martedì, ottobre 08, 2019

Agostino e il suo carretto


Agostino e il suo carretto

Questo signore si chiama Agostino , la foto lo ritrae nel 1960 circa e all'epoca aveva poco meno di 40 anni, il luogo è nelle vicinanze de il semaforo ,ancora esistente di fronte alla facciata lato mare del vecchio San Paolo di Savona, che regolava il traffico tra Corso Italia e Corso Mazzini.
Il banco che è di lato ad Agostino, è colmo di caramelle, stringhe, pummelletti , boeri, lecca lecca e altri prodotti dolciari che a noi bimbi , di allora, tanto piacevano, ed era attaccato ad una ape che provvedeva al traino.
Ogni mattina Agostino arrivava con la sua ape ed esponeva la sua merce, era una zona di passaggio, soprattutto d'estate, chi andava a spiaggia o ne tornava e anche chi frequentava i giardini pubblici con il tempietto napoleonico non mancava mai di passare da Agostino che con un sorriso accattivante vendeva ai bimbi le sue piccole dolcezze.
Assieme a lui c'era il padre, Pinotto con sua moglie che lo coadiuvavano nella vendita. Alla sera , dopo aver chiuso il suo banco, entrava nella sua ape e con un rombo partiva per tornare a casa che era nei paraggi.
Agostino in qualsiasi stagione, purchè non piovesse, era sempre lì, accanto alla centralina del semaforo, in questo posto strategico di passaggio, faceva parte del paesaggio, dell'immaginario collettivo di Savona, era una piccola porzione di storia di questa città.
Poi con il passare del tempo, con l'avanzare degli anni, prima Pinotto, poi sua moglie hanno lasciato solo Agostino a vendere , i bimbi di allora sono diventati adulti, con altri interessi, molti si sono allontanati da Savona per diverse ragioni, ma Agostino ha continuato a vendere i suoi prodotti, sempre più curvo e con un sorriso sempre più stanco, mentre gli anni trascorrevano inesorabili, sempre più inesorabili con tutte le loro conseguenze.
In questi giorni , sono entrato in una struttura per anziani nel centro di Savona e mentre ne percorrevo il corridoio ho intravisto in una camera, seduto su una poltroncina, un anziano, che leggeva un giornale, curvo e tremolante, una strana sensazione di dejavù mi ha attraversato il cuore, e non ho potuto fare a meno di entrare ed avvicinarmi, e il bambino di allora , io, ha riconosciuto l'adulto di allora, Agostino. L'uomo si è voltato e mi ha sorriso, lo stesso sorriso di tanti, tanti anni fa, molto più stanco e con tantissime rughe che lo incorniciavano. Mi ha mostrato una fotografia che teneva sulla mensola e ho avuto la certezza di aver trovato dopo un secolo Agostino, quello che mi vendeva 10 lire di pumelletti, concedendomi di fotografarla e renderla pubblica.
Ho iniziato a parlare con lui ed egli ha capito, o almeno spero, chi io fossi, gli sono stato accanto una mezzora a scambiare con lui tante, tante parole, poi il mio collega è venuto a cercarmi perchè l'ambulanza doveva tornare in sede. Mi sono staccato da questa persona e mi sono ripromesso di tornare a trovarlo, sono uscito da quella camera molto più ricco di quando ci sono entrato.

