giovedì, novembre 27, 2008

ATTACCO A BOMBAY








Mumbai - Si combatte corridoio per corridoio. Stanza per stanza. Militari, polizia e teste di cuoio contro i terroristi asserragliati ancora all'interno dell'Oberoi Trident. Dopo i nove attacchi terroristici contemporanei infuria ancora la battaglia a Mumbai. Dal Taj hotel i turisti sono stati sgomberati. Tutti i terroristi che si trovavano all’interno sono stati uccisi dalle forze speciali indiane. Mentre nell'hotel Oberoi si lotta per la conquista del territorio: dalle finestre esce fumo, si sentono esplosioni continue. E almeno 70 dei 200 ostaggi reclusi sono stati liberati. Sette nostri connazionali sarebbero ancora all'interno dell'albergo, chiusi nelle loro camere. Tra loro c'è anche una bambina. Tutti gli ostaggi che si trovavano nel centro ebraico di Nariman House sono stati tratti in salvo.
Speranze per gli italiani Ci sono "ragionevoli speranze" che i nostri connazionali "possano lasciare l’albergo". Nessuno di loro è ostaggio dei terroristi. Tutti sono invece chiusi nelle loro camere dell’hotel. Lo ha riferito Fabrizio Romano, capo dell’Unità di crisi della Farnesina. "Gli italiani bloccati sentono delle esplosioni e sono ben consapevoli della situazione e di quello che è successo". Comunque "l’unità di crisi e il consolato italiano a Mumbai sono riusciti a rimanere in contatto con loro" ha chiarito Romano. "Le forze indiane stanno operando per bonificare i due immobili e stanno operando con molta cautela. La nostra aspettativa è che la cosa si possa risolvere nel migliore dei modi". Intanto dei circa 40 italiani che si erano rifugiati nel Consolato italiano non è rimasto "quasi più nessuno". Sono rientrati nelle loro abitazioni o scesi in altri alberghi.
Il connazionale ucciso C'è un italiano tra le vittime degli attentati. La conferma arriva dalla Farnesina. Tra i 125 cadaveri c'è anche quello di Antonio Di Lorenzo, cittadino livornese (nato a Roma ma residente a Livorno dal ’72), in India per motivi di lavoro. Il sindaco della città toscana, Alessandro Cosimi, esprime il cordoglio "suo personale e della città, alla famiglia: al figlio Massimiliano, anch’egli a Mumbai, alla moglie Emilia Piera e all’altro figlio Gabriele, che invece si trovano a Livorno". Di Lorenzo sarebbe stato ucciso da una granata nella prima fase degli attacchi.
Liberato il Taj Mahal Dopo un durissimo combattimento durato diverse ore la polizia ha ripreso il controllo dell’albergo Taj Mahal. "Ora non ci sono più ostaggi al suo interno". Gli agenti hanno trovato alcuni cadaveri all’ingresso e, stanza per stanza, hanno fatto uscire i clienti. Nell’attacco sono stati uccisi cinque terroristi, altri due sono riusciti a fuggire mentre nove sono stati arrestati. Secondo altre fonti giornalistiche i terroristi morti sono in realtà degli attentatori suicidi.
Oberoi Trident Una serie di esplosioni è stata sentita nella parte meridionale della città. Le esplosioni provenivano dall’hotel Taj Mahal, dall’hotel Oberoi Trident e dalla Nariman House. L'Oberoi Trident e la Nariman House sono subito stati circondati dalle teste di cuoio. Altre cinque esplosioni sono state avvertite nel giro di cinque minuti dall’hotel Oberoi Trident.




Nariman House Tutti gli ostaggi che si trovavano nel centro ebraico di Nariman House a Mumbai sono stati tratti in salvo. Questa mattina dal centro del movimento ultraortodosso Chabad erano riusciti a fuggire due impiegati, portando un bambino di due anni. Un estremista islamico, asserragliato nel centro di residenza ebraico, aveva chiesto di stabilire un contatto con il governo indiano e offerto la liberazione di ostaggi. L’uomo aveva avanzato le sue richieste in una telefonata ad un canale televisivo indiano, in cui, oltre a chiedere un contatto con il governo offrendo in cambio il rilascio di ostaggi, aveva anche denunciato gli abusi a suo avviso perpetrati nel Kashmir indiano." Chiedete al governo di parlare con noi e noi libereremo gli ostaggi" aveva detto l’uomo parlando in urdu con un accento simile a quello tipico della zona del Kashmir. "Vi rendete conto di quante persone sono state uccise in Kashmir? - aveva aggiunto - Siete consapevoli di come il vostro esercito ha ucciso musulmani? Sapete quanti musulmani sono stati uccisi questa settimana in Kashmir?".
La delegazione Ue Un aereo militare della Francia, che detiene la presidenza di turno dell’Ue, è partita verso a Mumbai per evacuare la delegazione di europarlamentari rimasti coinvolti negli attacchi terroristici.
Con una nave dal Pakistan Gli uomini armati responsabili della serie di attacchi venivano dal Pakistan. Lo ha detto oggi un alto responsabile militare indiano. Una nave sospettata di aver trasportato gli attentatori di Mumbai, la MV Alpha, è stata scoperta dalla guardia costiera a 112 chilometri dalla capitale economica dell’India. Un portavoce delle autorità marittime ha riferito che sono state effettuate ricerche a bordo, ma non è voluto entrare in dettagli. La guardia costiera aveva mobilitato due aerei, elicotteri e le sue navi dopo aver ricevuto l’informazione che la MV Alpha poteva aver portato i terroristi da Gujarat a Mumbai. Ma il Pakistan nega ufficialmente qualsiasi coinvolgimento negli attentati.
Terroristi indù? Il Lashkar-i-Tayyiba, uno dei gruppi armati islamisti con base in Pakistan che lottano contro la presenza indiana in Kashmir, hanno smentito qualsiasi coinvolgimento negli attacchi di Mumbai. "Non abbiamo nulla a che fare con gli attacchi" ha detto un portavoce, Abdullah Ghaznavi da Sringar. Oggi il premier indiano Manmohan Singh ha accusato gruppi con basi "al di fuori" dell’India di aver sferrato gli attacchi. "Non crediamo che sia utile uccidere civili innocenti - dice il portavoce - questa sembra piuttosto un’azione dei militanti indù che vogliono scatenare l’odio contro i musulmani...noi condanniamo con forza questi attacchi".
Un bilancio pesante Sarebbero 125 i morti e 327 feriti in una serie di attacchi condotti in serata nella capitale finanziaria dell’India. Nove delle vittime sono straniere (sicuramente un giapponese, un australiano e un italiano). Gli attentati sono stati rivendicati da un gruppo islamico semisconosciuto, i Deccan Mujahidden, che hanno chiesto la liberazione di tutti i guerriglieri musulmani detenuti in India. Decine gli ostaggi, in particolare americani e inglesi, in alcuni alberghi. A entrare in azione sarebbero stati circa 200 terroristi divisi in diversi commando, ma sul loro numero esatto non ci sono notizie ufficiali. Si parla di nove diversi obbiettivi attaccati in città.
Terroristi dal Pakistan Secondo un’indagine preliminare delle autorità indiane i terroristi potrebbero essere di nazionalità pachistana. "Abbiamo indizi che i responsabili sarebbero arrivati a Mumbai in barca da Karachi e che siano cittadini pachistani" dice una fonte al



