La “corriera fantasma”
14 maggio 1945
La Pontificia Commissione
di soccorso , nell'immediato dopo guerra, vista la situazione di
grave tensione sociale creatasi in Italia, si era assunta il compito
del trasporto alle proprie case delle persone che erano rimaste
tagliate fori dal fronte. In particolar modo ciò avveniva tramite
del bus, guidati da personale della commissione che provvedevano a
tale compito.
Nella notte del 14 maggio
1945, in Val Padana, al confine tra le province di Mantova e di
Reggio, uno di questi mezzi un Lancia 3 RO con diverse panche sul
cassone appartenente un tempo alle forze armate Tedesche, gestiti dal
Vescovado di Brescia e partito da un campo profughi Bresciano, mentre
si dirigeva verso Nord con meta a Bologna, sparì misteriosamente
dopo essere stato fermato ad un posto di blocco a Gonzaga, a breve
distanza da Concordia, un grosso centro sul fiume Secchia.
Questo posto di blocco
verrà chiamato in seguito il “posto di blocco della morte” ed
era gestito dalla polizia ausiliaria partigiana. Su questo mezzo
viaggiavano una quarantina di persone, profughi ed ex internati
aderenti alla RSI, fra questi vi erano 17 allievi ufficiali della
Guardia Nazionale Repubblicana, particolarmente invisi ai partigiani
comunisti del cosiddetto triangolo della morte.
Comunque tutti erano
muniti di regolare nulla osta fornito dalle autorità alleate. Il
mezzo che doveva giungere a Modena era letteralmente sparito nel
nulla.
La bassa Modenese era da
mesi teatro di eccidi compiuti da bande di partigiani comunisti nei
confronti di Fascisti o presunti tali, quindi la cosa era suita con
grande preoccupazione.
Le indagini furono
affidate ai Carabinieri di Carpi che iniziarono a battere il
territorio interrogando decine di testimoni che tuttavia non
collaborarono per il clima di terrore che questi ex partigiani
avevano creato nella zona.
Il mezzo da Mirandola
venne costretto a lasciare la statale e a percorrere un tratturo che
portava ad una zona isolata, in quel posto il copione fu lo stesso di
tante stragi, i passeggeri dovettero scendere, furono tutti derubati
dei portafogli, e spinti verso una trincea difensiva costruita dai
tedeschi qualche tempo prima, quindi la pattuglia dei poliziotti
partigiani cominciarono a tirare con i mitra nel mucchio, furono
sparati circa 500 colpi, poi dopo la strage gli assassini coprirono
la fossa e andarono a festeggiare a tortellini e lambrusco in una
delle trattorie della zona. I contadini della zona sentirono
sicuramente le raffiche nella notte ma si guardarono bene dall'andare
a vedere quello che era accaduto e si dimenticarono di denunciare la
cosa e poi a chi l'avrebbero denunciata ? Agli stessi poliziotti
partigiani ovviamente.
Tutti sapevano che gli
assassini erano di San Possidonio ma nessuno parlò, poi piano piano,
dopo anni di paura, qualcuno fece qualche soffiata e i nomi emersero,
erano tutti poliziotti partigiani comunisti, nel 47 ci fu un processo
che si concluse nel nulla per mancanza di testimoni.
Poi nel 68, un emigrato
negli USA, a Baltimora, scrisse ai Carabinieri, una lettera in cui
racconto per filo e per segno l'accaduto. Le ruspe iniziarono a
scavare in base alle sue indicazioni nel fondo Tellia di San
Possidonio e in un'altra in località Fossa a Concordia, e 20
scheletri vennero alla luce. Nove persone vennero denunciate a piede
libero.
Un ex partigiano pentito
raccontò la dinamica, dopo il blocco, la squadra dei poliziotti
partigiani era composta da sette membri, i prigionieri vennero
portati nel municipio di San Possidonio, sottoposti a giudizio di un
tribunale del popolo e quindi riportati con il veicolo sui luoghi
della strage tutti legati ai polsi con del filo di ferro, tranne una
maestrina diciottenne che fu liberata. Prima dell'eccidio due
motociclisti percorsero il paese intimando a tutti di stare ben
chiusi in casa, anche una osteria fu obbligata a chiudere i battenti.
Poi la corriera fece due viaggi che si conclusero con due diversi
eccidi.
L'ultimo processo si
tenne a Viterbo con sette imputati. I killer che seppellirono i corpi
delle vittime alla cascina Tellia, bussarono alla porta del contadino
per farsi prestare vanghe e picconi per fare il loro lavoro.
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