sabato, ottobre 05, 2019

La strage di Prato 1944




L'eccidio del Castello dell'Imperatore
Prato , settembre 1944

Le truppe alleate, nel 1944, stavano risalendo l'Italia dopo gli sbarchi in Sicilia e ad Anzio, l'esercito Tedesco dopo aver opposto una efficace resistenza sulla Linea Gustav, si stava riposizionando più a nord lungo la linea Gotica , poche decine di chilometri più a sud di quest'ultima linea difensiva, c'è Prato, una importante città, che venne raggiunta e circondata dagli Americane, che tuttavia non vi entrarono, dando il tempo ai Tedeschi di uscire dal centro abitato. Mentre gli Americani temporeggiavano e i Tedeschi ripiegavano, lasciando i loro alleati della RSI in città, la brigata partigiana denominata Buricchi, nominativo derivava da un partigiano che aveva fatto saltare in aria un treno militare carico di Tritolo a Carmignano, attestata precedentemente in un faggeto sopra Prato, entra in città, forse confidando nella completa assenza dei Tedeschi. Essa contava circa 200 elementi di cui molti Russi ex prigionieri.
Nei pressi di Villa Massai, una splendida villa ora in completo abbandono, cade in una imboscata , ingaggia uno scontro a fuoco con un reparto di granatieri Tedeschi affiancati da Italiani. Nello scontro la brigata Buricchi ha la peggio subendo importanti perdite, inoltre 29 di loro sono presi prigionieri e impiccati in località Figline. Questo fatto crea ulteriore tensione e odio nei confronti dei Fascisti Repubblicani che in realtà non furono i responsabili di queste esecuzioni sommarie ordinate ed eseguite dagli ufficiali dei Granatieri Germanici.
Nei giorni successivi i CLN si insediò a Prato ed emanò l'ordine di l'arresto di numerosi Fascisti Pratesi che in quel periodo erano circa 200, ordinando però categoricamente, che non sarebbero dovute avvenire violenze di nessun tipo, nessun processo sommario e nessuna uccisione di Fascisti per vendetta, gli stessi ordini vennero emanati dalle autorità alleate. Molti fascisti vennero reclusi quindi al Castello di Prato, detto anche dell'Imperatore, situato nella piazza delle carceri, fatto costruire nel medioevo da Federico II di Svevia.
Ma alcuni personaggi, che definire violenti sarebbe un eufemismo, si erano già messi in movimento, nonostante il divieto del CNL , le prime esecuzioni sommarie all'interno del Castello, iniziarono nella del mattinata del 7 settembre e proseguirono sino al tardo pomeriggio dello stesso giorno , compiute con mitra e con pistole e fucili, i primi ad essere uccisi furono i fratelli Giorgi, Giovanni e Leonello entrambi, militi della GNR , quindi Petrelli Fernando , Micheli Ricciardo, Simoncini Spartaco , Ubertini Benvenuto, anche una donna Razzai Fiorenza , accusata di essere una dattilografa al servizio dei Tedeschi viene soppressa, oltre ad uno straniero , di nazionalità Polacca accusato di collaborazionismo, l'ultimo ad essere eliminato fu un sottufficiale del Carabinieri, il Maresciallo Giuseppe Vivo, anche se munito di un lasciapassare partigiano. Ad un sacerdote che si offrì di amministrare i Sacramenti ai poveretti venne negato l'accesso.
Al Castello Svevo, le vittime furono nove ma a Prato città, secondo alcune fonti, ben sessanta persone vennero frettolosamente trucidate a casa loro, nelle strade, contro i muri della chiesa in poche ore in una ordalia selvaggia di odio.
Emerge in questa circostanza , in particolare, un certo Marcello Tofani, Pratese, classe 1923, nome di battaglia Tantana, partigiano della Brigata stella rossa, figlio di un becchino, nato in una famiglia numerosa, basso e tarchiato, violento e intraprendente, da giovane pesca di frodo in spregio alle leggi locali.
Per descrivere la sua indole implacabile basta questo, il Tantana era stato multato ripetutamente da un vigile urbano di Prato, un certo Cecchini, e a guerra finita, Tofani si mise alla ricerca del vigile che lo aveva perseguito attraverso i rigori della legge e che per di più era di fede fascista, ne trovò a Milano la fidanzata, la costrinse con la violenza a rivelare dove fosse nascosto il Cecchini, e poi lo raggiunse. Cosa accadde esattamente non si sa, secondo la Corte di Assise di Milano, il Tanfana lo torturò , lo uccise e poi dopo averne spogliato il cadavere lo gettò in un canale, pare la Martesana, e non venne mai più trovato, tanto è vero che venne condannato anche in appello a 27 anni. Un altro omicidio di cui fu ritenuto responsabile, fu quello del Maresciallo dei Carabinieri Giuseppe Vivo, avvenuto all'interno del Castello di Prato, per il quale fu condannato a 18 anni di reclusione, ci furono diversi processi ma l'unico imputato che venne ritenuto colpevole fu appunto Tofani, tutti gli altri suoi compagni vennero prosciolti.
Tofani confessò tranquillamente di aver “ucciso dei fascisti” in quanto secondo lui azione meritevole, per vendicare il fratello partigiano a sua volta ucciso durante la resistenza. Forse credeva realmente di essere nel giusto a spargere tanto sangue, infatti transitò per un breve periodo anche nell'O.P.G. di Reggio Emilia e comunque dopo, di anni di galera ne scontò davvero pochi, grazie alla amnistia Togliatti, e nel giugno del 1986 morì nel suo letto a Bologna dove si era trasferito. La sua breve permanenza in galera non lo convinse al pentimento ma almeno gli permise di finire gli studi elementari e di imparare a leggere e a scrivere visto che nell'adolescenza non aveva proseguito oltre la terza elementare.
Nel 2017 si è spenta a 90 anni, una persona totalmente diversa da Tofani, Silvano Desideri, che per anni lottò affinchè Prato non dimenticasse le vittime di queste vendette feroci, avvenute sotto la comoda copertura della resistenza ma che in realtà furono assassinate per motivi abbietti. Tanto fece che nel 2011, presso la sede della Circoscrizione Centro di Prato, riuscì a far parlare in un convegno di quello che accadde in quei giorni di follia e di sangue a Prato, e a riportare alla luce una strage dimenticata di cui non si conosce neppure ora l'esatta portata ma che secondo alcuni studi può tranquillamente superare in pochissimi giorno le settanta unità.