Times of India. Secondo la fonte la notizia proverrebbe dall’interrogatorio di uno dei terroristi catturati dalla polizia. La polizia, sempre secondo fonti citate dal giornale, avrebbe già sequestrato quattro imbarcazioni che sarebbero state usate dai terroristi per sbarcare a Mumbai. Le richieste Gli attacchi, avvenuti nel cuore della notte, creano ulteriori problemi alla già debole economia del Paese. Le autorità hanno chiuso la borsa, il mercato valutario e quello obbligazionario mentre commando e agenti di polizia hanno lanciato l’assedio agli uomini armati. Un militante asserragliato nell’hotel Oberoi ha detto alla tv indiana per telefono che gli ostaggi saranno liberati soltanto quando lo saranno tutti i mujahideen, cioé i guerrieri santi dell’Islam, imprigionati nelle carceri indiane. L’uomo, che ha detto di chiamarsi Sahadullah, ha detto di essere uno dei sette attentatori presenti nell’albergo. "Liberate tutti i mujahideen e i musulmani che vivono in India non avranno problemi" ha aggiunto.
da "il Giornale"

IL MIO LIBRO DA' FASTIDIO....







Evidentemente il mio libro da un po di fastidio, ecco due missive un pochino inquietanti ricevute stamattina....



mercoledì, novembre 26, 2008

ERGASTOLO PER LA STRAGE DI ERBA





























Como, 26 novembre 2008 -
Olindo Romano e Rosa Bazzi sono stati condannati all’ergastolo e a tre anni di isolamento per la strage di Erba. La corte ha così accolto le richieste del pm.

Il pubblico presente in aula al processo per la strage di Erba ha accolto con un applauso la sentenza che ha condannato i coniugi Romano all’ergastolo.

AZOUZ MARZOUK

"Finalmente i miei cari possono riposare in pace". Così Azouz Marzouk ha commentato la condanna all’ergastolo emessa questa sera a Como per i coniugi Romano acusati della strage di Erba.

FRIGERIO

Non è presente in aula Mario Frigerio, l’uinico sopravvissuto alla strage di Erba, ma il suo commento arriva dal suo legale Manuel Gabrielli. "È giusta la condanna all’ergastolo, ora, però, separateli. E speriamo che non escano mai più".

Il testimone chiave dell’accusa ha pianto dopo aver saputo della sentenza e si è detto soddisfatto ma avanza un’ultima richiesta: "Olindo e Rosa devono scontare l’ergastolo in due carceri separate".

Frigero, che nella strage ha perso la moglie Valeria Cherubini, non se l’è sentita di affrontare dal vivo l’udienza, in aula però c’erano i suoi figli Elena ed Andrea.

CASTAGNA

Anche nel giorno del verdetto, che condanna Olindo e Rosa Bazzi all’ergastolo per la strage di Erba, Carlo Castagna, che ha perso la moglie, la figlia e un nipotini, esprime la speranza per il pentimento dei due imputati. "La mia speranza - dice - è che trovino il pentimento per loro stessi. Credo che in questi due anni abbiano capito che il carcere può dare anche la possibilità del reinserimento. Il perdono - aggiunte - puo aiutare il cristiano, colui che nel dolore è stato atrocemente colpito. Di fronte ad una dipartita così crudele, se ci si affida all’esercizio del rancore e della vendetta, non si vive".

"Se io e i miei figli ce l’abbiamo fatta in questi anni ad andare avanti - spiega - è stato grazie alla fede. Certo - ammette - in qualche udienza, di fronte a talune testimonianze e video, siamo stati molto provati, abbiamo rischiato di crollare".

Quanto all’atteggiamento apparso spesso strafottente dei coniugi Bazzi, Castagna afferma: "non è che pretendessimo di verderli a capo chino. Credo che la vicinanza tra loro non abbia fatto altro che renderli più forti, in un disegno premeditato dalla strategia difensiva".

Quando, stamane, Olindo ha manifestato dispiacere per le vittime del crimine, Carlo Castagna ha reagito sdegnato. "Ho provato molta rabbia. C’è un limite, quando si gioca con le vittime, si arriva a bluffare. Ricevere le condoglianze da chi è responsabile è stato veramente troppo". Con la voce rotta dal pianto, Castagna ha poi ricordato quando, negli anni scorsi, in questi giorni, "si pensava a festeggiare il Natale con mia moglie, i nipoti e la mia famiglia".

I RISARCIMENTI

Bisognerà attendere il 24 febbraio prossimo, data indicativa, per conoscere le motivazioni della sentenza sulla strage di Erba che ha portato all’ergastolo Rosa Bazzi e Olindo Romano. Il presidente della Corte d’Assise Alessandro Bianchi, che ha letto la sentenza, ha inoltre stabilito le provvisionali per le parti civili: 60.000 euro per Azouz Marzouk, che nella strage ha perso la moglie e il figlio, 300.000 euro per Mario Frigerio, unico sopravvissuto, e 100.000 euro ciascuino per i suoi figli, Elena e Andrea. I coniugi Romano dovranno pagare anche le spese legali. I risarcimenti completi saranno invece stabiliti in sede civile.

IL PM

"L’ergastolo era l’unica stentenza possibile". Così il pubblico ministero ha commentato la condanna all’ergastolo inflitta dai giudici comaschi a Rosa e Olindo Romano questa sera. Una condanna che lui stesso aveva richiesto al termine della sua requisitoria.

