martedì, agosto 15, 2017

la strage della corriera fantasma si S. Possidonio

La “corriera fantasma”
14 maggio 1945

La Pontificia Commissione di soccorso , nell'immediato dopo guerra, vista la situazione di grave tensione sociale creatasi in Italia, si era assunta il compito del trasporto alle proprie case delle persone che erano rimaste tagliate fori dal fronte. In particolar modo ciò avveniva tramite del bus, guidati da personale della commissione che provvedevano a tale compito.
Nella notte del 14 maggio 1945, in Val Padana, al confine tra le province di Mantova e di Reggio, uno di questi mezzi un Lancia 3 RO con diverse panche sul cassone appartenente un tempo alle forze armate Tedesche, gestiti dal Vescovado di Brescia e partito da un campo profughi Bresciano, mentre si dirigeva verso Nord con meta a Bologna, sparì misteriosamente dopo essere stato fermato ad un posto di blocco a Gonzaga, a breve distanza da Concordia, un grosso centro sul fiume Secchia.
Questo posto di blocco verrà chiamato in seguito il “posto di blocco della morte” ed era gestito dalla polizia ausiliaria partigiana. Su questo mezzo viaggiavano una quarantina di persone, profughi ed ex internati aderenti alla RSI, fra questi vi erano 17 allievi ufficiali della Guardia Nazionale Repubblicana, particolarmente invisi ai partigiani comunisti del cosiddetto triangolo della morte.
Comunque tutti erano muniti di regolare nulla osta fornito dalle autorità alleate. Il mezzo che doveva giungere a Modena era letteralmente sparito nel nulla.
La bassa Modenese era da mesi teatro di eccidi compiuti da bande di partigiani comunisti nei confronti di Fascisti o presunti tali, quindi la cosa era suita con grande preoccupazione.
Le indagini furono affidate ai Carabinieri di Carpi che iniziarono a battere il territorio interrogando decine di testimoni che tuttavia non collaborarono per il clima di terrore che questi ex partigiani avevano creato nella zona.
Il mezzo da Mirandola venne costretto a lasciare la statale e a percorrere un tratturo che portava ad una zona isolata, in quel posto il copione fu lo stesso di tante stragi, i passeggeri dovettero scendere, furono tutti derubati dei portafogli, e spinti verso una trincea difensiva costruita dai tedeschi qualche tempo prima, quindi la pattuglia dei poliziotti partigiani cominciarono a tirare con i mitra nel mucchio, furono sparati circa 500 colpi, poi dopo la strage gli assassini coprirono la fossa e andarono a festeggiare a tortellini e lambrusco in una delle trattorie della zona. I contadini della zona sentirono sicuramente le raffiche nella notte ma si guardarono bene dall'andare a vedere quello che era accaduto e si dimenticarono di denunciare la cosa e poi a chi l'avrebbero denunciata ? Agli stessi poliziotti partigiani ovviamente.
Tutti sapevano che gli assassini erano di San Possidonio ma nessuno parlò, poi piano piano, dopo anni di paura, qualcuno fece qualche soffiata e i nomi emersero, erano tutti poliziotti partigiani comunisti, nel 47 ci fu un processo che si concluse nel nulla per mancanza di testimoni.
Poi nel 68, un emigrato negli USA, a Baltimora, scrisse ai Carabinieri, una lettera in cui racconto per filo e per segno l'accaduto. Le ruspe iniziarono a scavare in base alle sue indicazioni nel fondo Tellia di San Possidonio e in un'altra in località Fossa a Concordia, e 20 scheletri vennero alla luce. Nove persone vennero denunciate a piede libero.
Un ex partigiano pentito raccontò la dinamica, dopo il blocco, la squadra dei poliziotti partigiani era composta da sette membri, i prigionieri vennero portati nel municipio di San Possidonio, sottoposti a giudizio di un tribunale del popolo e quindi riportati con il veicolo sui luoghi della strage tutti legati ai polsi con del filo di ferro, tranne una maestrina diciottenne che fu liberata. Prima dell'eccidio due motociclisti percorsero il paese intimando a tutti di stare ben chiusi in casa, anche una osteria fu obbligata a chiudere i battenti. Poi la corriera fece due viaggi che si conclusero con due diversi eccidi.
L'ultimo processo si tenne a Viterbo con sette imputati. I killer che seppellirono i corpi delle vittime alla cascina Tellia, bussarono alla porta del contadino per farsi prestare vanghe e picconi per fare il loro lavoro.


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