domenica, settembre 29, 2019

l'eccidio di Costa D'Oneglia

L'eccidio di Costa D'Oneglia ( Imperia )
L'Avvocato Ambrogio Viale, classe 1900, cattolico e politico rigoroso, nella sua qualità di prefetto di Imperia nell'immediato dopoguerra, dichiarò testualmente ad una commissione di inchiesta .
Viale si riferiva alle gesta dei partigiani rossi, nel periodo post insurrezionale e in particolare alla strage avvenuta , la notte del 4 maggio 1945, nelle vicinanze della Chiesa del Carmine, in località Capuccini, a Costa D'Oneglia e ad altre atrocità compiute, in particolare su due giovani donne , ex ausiliarie del S.A.F. , servizio ausiliario femminile, Giovanna Serini e Lidia Bosia, sequestrate a metà di giugno 1945, queste due ragazze erano semplicemente infermiere e non facevano parte del personale combattente della RSI ma vennero assassinate probabilmente perchè conoscevano i nomi degli assassini della precedente strage di Costa D'oneglia, prima di essere abbattute subirono uno stupro collettivo.
La notte del 4 maggio 1945, un reparto di poliziotti ausiliari partigiani armati, entrò nel vecchio carcere di Imperia, con una lista di proscrizione, senza alcuna giustificazione legale, prelevò 26 persone ivi ristrette con la solita accusa di implicazioni col il regime della RSI, li caricò su due camion e partì verso destinazione ignota.
Gli agenti di custodia, pochi e disarmati, non poterono opporre alcune resistenza . I mezzi raggiunsero località Capuccini, sulle alture dell'Imperiese, qui i sequestrati, legati per i polsi con del fil di ferro, sotto la minaccia delle armi raggiunsero la chiesa del Carmine dove ottennero di raccogliersi in preghiera.
I prigionieri sapevano benissimo quale fosse la sorte che li attendeva e alcuni di loro, fra cui un ex deputato del Partito Fascista Repubblicano, Pietro Salvo e altri già appartenenti alla BBNN intonarono, penso in tono di sfida, l'inno Giovinezza.
Questo fu il loro ultimo gesto di appartenenza, i partigiani comunisti li trascinarono in un un trincerone a breve distanza, e qui li massacrarono a colpi di mitra, secondo un copione consolidato anche in altre zone della Liguria. Nella concitazione del momento, uno dei prigionieri, Francesco Agnelli, pur ferito si salvò e riuscì a raggiungere una famiglia amici a Diano Castello a cui riuscì a raccontare l'accaduto prima di essere raggiunto dai killer ed essere assassinato anch'esso.
Almeno la mattanza non passò sotto silenzio, ma nonostante lo sdegno per l'accaduto altre due donne, Serini e la Bosia , rispettivamente di 22 e 25 anni, furono rapite, violentate e uccise per tappare loro la bocca per sempre.
Nel 2006, il p.m. Bernardo Di Mattei, procuratore capo della Repubblica di Imperia, coordinatore dell'inchiesta sull'eccidio, chiese al gip il non luogo a procedere. Nessun particolare utile era emerso dalle indagini, nessuna tra le persone che potrebbero aver preso parte all'eccidio, sembrava essere ancora in vita, insomma un'altra strage senza responsabili.
A Genova, in Piazza della Vittoria, nella ricorrenza dell'eccidio i militanti di un gruppo denominato Spazio Avalon, accendono ogni anno 26 torce in memoria delle vite spezzate dall'odio feroce che armò quegli assassini e Casa Pound espone uno striscione a ricordo delle 26 vittime.
R.N.