LA DIFESA

"Era una sentenza già scritta". Questo il primo commento alla decisione dei giudici di Como di Enzo Pacia, il difensore degli imputati. "Como - ha aggiunto - non era la sede giudiziaria migliore per questo processo e quello che è accaduto stamattina era più che un colpo di scena. Sembrava si stesse aprendo uno spiraglio di verità. Del resto avevamo provato con la ricusazione e con la legittima suspicione a far capire che era una sentenza già scritta". Il legale ha quindi giustificato l’assenza dei coniugi in aula: "Glielo abbiamo consigliato noi di non venire. Sono già persone molto provate, soprattutto lei".

I DUBBI DI AZOUZ

In precedenza la Corte aveva rigettato l’istanza di nuovi accertamenti probatori presentata oggi dalla difesa di Olindo Romano e Rosa Bazzi, in seguito al fax ricevuto dal pubblico ministero nel quale si riferisce di “dubbi” di Azouz Marzouk, parte lesa, sulla ricostruzione dei fatti.

Secondo i giudici le dichiarazioni fatte oggi in aula da Marzouk in seguito al fax sono “evanescenti e prive di reali spunti investigativi” anche perché non viene identificato in nessun modo il tunisino che avrebbe a sua volta espresso dubbi sulla colpevolezza dei Romano ai genitori di Marzouk. L’udienza continua con la replica del pubblico ministero all’arringa, tenuta due giorni fa, dalla difesa.

OLINDO: SIAMO INNOCENTI

"Io e la Rosa ci siamo amati come il giorno che ci siamo sposati, che ci siamo uniti in matrimonio. Allora come oggi io per mia moglie farei ogni cosa, come lei per me. Se oggi siamo qui è perché quella mattina del 10 gennaio, trasportati, indotti dalla disperazione, confusi, in solitudine, smarriti, ci siamo aiutati a vicenda. Non siamo quelli che ci hanno descritto, siamo persone umane". Ancora una volta Olindo Romano, imputato al processo per la strage di Erba, insieme con la moglie Rosa Bazzi, ha preso la parola per dichiarazioni spontanee e per ribadire come quelle confessioni, rese in carcere nel gennaio dello scorso anno, fossero invenzioni.

"Quella tragica sera ha cambiato la vita di tante persone, ma anche la nostra. Facendoci iniziare un cammino di sofferenza in solitudine". Mentre l’ex spazzino parla, Carlo Castagna manifesta sdegno e sta per perdere la pazienza. Viene trattenuto dal suo avvocato di parte civile Francesco Tagliabue. In aula qualcuno urla ripetutamente "vergogna" inducendo il presidente della corte a invitare all’ordine e al silenzio. Olindo sottolinea quella sua sofferenza spiegando che "questo aspetto nessuno l’ha mai considerato. Così come noi soffriamo, così noi comprendiamo il vostro dolore", dice rivolgendosi ai familiari delle vittime della strage di Erba.

"Ribadisco la nostra innocenza e vorrei esprimere, io e Rosa, il nostro più sincero dispiacere per le persone morte, che ci hanno lasciati, per tutti i loro familiari e per quelli che gli vogliono bene". È questa l’ultima frase a indignare Castagna e le altre parti lese. Il presidente Bianchi dichiara chiuso il dibattimento e si ritira in camera di consiglio con un monito: "quando esco non voglio sentire volare mosca in aula, altrimenti sarò costretto a farla sgomberare".

IL COLPO DI SCENA

Dopo una brevissima camera di consiglio il Presidente della Corte d’Assise, Alessandro Bianchi, ai sensi dell’articolo 507 cpp ha disposto l’esame di Azouz Marzouk ritenendo che "alla luce della nota di servizio pervenuta dal carcere di Vigevano sia necessario chiarire l’esatto tenore delle rivelazioni".
Il riferimento è al fax prodotto dal Pm Asturi nel quale si legge che Azouz esprime dubbi sulla ricostruzione del massacro alla luce di quanto gli avrebbero riferito i genitori in relazione ad uno sconosciuto che si sarebbe recato a casa loro per dire che gli autori della strage di erba, non sarebbero gli attuali imputati. In questi minuti è in corso la deposizione del vedovo tunisino.
Ha il sapore del colpo di scena quanto accaduto alle 9,30 di stamani in apertura dell’ultima udienza per il processo ai coniugi Olindo Romano e Rosa Bazzi, accusati di essere gli autori della strage di Erba per la quale entro sera dovrebbe giungere la sentenza. A portarlo è un fax consegnato dal pm Massimo Astori al presidente della corte d’assise Alessandro Bianchi. È una informativa giunta dal carcere di Vigevano.
Vi si legge che "durante il tragitto di rientro al carcere di Vigevano in data 24 novembre del detenuto Azouz Marzouk, lo stesso riferiva agli agenti della polizia penitenziaria di avere forti dubbi sulla ricostruzione dei fatti avvenuti la sera dell’11 dicembre 2006 in via Diaz ad Erba. Tali dubbi - si legge - sorgevano dal fatto che una persona a lui (Azouz, ndr) e ai suoi familiari d’origine sconosciuta si è recata a Zanghouan (Tunisia) presso l’abitazione dei familiari del detenuto, riferendo che i responsabili del massacro non sarebbero gli attuali imputati".
Secondo quanto si legge nel fax, il vedovo avrebbe avuto notizia di questa ‘visita' dai genitori che vivono in Tunisia durante un colloquio telefonico che risalirebbe al 18 novembre scorso.

