Il lager di Bogli (
Piacenza)
Il nome di Bogli non dice
proprio nulla a nessuno, almeno in questi ultimi anni. E’ una
piccolissima frazione del Comune di Ottone, in provincia di Piacenza,
in un punto strategico, ad una altezza di circa mille metri di
altezza, alla confluenza di ben quattro regioni , Liguria, Piemonte,
Lombardia ed Emilia.
La strada che lo
raggiunge sale stretta e tortuosa, piena di buche che fanno
sobbalzare le ruote dell’auto. In inverno il clima è gelido con
frequenti nevicate, la popolazione nel freddo, anzi nel gelo, viene
indicata in sole quattro unità, mentre in estate il paese cambia
aspetto e molti nativi ritornano e amano trascorrere le serate
nell’unica osteria del paese che è sempre piena di avventori.
L’abitato appare come
un pugno di case dall’aspetto antico, sito in una valle chiusa a mò
di catino, con una Chiesa posta in posizione sopraelevata ornata di
un campanile con il tetto a cipolla.
Il paesello è formato da
circa una trentina di costruzioni, quasi tutte disabitate, più un
complesso di tre costruzioni ad un solo piano con annessi grandi
lavatoi , posizionati ad una certa distanza dal borgo, circondati da
un canneto, questo ultimo nucleo di fabbricati, bassi e cupi è o
meglio era il campo di concentramento per prigionieri fascisti
gestito dai partigiani comunisti.
Queste case diroccate a
qualcuno degli abitanti o dei pochissimi reclusi sopravvissuti,
ricordano orrori che si pensava sopiti nei decenni : Bogli, infatti,
ha ospitato per tutto il 1944, un lager gestito da un gruppo di
partigiani della brigata Chicero, che operava nella Valle Scrivia
alle spalle di Genova.
In esso venivano
internati militari della R.S.I., soldati Tedeschi, presunti
collaborazionisti, e anche donne, grazie a Dio, poche. Era in buona
sostanza un campo di eliminazione fisica.
Non era l’unico campo
dove si era sicuri di entrare ma non di uscirne, un altro gulag
famigerato, era situato a Rovegno, in un grande e articolato
fabbricato, nel mezzo di una foresta che un tempo ospitava una
grande colonia, voluta dal Regime Fascista, nell’alta Valle
Trebbia. Rovegno ospitava centinaia di prigionieri mentre Broglio era
una piccola nicchia di ferocia e malvagità.
I poveretti che venivano
catturati dai partigiani, a cui venivano sottratte le scarpe per
impedirgli di fuggire, dovevano affrontare lunghe marce di
avvicinamento al campo di Bogli, lungo sentieri pieni di sassi e
spesso nella neve, spronati da legnate che i loro guardiani gli
assestavano con malcelato sadismo
Ai militari repubblichini
reclusi veniva tolta la divisa, in cambio di stracci sporchi e
laceri, anche le scarpe oltre agli effetti personali, erano requisite
dai partigiani rossi , quindi nessuno poteva neppure lontanamente
pensare di scappare. I pestaggi erano giornalieri e senza alcuna
ragione
Le poche donne che erano
a Brogli, dopo essere state rapate, subivano violenze di gruppo e
dopo queste lunghe violenze venivano ammazzate senza pietà.
Infatti Brogli non era
solo un capo di prigionia ma anche un campo di eliminazione, quindi
chi vi veniva portato era sicuro che sarebbe stato picchiato e
torturato e in quel posto avrebbe concluso la propria esistenza dopo
inaudite sofferenze.
Visto che tutti i
prigionieri erano destinati ad essere eliminati, il cibo era
scarsissimo, solo qualche pezzo di pane raffermo e qualche cucchiaio
di riso andato a male, condito da vermi.
Le guardie del campo non
erano solo Italiani, c’erano anche dei partigiani Russi, che
facevano a gara a manifestare crudeltà, ma chi veramente era uno
psicopatico senza freni, era il “comandante” un giovane capo
distaccamento di cui si conosce solo il nome di battesimo : Walter,
nativo di Genova, che , evidentemente, odiava ferocemente i
prigionieri e faceva di tutto per accrescere le loro ultime
sofferenze.
Questo soggetto
prediligeva immergerli a testa in giù nei lavatoi, colmi di acqua
gelata sino a provocarne l’annegamento. Quando era stanco di
torturarli, li trascinava in una costruzione che fungeva da caserma
per i partigiani e lì c’era un processo farsa che durava pochi
minuti poi il condannato era scortato in un bosco di castagni al di
là di un corso d’acqua che era il luogo deputato alle esecuzioni
sommarie, in quel posto avvenivano le sepolture. Questo è stato
Brogli, un piccolo ma efficiente e tormentato gulag con il biglietto
di sola andata.
Il campo funzionò per
circa un anno e nel dicembre del 44, poi in seguito ad una grande
offensiva Tedesca, venne evacuato in fretta e furia dal distaccamento
partigiano che si ritirò portandosi dietro una dozzina di
prigionieri superstiti per non lasciare testimoni delle atrocità
compiute.
Fu un' altra marcia
spaventosa per i prigionieri, in mezzo alla neve, senza capi di
vestiario adeguati e senza scarpe, qualcuno di loro morì assiderato.
Il capo del campo, oltre
ad essere un sadico assassino, era anche un ladro perché si portò
via i soldi del distaccamento e dei suoi compagni di efferatezze.
Finalmente, per una
specie di contrappasso, dopo tante malvagità compiute ed impunite,
Walter fu arrestato nientemeno che dalla Gestapo, la famigerata
Geheime Staatspolizei , la
quale lo liquidò a sua volta. Pochissimi prigionieri repubblichini
si salvarono dal Campo di Brogli e ancora oggi, quelli che hanno
raggiunto la novantina, ricordano i ghigni dei criminali che agirono
a Brogli e che popolano ancora i loro incubi.
Roberto Nicolick
Non c'è liberazione senza verità.
RispondiEliminaBuongiorno. Sarei interessato alla fonte per potermi meglio documentare
RispondiEliminaNomi? Cognomi? Date? Documenti? Fotografie? Rapporti? Relazioni?
RispondiEliminaSei uscito dalla scuola comunista,vergognoso
EliminaValli a cercare in Siberia i nomi ,i cognomi e i documenti di cui parli.
La diabilica bandiera rossa degli stermini,satanica e maledetta.
Consiglio la lettura del libro di Gian Paolo Pansa "I nostri giorni proibiti"
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