domenica, settembre 22, 2019

la strage di Schio




La notte del 6 luglio 1945, quando i partigiani garibaldini della divisione Ateo Gareni, entrarono nei locali delle carceri di Schio ( Vicenza) si trovarono di fronte a poco più di cento prigionieri inermi, classificati come appartenenti alla R.S.I., in realtà , uomini e donne di cui alcune gravide, la maggior parte erano persone che facevano la loro vita , benestanti, medici, casalinghe, maestranze della manifattura Lanerossi , e comunque pochissimi di loro avevano militato nelle formazioni armate della R.S.I. Anzi alla fine della strage, si appurò che solo poco meno di una ventina erano iscritti al partito.
Gli sventurati erano alloggiati o meglio stipati come bestie, in due piccole celle, e in un camerone quasi al buio, in attesa di essere quasi tutti rilasciati ma, guarda caso, il loro rilascio era stato rinviato appositamente per permettere alla banda di carnefici di organizzare la mattanza. Si trattava quindi di una strage voluta, programmata e pianificata.
In particolare tra la ventina di criminali, si distinsero certi Valentino Bortoloso, Teppa, e Igino Piva, i quali mostravano di avere all'interno del gruppo degli assassini una funzione di comando, esibendo fantomatici elenchi di proscrizione e parlando di ordini ricevuti da eseguire, di chi non si sa, e mai si saprà.
Dopo un'ora di discussioni tra i boia, su chi ammazzare e chi no, fatta ovviamente davanti ai prigionieri terrorizzati , ebbe inizio la strage eseguita a raffiche di mitra, che si protrasse a lungo, i partigiani spararono nel mucchio, facilitati dal fatto che nessuno poteva fuggire: a terra, immersi nel loro sangue, rimasero 54 morti di cui 14 donne, la più giovane aveva 16 anni, 47 morirono sul colpo, 7 in seguito per le ferite subite successivamente, 17 feriti si salvarono e 15 rimasero illesi perchè coperti dai corpi delle vittime precedenti.
Quindi la banda di scellerati si allontanò con le canne dei mitra ancora bollenti. Quasi da subito molti di loro scomparvero.
Erano passati quasi due mesi dalla fine della guerra, e tutte questi detenuti, non dovevano essere tenute ancora ristretti in quelle celle, inoltre, nulla a loro carico era stato prodotto per continuare ancora a privarli della loro libertà, fu una strage feroce e assolutamente inutile compiuta per motivi abbietti, che ebbe risonanza nazionale nella società civile, nella Chiesa e nelle nascenti Istituzioni.
Anche gli alleati sempre molto tiepidi verso questi fatti , rimasero colpiti e iniziarono diverse inchieste. Ci furono dei processi, tre, che portarono anche a delle condanne a morte poi commutate in ergastoli, mentre molti degli imputati si resero irreperibili scappando all'est, Praga, dove molti partigiani comunisti trovarono asilo e riparo dalla giustizia Italiana.
Chi aiutò questi soggetti ad emigrare fu l'apparato militare del P.C.I. Che non potendo negare la strage , negò l'appartenenza degli assassini alla formazione garibaldina, definendolo elementi deviati appartenenti all'ala Trozkista.
Il fabbricato , dove avvenne la strage, è ora sede della biblioteca comunale di Schio el 2009, nel cortile interno è stata affissa una targa che riporta i nomi delle martiri, poi accadde una cosa indegna nel 2016 a Bortoloso , Teppa, qualcuno ebbe la splendida idea di conferirgli la medaglia d'oro per meriti resistenziali, che egli, a 93 anni, ebbe la faccia di c....... di andare a ritirare e di appuntarsi sul petto, ma, grazie Dio, ogni tanto le cose vanno per il verso giusto, e sotto l'onda dell'indignazione popolare, sempre dallo stesso Ministero della Difesa, arrivò la revoca di questa decorazione conferita ad un indegno assassino che dovette restituirla.
Al 6 di luglio di ogni anno, i parenti delle vittime , sostenuti dalle associazioni che si riconoscono negli ideali di continuità etica e culturale, partecipano ad una messa in Duomo ed a una commemorazione pubblica, per ricordare e piangere le vittime innocenti del macello di Schio, ovviamente avversati da tutte quelle zecche che all'opposto amano gli assassini ideologizzati.
La strage di Schio rimane nella storia di questa Nazione, come uno dei fatti più orrendi, inutili e vili di cui una formazione partigiana comunista si rese responsabile, i cui componenti dopo tre gradi di giudizio, vennero ritenuti colpevole, anche se non scontarono mai per intero le loro pene.