AZOUZ MARZOUK: NESSUN DUBBIO, HO PAURA PER I MIEI GENITORI
"Io non ho alcun dubbio sulla colpevolezza degli imputati. Sono solo preoccupato per i miei genitori e per questo ho voluto far sapere di quella visita che hanno ricevuto". Lo specifica subito Azouz Marzouk quando, dopo aver giurato davanti alla corte d’assise di Como di dire solo la verità, risponde al presidente che gli chiede se è vero che durante il suo rientro in carcere a Vigevano lunedì scorso abbia manifestato dubbi sugli effettivi responsabili della strage di Erba.
"Nei giorni scorsi ho telefonato ai miei genitori in Tunisia, erano circa le 20. Sia mamma, sia papà, mi hanno spiegato di aver ricevuto la visita di uno sconosciuto che è andato a dir loro che i colpevoli non sono Olindo e Rosa. Quel tipo pare non sapesse neppure che sono in carcere. Voleva un mio recapito telefonico, ma non ha lasciato alcun suo recapito".
Il presidente della corte, Alessandro Bianchi, chiede a Marzouk se qualche sua vicenda personale possa essere fonte di preoccupazione per l’incolumità sua e dei genitori. Gli fa presente che già in passato aveva detto di avere dubbi che, stando ad alcune relazioni di servizio del carcere ‘dei Piccolini', pare abbia più volte manifestato. "Non ho alcuna questione personale che possa preoccuparmi", precisa il tunisino. Prima aveva ripetuto più volte di aver solo espresso una paura per i suoi familiari con i quali ha parlato anche ieri.
Azouz Marzouk, rispondendo alle domande dell’avvocato della difesa dei coniugi, Enzo Pacia, ha spiegato di aver parlato ieri con i suoi genitori ("mamma mi ha detto di avere paura") ma non ha saputo dire se loro sono in grado di fornire un identikit del misterioso personaggio. "Non c’è niente che dimostri l’innocenza di Olindo e Rosa", ha poi ribadito. L’avvocato Pacia ha chiesto alla corte che vengano subito sentiti i protagonisti di questo colpo di scena partendo dagli agenti della penitenziaria fino ai genitori di Azouz.
Il pm Astori ha definito le dichiarazioni in questione di Marzouk "frutto di un suo comportamento scomposto come ci ha abituati". Astori tra le righe ha lanciato il sospetto che si tratti di una sorta di montatura: la presenza del misterioso personaggio potrebbe essere una invenzione. Da parte di chi, Astori non lo ha lasciato intendere. Ha ritenuto superflua l’escussione di nuovi testimoni. Secondo il pm, siamo di fronte a persone sconosciute, forse fantomatiche, la cui esistenza e le cui dichiarazioni comunque non cambierebbero nulla a quanto emerso dal processo. La corte si è ritirata per decidere.
I due imputati, Olindo e Rosa, sono apparsi piuttosto tranquilli, a tratti sorridenti mentre si consultavano con il loro avvocato Enzo Pacia. In aula sono presenti i figli di Mario Frigerio, Elena e Andrea, mentre è assente il padre dei due ragazzi. Sono presenti inoltre Carlo Castagna, con i figli Beppe e Pietro.
da Quotidiano net

domenica, novembre 23, 2008

SEMPRE BARBONI IN PROVINCIA







Moltissime le novita' in provincia di Savona: dimissioni in massa dei consiglieri di sinistra e degli assessori , sempre di sinistra, caduta del Presidente e conseguente arrivo del Commissario. Tuttavia, almeno una cosa rimane stabilizzata e permanente nella Provincia di Savona : la presenza, soprattutto la notte, di barboni e dei loro giacigli, ordinatamente avvolti, i loro cartoni per ripararsi dal vento, e le immancabili bottiglie di alcolici, vuote, in questo caso abbiamo un estimatore di vodka.












mercoledì, novembre 19, 2008

I FUNERALI DI ROBERTO PELUFFO











Roberto era un militante di sinistra, quindi lontano anni luce dalla mia posizione politica, tuttavia era una brava persona, onesta, corretta, gentile e simpatico...una persona da rispettare, che ci manchera' molto.








mercoledì, novembre 12, 2008

IL GRILLO NEL CARUGGIO


A poco più d’un anno dai fasti del «Vaffaday», Beppe Grillo pare aver già imboccato il viale del tramonto, anzi il caruggio del tramonto, visto quanto è angusto il passaggio verso l’uscita di scena, senza più folle oceaniche ai lati. La Cassazione ha bocciato i suoi quesiti referendari: e non perché abbia scovato qualche cavillo per bocciarli, ma perché le firme presentate non bastano. L’uomo che doveva raccogliere attorno a sé il popolo italiano, non ha raccolto neanche mezzo milione di firme.Un mesto e lesto declino, cominciato con i vaffa che Grillo si è beccato in gran quantità sul suo stesso blog quando grazie a Visco (anche gli orologi guasti ogni tanto segnano l’ora giusta) s’è scoperto che la sua opera moralizzatrice gli rende quattro milioni e passa di euro all’anno (redditi 2006). Quando poi, qualche giorno fa, il masaniello genovese aveva cercato di cavalcare la protesta degli studenti a Bologna, s’era sentito rispondere, anzi intimare, di togliersi dai piedi.La parabola di Grillo non è altro che l’eterno riproporsi delle gesta di Agostino Greggi-Alberto Sordi, il «moralista» di un memorabile film del 1959. Inflessibile custode del comune senso del pudore per conto dell’Organizzazione internazionale della moralità, Greggi-Sordi finisce smascherato per quello che era, un turpe individuo dalla doppia vita; ma poiché chi di moralismo ferisce di moralismo perisce, anche il suo giustiziere, Vittorio De Sica, scivola su vizietti e capricci. Un po’ così è successo a Grillo. Convinto assertore della messa al bando di chiunque abbia una condanna, s’è visto ricordare la propria, di condanna: un anno e tre mesi per l’omicidio colposo di due adulti e un bambino. Implacabile accusatore di evasori fiscali, è stato beccato in castagna per aver usufruito del famoso «condono tombale». Sostenitore della necessità di proibire la politica agli over 50 e promotore di liste civiche, ha forse pensato che gli italiani fossero così fessi da non dare un’occhiata alla sua data di nascita, che risale a oltre sessant’anni fa.Ma gli italiani sono meno tonti di quel che credono i molti, ricorrenti tribuni che s’illudono di infinocchiarli denunciando vizi e peccati. Altrui, s’intende.
da il Giornale

IL SANGUE DI CADIBONA

martedì, novembre 11, 2008

LEGITTIMA DIFESA

Un predatore, tale David Meyers di anni 52 è stato trovato morto dalla polizia. L’uomo si era intrufolato in casa di una famiglia (casa che conosceva bene avendoci abitato in passato dei suoi parenti) ed era entrato nella camera da letto della figlia femmina.
L’uomo era completamente nudo, se si esclude una maschera in volto e dei guanti di lattice. In mano teneva un pugnale e dei preservativi.
Quando la ragazza ha sentito dei rumori e si è svegliata ha trovato l’uomo ai piedi del suo letto. Il padre accorso per le grida della figlia, ha aggredito l’uomo che pare sia morto per infarto durante la colluttazione. Meyers aveva già scontato dieci anni per abusi a danno dei minori ed era ricercato in un altro stato per non aver rispettato le regole del Sexual Offender Register. Il padre della ragazza non verrà accusato di nulla se si proverà la morte per infarto del predatore.
Secondo il capo della polizia, “se qualcuno entra in casa tua e minaccia i tuoi figli e giusto difendersi, anche a costo di uccidere l’aggressore”.
Voi cosa ne pensate?

da Prometeo

DUE ORCHI DICONO...............


