempio, se ti rincorrono «corri e cerca di stare in gruppi di sesso misto». Vengono distribuiti anche numeri di telefono per l’assistenza legale. Che suggerire allo strizzacervelli? Che i casi sono due: o questi poveretti credono di vivere in Iran o nel Xinjiang, oppure stanno solo giocando alla guerra ed è un peccato che scomodino tanta forza pubblica quando potrebbero sfogarsi con un Risiko o una battaglia navale.


Quarto psico-sintomo: la singolare scopiazzatura dall’odiato mondo borghese di ruoli, cariche e gradi da appuntarsi sulla giubba. Ad esempio: ormai basta che cinque universitari si mettano insieme perché all’interno del gruppo venga nominato «un portavoce».Infine il vittimismo: «Abbiamo nemici potenti che ci mettono anche in galera», ha detto Casarini; gli ha fatto eco Lele Rizzo del centro sociale Askatasuna di Torino: «In questi giorni è la galera il modo usato per reprimere il dissenso e intimorire il movimento». Queste frasi forse fanno parte più di quel fingere di essere in guerra. Invece, il pensare che ci sia sempre qualcuno che te l’ha messo in quel posto è probabilmente il vero denominatore comune dei professionisti della protesta. Un vittimismo che ti permette di scaricare sugli altri quel che non sei capace di fare. Se mai un giorno si decidesse ad andare a lavorare, il professionista della protesta diventerà un perfetto «mobbizzato», figura ideata ad hoc dalla nostra società di geni incompresi. Costretto a far le fotocopie dal capufficio fascista, il mobbizzato potrà sempre consolarsi raccontando ai colleghi di quando combatteva il G8. Il suo quarto d’ora di gloria.
da IL GIORNALE


mercoledì, luglio 08, 2009

MOV001

Un angolo di estrema miseria e povertà a Genova
A Genova sotto la sopraelevata e Via Adua, accanto a Ponte Dei Mille, in Via Mura degli Zingari, la mia attenzione e’ stata attratta da una montagna di rifiuti di grosse dimensioni : frigoriferi, lavatrici, sanitari, serramenti, vetri, pneumatici, mobili, specchiere, cestelli, damigiane piene di acqua…e accanto a questa collinetta di elettrodomestici spunta come una piccola appendice un simulacro di abitazione, sara’ alta circa un metro e poco piu’, estesa per pochi metri quadri, il tetto e’ un insieme di lamiera, cartone e truciolato, all’interno una zona giorno con una sedia bassa, un angolo cottura con una caffettiera napoletana e alcune stoviglie, quindi due vani cuccetta, pare almeno, riparati da un telo di cerata cha fa divisorio, alla parete uno specchio tondo e un calendario con mappa di Genova, tra la casetta e il mucchio di elettromodestici c’e’ un lungo mobile cassettiera con sul ripiano scatole di alimenti, un boccione di acqua e altre cose che non riesco a definire. Sosto in zona, incuriosito, per circa 15 minuti, ma nessuno esce dalla baracchetta , poi dopo un po arriva la persona che via avita: e’ un uomo alto e robusto, con barba e baffi, l’aspetto e’ nordico. Iniziamo a parlare, il tipo parla e capisce bene la lingua italiana, ha l’alito pesante di chi beve vino, non vuole essere fotografato, afferma di venire dalla Svezia, e essere in Italia da anni, da pochi mesi occupa questa misera e piccola baracchina, inoltre si lamenta che la zona e’ infestata dai ratti e dai drogati, che scelgono questa zona lontana dal traffico per bucarsi. La cosa che piu’ mi stupisce e’ che il barbone, afferma di pagare un affitto per il piccolo tugurio, anche se non mi vuole dire a chi e l’importo. Poi tira fuori dalla casetta dei nani, una ricetrasmittente e un custodia di pelle con distintivo dell’associazione nazionale alpini. Poi si allontana ed entra nella casetta dove non riesce a stare eretto, per le dimensioni e si siede voltandomi le spalle. Conversazione terminata ! Mi allontano stupito, a Genova, Ponte dei Mille, Via Degli Zingari…un angolo di terribili povertà su cui qualcuno lucra.
Roberto NICOLICK