Questi sono due nuovi predatori di bambini, Jeffrey Brisson e Harold Spurling, finiti nella rete della giustizia.
Un bimbo di 5 anni l’ultima vittima accertata. Il piccolo ha raccontato nei minimi dettagli le violenze a cui veniva sottoposto, il dover “guardare foto di altri bimbi” che facevano sesso o l’assistere ai rapporti sessuali tra i due davanti a lui.
La polizia nell’abitazione della coppia di predatori ha sequestrato, nel più classico dei copioni, “ingente quantità di materiale pedopornografico” (per l’esattezza 4.280 gigabyte, con immagini che se stampate avrebbero riempito ben 103.000 libri a carattere pedoporno).
Tra le tante chicche scritte e dette dai due predatori riportiamo la seguente, ad opera di Harold Spurling che già aveva dichiarato di “essere molto attratto dai bambini di 5 anni”:
“credo che l’isteria riguardo la sessualità infantile abbia a che fare più in generale con la paura riguardo il sesso. Altrimenti non si spiegherebbe perché poi la gente dovrebbe pensare che il sesso non è per i bambini?”
Su You Tube la notizia del loro arresto:
http://www.youtube.com/watch?v=G2wWCUy11XU
http://www.youtube.com/watch?v=G2wWCUy11XU
da Prometeo

PADRE DESSI' CONDANNATO A 8 ANNI

PADRE DESSÌ CONDANNATO IN APPELLO A 8 ANNI
di Lucio Salis da L’Unione Sarda
La condanna, in Corte d’Appello, di padre Marco Dessì a 8 anni di carcere per pedofilia significa il crollo di un mito. Sia pure concedendogli un significativo sconto rispetto alla sentenza di primo grado (12 anni), i giudici di Bologna hanno certificato che il sacerdote di Villamassargia si è macchiato del più odioso dei reati: ha approfittato degli orfani, affamati, di un paese (il Nicaragua) dilaniato dalla guerra civile.
Grazie ai benefici di legge, padre Marco (così tutti lo chiamavano familiarmente) forse fra un paio d’anni potrà godere dei primi scampoli di libertà, ma non conquisterà più la stima, l’affetto che migliaia di persone gli tributavano in tutta la Sardegna. Le stesse che durante le prime fasi dell’inchiesta giudiziaria non volevano riconoscere in questa figura di religioso votato al bene degli umili, considerato dalla devozione popolare quasi in odore di santità, l’autore degli atti ignobili rivelati, fra le lacrime, dagli orfani dell’Hogar del Nino di Chinandega. Gente di ogni ceto sociale, che si era prodigata per organizzare collette, concerti, convegni con l’entusiasmo ingenuo di chi mette il proprio cuore in una buona causa. E ora deve arrendersi di fronte alla realtà di una sentenza che cancella ogni dubbio

da Prometeo

mercoledì, novembre 05, 2008

ROM UBRIACO E DROGATO INVESTE 13 PERSONE A ROMA

Ubriaco e drogato investe 13 personealla fermata del bus: tre sono gravi
da Repubblica

ROMA -

Ha investito i pedoni che stavano aspettando l'autobus alla fermata di viale dei Romagnoli ad Acilia, sulla strada per Ostia. Un nomade del vicino campo di Dragona, pregiudicato di 26 anni, ubriaco e positivo al test per la cocaina, è finito contromano ed è piombato contro le persone che attendevano il bus. Alcuni dei feriti, tra i quali anche un quattordicenne, sono stati trasportati negli ospedali vicini in elicottero: tre di loro, tra cui il minorenne, sono in gravi condizioni. Su indicazione di un passante, i vigili hanno subito bloccato Bruno Radosavljevic, nato a Torino, di nazionalità croata, con carta di identità e patente italiana. Ha rischiato il linciaggio. La gente che ha assistito all'incidente, voleva linciare l'uomo, anche lui lievemente ferito, trascinato via dai vigili urbani. Aggredito dai familiari di una vittima anche il padre che aveva raggiunto il figlio in ospedale. "Se ne devondo andare da qui", ripetono ad Acilia. "Non ne possiamo più. Non sanno fare altro che ubriacarsi e rubare". C'è rabbia tra gli abitanti di via Romagnoli: "Siamo stanchi. Speravamo che le cose cambiassero: ma qui non cambia mai nulla". Fiaccolata a Ostia. Stasera, a Ostia, è stata organizzata una fiaccolata per chiedere più severità contro chi si mette al volante ubriaco. Alla manifestazione sarà presente anche il sindaco di Roma Gianni Alemanno: "Una persona in stato di ebbrezza e con addosso anche gli effetti della droga non può non essere arrestata. E' un vero e proprio tentato omicidio colposo plurimo". Un nomade nato a Torino. Bruno Radosavljevic era alla guida della Bmw 320 del padre. Alle otto del mattino, percorreva viale dei Romagnoli in direzione Ostia Lido quando è sbandato e ha investito sul marciapiede opposto le persone ferme in attesa dell'autobus. "Ho tentato di schivare un passante; per questo ho perso il controllo dell'auto" ha raccontato. Sull'asfalto, bagnato dalla pioggia, non ci sono segni di frenata. I testimoni dicono che andava "come un razzo". La moglie Silvana ne parla come di uno che non beve mai e che lavora come fioraio. Lei ha 23 anni e quattro figli.

Il campo. La coppia abita da sette anni nell'insediamento di via Ortolani, un campo nomadi di 15 abitazioni nel quale risiedono 64 persone per la maggior parte bambini, "regolarizzato dalla giunta Rutelli", e regolarmente censito dalla Croce Rossa negli scorsi mesi. Si tratta di una serie di abitazioni costruite in proprio e di alcuni prefabbricati, dotati di servizi igienici, un piccolo insediamento posto al di sotto di un cavalcavia lungo la via del Mare. Lo zio dell'investitore dice: "Ora abbiamo paura, ma noi vogliamo restare qui". Il precedente otto mesi fa. E il pensiero corre alla strage di Fiumicino, nel febbraio scorso: un'auto finì su un gruppo di persone in attesa dello scuolabus. Morirono tre bambine e due donne.

IL 6 NOVEMBRE 2007 moriva Enzo Biagi




Da LA STAMPA




1959, l’inviato della Stampa dalla vedova del feldmaresciallo
ENZO BIAGI
Il 6 novembre di un anno fa moriva Enzo Biagi, uno dei più grandi giornalisti del ’900. La Stampa, dove lavorò dal ’53 al ’74, con brevi interruzioni, gli rende omaggio con il volume Dal nostro inviato, in distribuzione da domani a e7,90 più il prezzo del quotidiano. Curato da Alberto Sinigaglia, con ricordi di Arrigo Levi e Enzo Bettiza, il libro raccoglie gli articoli più significativi (incontri, ritratti, reportage) scritti per il nostro giornale.








Pubblichiamo uno stralcio dell’intervista con la vedova di Rommel, uscito sulla Stampa del 20 settembre 1959.Il General Feldmarschall Erwin Rommel riposa nel piccolo cimitero di Herrlingen. Una croce di legno, un nome, due date: 1891-1944. Accanto a lui, due coniugi senza storia, i signori Schneider, aspettano il giorno della resurrezione.Nella villa dove trascorreva la convalescenza, e dove lo raggiunse l’ordine di morire, c’è adesso un asilo; in questa camera allegra, i messaggeri di Hitler parlarono per un’ora; di veleni prodigiosi, di tribunali senza legge, di onoranze funebri solenni. I tedeschi, è noto, hanno il mito della precisione; discussero anche il programma finale: banda che suona la marcia del Crepuscolo degli Dei, bandiere di tutte le armi debitamente abbrunate, truppe sull’attenti.Rommel salì questa scala, trasformata ora in un deposito di bambole, di cavallucci e di palloni, per dire alla moglie che, entro pochi minuti, le avrebbero annunciato la sua improvvisa scomparsa. Il cianuro – glielo avevano assicurato – agiva in tre secondi.Sulla parete dov’era affissa la carta con la situazione dei fronti, le maestrine bionde hanno attaccato i disegni dei piccoli. La bimba Christa Blauer è rimasta impressionata dalla favola di Rotkäppchen: Cappuccetto Rosso raccoglie i fiori nel bosco e il lupo è sempre pronto a mangiarla. [...]La signora Lucie Maria Rommel vive attualmente a Sillenbuch, un sobborgo di Stoccarda.[...] Abbondano, tutt’intorno, le fotografie di Erwin Rommel, ritratto sui diversi campi di battaglia, e ci sono anche due quadri ricavati da immagini vere, riprese durante i combattimenti. Il maresciallo indossa la divisa dell’Afrika Korps o l’uniforme dei carristi. Ha sempre la faccia severa dell’uomo duro, che parla poco e sa quello che vuole.«Tutto avvenne così in fretta», dice Frau Rommel. «No, non ricordo nemmeno se, dicendomi addio, mi baciò. Quando cominciai a pensare era già andato via. No, non si stupì dell’arrivo degli inviati di Hitler. Stulpnagel, uno dei congiurati del 20 luglio, in una camera operatoria, aveva fatto, smarrito nel delirio, il nome di mio marito. Del resto Erwin, il giorno prima, aveva scritto una lettera al Führer. Sì, fino al 1942, aveva creduto in Hitler, e anche nella vittoria. Anzi, non credeva neppure potesse scoppiare nel settembre del ’39. Diceva sempre che la guerra non si poteva fare, perché la sua generazione l’aveva già provata, e chi c’è stato una volta sa che non è bella, ma stupida e brutale.«Credeva, fino al 1942, anche in Hitler; lo dicevano in tanti che Hitler aveva un fascino straordinario, proprio qualcosa come l’ipnotismo, una forza alla quale non si resiste. Poi, in Francia, incontrò il generale Blaskowitz, che gli parlò delle stragi degli ebrei; il generale Blaskowitz le aveva viste proprio con i suoi occhi, ma noi, anche se pare impossibile, non ne sapevamo nulla. Mio marito capì che era finita e lo disse anche a Hitler; capì anche che Hitler era un pazzo furioso. Disse a Hitler: “Mio Führer, io farei gli ebrei gauleiter, tutti i gauleiter dovrebbero essere ebrei”. Chi ci perdonerà, pensava, le nostre colpe, le nostre vergogne? “Mio Führer – disse anche – aiutiamoli perché trovino in Palestina una patria”.«“Palestina? – sorrise Hitler –. Ma scherza? Troppo vicini. Dovrebbero andare almeno in Madagascar”».Lucie Maria Rommel, nata Mollin (la sua gente era di origine italiana) è una donna forte, che ormai vive soltanto per difendere la memoria e il prestigio di Rommel. «Mein Mann», si dice in tedesco per dire marito, ma si capisce che per lei quel «mio uomo» è qualcosa di più. «Ora lo discutono nelle scuole – m’informa con una specie di orgoglio –, i ragazzi sanno, lo sanno anche dai libri di lettura che c’è stato questo generale, che ebbe vittorie e sconfitte ma che credeva nell’onore, umanamente. Non era un fanatico. Erwin Rommel era semplice, “rein”, pulito. Lo discutono nelle scuole e questo mi basta, è segno che un Erwin Rommel c’è stato. Erwin amava le cose comuni, lo sport, la neve, la meccanica; si interessava poco di letteratura e molto di storia. Non fumava nemmeno. Quando lo nominarono maresciallo era in Africa e festeggiò la promozione con un bicchiere di whisky e un ananas. Mi scrisse, sa, mi scriveva tutti i giorni, che invece di quel grado avrebbe preferito un’altra divisione. Erwin era giusto. Voleva bene ai soldati, e non concepiva differenze di trattamento per gli ufficiali: “Chi deve morire nello stesso modo – diceva – nello stesso modo deve vivere”». [...]«Quel giorno – ricorda Frau Rommel, senza intenerirsi, senza vibrazioni –, venne in camera mia per dirmi: “Hitler mi ha offerto la scelta tra il veleno e un processo. Hanno portato il veleno”. Poche parole, poi uscì».Forse, mentre se n’andava, Rommel sentì la moglie singhiozzare sommessamente, ma si comportò come se nulla fosse accaduto e come se nulla dovesse accadere. Era in ordine con se stesso; aveva risposto a chi gli proponeva di prendere parte a una congiura per rovesciare il regime: «Credo sia mio dovere offrire il mio aiuto alla Germania». [...]Il 14 ottobre saranno trascorsi 15 anni da quel giorno d’autunno. Sulla tomba della «Volpe del deserto» sono fiorite due rose color sangue e il vento ha portato ai piedi degli abeti che proteggono il riposo del vecchio soldato le prime foglie gialle. Vicino al cimitero c’è la scuola del paese, e si sentono le voci dei bambini che ripetono la lezione. Nel libro di lettura, una pagina racconta la storia del leggendario General Feldmarschall Erwin Rommel, che, con i signori Schneider, che non compirono nulla di memorabile, attende, sotto una croce di legno, l’ultimo giudizio, il solo che conta.

martedì, novembre 04, 2008

QUATTRO NOVEMBRE





























Nella ricorrenza dell’88° anniversario della fine della Prima guerra mondiale, la Festa di “Vittorio Veneto” e dell’Unità d’Italia è l’occasione per ricordare con commozione e riconoscenza i Caduti della guerra del 1915-1918 e di tutte le guerre, i quali con il loro sacrificio, hanno permesso di realizzare gli ideali di unità e indipendenza, oggi patrimonio inestimabile della nostra Nazione. E’ l’occasione per riflettere sugli ideali di pace e di libertà che ci sono stati trasmessi e per rinnovare il monito, alle generazioni di oggi e a quelle future, di rifiutare totalmente la guerra e qualsiasi altra forma di violenza.Il 4 novembre è anche la Giornata delle Forze Armate, a cui va un ringraziamento fiducioso per l’impegno a difesa dei principi del vivere civile profuso non solo per il nostro Paese, ma anche al di là dei confini nazionali.














domenica, novembre 02, 2008

SILVESTRO DELLE CAVE









Da Prometeo, il sito per eccellenza anti - pedofilia
LA STORIA DI SILVESTRO.
Silvestro ha 9 anni, lo sguardo furbetto e il nome simpatico, “come quello del gatto dei cartoni animati”, così dicono i suoi amici.
Silvestro corre in strada, insegue un cartoccio di stracci che diventa pallone, una lattina vuota, un colpo tira e goal! Capocannoniere. O campione del mondo.
Un mondo povero, a tratti degradato, da conquistare giorno dopo giorno, per sopravvivere, guadagnarsi un’occasione, nel nome della legalità, con uno stato assente ed un altro, parallelo, presente. Fin troppo.
Silvestro corre, corre per le strade polverose, tra gatti randagi e ciottoli. Corre con i suoi amici, compagni di giorni che si alternano spensierati, lontano all’orizzonte il mondo degli adulti, lontano quel futuro, troppo lontano, ma per ora tutto è divertimento, spensieratezza, pulizia, gioco.
Come quello di fare gli scherzi, passione che riunisce magicamente tutti i bimbi del mondo, si suona il campanello di un citofono, magari si borbotta qualcosa e poi via di corsa, con l’adrenalina che corre a mille nelle vene e la certezza di aver compiuto chissà quale trasgressione.
E l’eco delle voci che dai citofoni fuoriescono ti rincorre, dandoti ancora più forza, rendendoti ancora più veloce mentre un brivido piacevole quanto repentino ti scorre lungo la schiena.
Roccarainola, così si chiama il paese, è un piccolo centro abitato, frazione di Cicciano.
Tutti nel bene o nel male si conoscono. Tutti sanno tutto di tutti.
Il rione delle case Gescal, case popolari, è forse quello più povero di altri, anche se a ben guardare quando si tratta di povertà qui non ci sono certo grandi differenze.
Silvestro gioca con i suoi amici e incontra il suo destino con un colpo di citofono, quello che suona direttamente all’inferno degli angeli.
Il nome sul campanello è quello di tale Andrea Allocca, pensionato settantenne.
Il vecchio scende in strada, sbraita, urla contro quei ragazzetti che gli hanno fatto lo scherzo. Silvestro si fa sempre più piccolo, si spaventa, non pensava ad una simile reazione, lui poi è un bambino e quello è solo un innocente sciocco gioco.
Piange Silvestro, si blocca dalla paura e piange. Forte. Il vecchio allora la smette di sgridarlo, il Diavolo si sa essere astuto e sfruttare ogni occasione gli si presenti. Prende il piccolo sotto braccio e lo accompagna “di sopra, a casa, dove si potrà calmare”.
Certo il bimbo l’ha fatta grossa, quelli non sono mica scherzi da fare, la punizione, capitelo bene, ci deve essere.
Inizia così, in quel dannato giorno del 1997, il ciclo di abusi sessuali a cui il piccolo Silvestro verrà sottoposto, in quella altrettanto maledetta palazzina al 27/a del rione Gescal.
Insieme allo “Zì Andrea” si uniscono ben presto il genero, Gregorio Sommese di 43 ani ed il cognato di quest’ultimo, Pio Trocchia.
I tre abusano del bambino, a volte anche a cadenza quotidiana e poi gli danno pochi spiccioli, magari delle caramelle, facendogli passare il messaggio che lui “quelle cose lì le fa per soldi, per interesse e per questo è meglio che tenga la bocca chiusa”.
Il bambino sta male, tanto, diventa abulico, a scuola pure va male ed i giochi con i compagni si fanno sempre più rari, qualcosa, o qualcuno, gli ha spento la gioia di vivere.
Silvestro poi è ferito dai sensi di colpa, che gli esplodono dentro e gli fanno male, tanto troppo male. Per questo un giorno, dopo l’ennesimo stupro di gruppo, mente si riveste dolorante e piangente, davanti ai suoi carnefici sazi, Silvestro dice “basta!”. Non vuole più continuare, anzi non ha proprio mai voluto farlo, sono loro i cattivi che l’hanno obbligato e ora lui dirà tutto al suo papà……
Forse è stata la sua ultima frase, o forse ha detto qualcosa d’altro, magari una supplica, chissà.
Andrea Allocca, capo branco, prende un bastone e picchia forte sulla testa di Silvestro.
Quindi insieme a Gregorio Sommese fa a pezzi il corpo del bimbo, mentre Pio Trocchia va a prendere la sua Panda.
Andrea Allocca e Gregorio Sommese portano via i resti del bimbo dentro ad un sacco di juta, mentre Trocchia resta a casa a pulire.
Le ricerche di Silvestro, scomparso da casa oramai da cinque giorni partono dalla Campania per toccare l’Italia tutta.
Possibile che in una frazione così piccola nessuno abbia visto nulla? Nessuno sappia nulla? L’omertà si sa è un brutto male, che ama essere complice di altri mali grandi quanto lei.
Grazie ad una intercettazione telefonica i carabinieri arrestano Andrea Allocca e Gregorio Sommese: è soprattutto quest’ultimo a dare indicazioni al telefono, spaventato dalle perquisizioni fate dagli “sbirri” nel rione Gescal.
Poche ore dopo fermano anche Pio Trocchia.
I tre confessano. Nei minimi dettagli. Agli inquirenti non pare vero di ascoltare una dichiarazione tanto dettagliata, quanto violenta, ma soprattutto priva di emozioni. Silvestro è una cosa, un oggetto, usato, rotto e buttato.
“Speravo di ritrovarlo, ma non dopo aver subito questo” dice la madre Rosaria, mentre ancora non si trova il corpo del bimbo. Gli inquirenti requisiscono a casa di Alocca una roncola ed una pesante mazza, ma si rifiutano di rendere pubblici i dettagli del caso perché “troppo raccapriccianti”.
Riveleranno solo alcune dichiarazioni delle belve, che diranno che il bimbo prima l’hanno cercato di soffocare, poi l’hanno colpito più volte al capo e poi l’hanno fatto a pezzi; inoltre confermeranno che i resti sono stati bruciati, insieme ai suoi quaderni ed alla cartella di scuola.
La confessione, ripeto, viene fatta senza emozioni. Anzi, dopo l’omicidio i tre si ripuliscono e tornano a casa dalle rispettive famiglie per il pranzo, salvo tornare nel pomeriggio per eliminare gli ultimi resti di Silvestro.
Passano 8 anni: il 12 aprile 2005 viene ritrovata una valigia, durante gli scavi per la ristrutturazione di una casa. Contiene dei resti umani, un cranio sfondato e delle scarpine da tennis taglia 37 insieme a dei brandelli di abiti.
I genitori li riconoscono come quelli di Silvestro. L’esame del dna conferma l’esattezza del riconoscimento. Resta da capire come siano finiti lì e perché non siano stati bruciati come gli assassini avevano dichiarato.
Il 7 maggio viene celebrato il funerale del bimbo, a cui partecipano più di duemila persone.

Gli assassini.
Andrea Allocca è morto in carcere per un edema polmonare solo due settimane dopo l’assassinio.
Il paese si è letteralmente rivoltato, rifiutando che venisse seppellito in terra consacrata (peccato non siano stati così “rivoltosi” quando lo dovevano) ed infatti i funerali sono stati fatti in un posto sconosciuto. Nessuno dei suoi parenti pare sia andato a dargli l’ultimo saluto……
Pio Trocchia è stato condannato con condanna definitiva all’ergastolo. Pare che in carcere sia diventato pazzo. Pare…..
Gregorio Sommese invece è stato assolto dall’omicidio ed ha scontato 9 anni, solamente 9 anni, per occultamento di cadavere.
Oggi Gregorio Sommese è LIBERO. La madre di Silvestro ha “ringraziato i Giudici” ed avvisato le altre mamme: “attente c’è un pedofilo in libertà”.
E se qualcuno sa dirci dove sia, gliene saremmo grati………..

sabato, novembre 01, 2008

ANCORA GUILLERMO VARGAS...L'ORRORE SI RIPETE



Siamo a quota 152mila. Le petizioni on line contro il sedicente artista Guillermo Habacuc Vargas, piovono da tutto il mondo e si moltiplicano. Ora anche nel nostro paese la gente si sta muovendo per stigmatizzare la sadica iniziativa «culturale» di Habacuc e impedire che l’autore possa replicarla in qualche altro museo compiacente. Un cane lasciato morire di fame, con una corda al collo e una catena che lo tiene lontano da una scodella di cibo, è tortura. Qualcuno la spaccia per arte.
La Ue, intanto, ha deciso di mettere al bando l’arte omicida chiudendo le porte dei principali musei ad Habacuc. Il commissario Frattini, promotore dell’iniziativa, ha già iniziato le consultazioni con altri delegati per verificare in che modo si possa vietare al costaricano di «esternare» al di fuori dai confini del suo paese. E mentre i politici stanno lavorando in questo senso, la gente protesta sonoramente.Il fattaccio è noto ai lettori del nostro Giornale. Questo «artista» ha legato un indifeso cane randagio a una corda e lo ha fatto morire di fame e di sete in una galleria d’arte della Costarica nell’indifferenza dei visitatori che ne hanno anche ammirato l’agonia.
La notizia è stata efficacemente commentata da Mario Cervi che ha ben definito Habacuc un mascalzone e probabilmente un pazzo. «Sono strettamente consigliabili nei suoi confronti misure cautelari, una delle quali potrebbe consistere nel tenerlo legato a una catena, senza cibo», scrive il nostro direttore. Parole condivise da molti lettori offesi che hanno scritto lettere infuocate per testimoniare la loro indignazione. «La scorsa notte non ho chiuso occhio - racconta Isabella Sforzini - la notizia mi ha sconvolto intimamente provocandomi un malessere profondo... ma possibile che nessuno sia riuscito, visitando la mostra, a tagliare quella maledetta corda e salvare quella povera bestia? In che mondo viviamo?». Piero Badoglio, confessa di «non aver potuto leggere altro se non il titolo dell’articolo e il richiamo in prima pagina». Roberto Bellia, invece, parla di «vigliacca sopraffazione» e si domanda fino a che punto «l’uomo può degradarsi inseguendo la propria vanità». Giovanni Delle Monache conclude sostenendo che «l’uomo si crede intelligente ma rappresenta il peggior fallimento del Creato» e chiede «una giusta punizione che per un simile individuo capace di una violenza simile può solo essere l’eliminazione». Purtroppo, la speranza di Giovanni e di molti altri lettori non sarà esaudita perché il Costa Rica il signor Habacuc sembra gettonato a tal punto che potrebbe essere candidato a rappresentare il proprio paese alla prestigiosa Biennale Centroamericana Honduras 2008. Una candidatura che il mondo dovrebbe impedire e potrebbe farlo con una sollevazione popolare. Le petizioni on line servono proprio a questo, a isolare Habacuc nel suo delirio di onnipotenza.
E la macchina della protesta sembra ben avviata. «Che cosa vuole dirci l'artista con questa opera? Che l'uomo può ricavare fama e denaro da un cane, anche se in fin di vita?» si domanda Angela in uno dei siti Internet che sostengono la petizione. Una scelta che potrebbe screditare l’intera mostra internazionale se non fermato in tempo. Per questo anche il capogruppo dei verdi alla Camera Angelo Bonelli. invita a firmare la petizione online e chiedere così agli organizzatori della Biennale Centroamericana di non ospitare le opere di Habacuc. «Ci associamo alla richiesta del Commissario Franco Frattini affinché Italia e Unione europea chiudano le porte a questo sedicente artista».
da ILGIORNALE