sabato, luglio 06, 2019

Il massacro degli Italiani 17 agosto 1893 Aigues Mortes


Il massacro degli Italiani
17 agosto 1893
Aigues Mortes

Aigues Mortes è una cittadina di circa 6000 abitanti nel sud della Francia, in Occitania, alla foce del Rodano, è nota per una cinta di ben conservate mura medioevali che la circonda, per le vaste saline che si trovano a una decina di chilometri dalle case, da essa partivano i Crociati del Re di Francia San Luigi per la terra santa.
E' tuttora meta di turismo soprattutto Italiano, in quanto dista poche ore di auto da Ventimiglia , sicuramente i turisti Italiani non sanno quello che accadde su quelle strade più di un secolo fa, una orrenda strage di operai Italiani e di parte delle loro famiglie, donne e bimbi compresi, che avvenne il 17 agosto del 1893. Tutto ciò per sapere come all'epoca e chissà magari anche oggi, i Francesi, o parte di essi, amassero noi Italiani.
La compagnia delle saline assumeva come ogni stagione, centinaia di operai per la raccolta del sale, non era un lavoro salubre, il caldo afoso, le paludi circostanti, l'aria bassa e stagnante della zona, il sale che ti cuoceva i piedi, le mani e la pelle del viso e le evaporazioni saline che quasi palpabili ti prendevano alla gola.
Non tutti accettavano quel lavoro ma molti Italiani, Piemontesi e Toscani in particolare si spostavano ad Aigues Mortes e alloggiavano in fatiscenti casoni dal tetto di canne e paglia posti al margine delle paludi, altri dormivano all'aperto sotto ombrelloni rattoppati , distesi sopra coperte e lenzuola di fortuna, gli Italiani provenivano da Torino, Asti, Vercelli, Alba anche Altare e da Pisa. All'alba tutti al lavoro nelle saline, era una vita massacrante e un lavoro bestiale che sicuramente la stragrande maggioranza dei migranti odierni che arrivano dall'Africa non vorrebbero mai fare.
Nell'agosto del 1893, la compagnia concessionaria delle saline di Peccais assunse circa 600 italiani e 150 degli 800 Francesi che si erano presentati, probabilmente i primi accettavano un salario più basso, questa politica di assunzione fece nascere un odio feroce verso i Piemontais, termine che era considerato un insulto , l'accusa era quella di rubare il lavoro ai locali , inoltre molti fra gli operai Francesi rifiutati erano ex galeotti, persone violente e versate per la rissa.
La sera del 15 agosto iniziarono le prime aggressioni, isolate, verso gli Italiani che proseguirono il giorno seguente, ma il 17 in mattinata anche grazie ad una fake news secondo cui alcuni Francesi erano stati uccisi dagli Italiani, una folla di persone armate di bastoni, forconi e roncole attaccò i fabbricati dove dormivano i Piemontesi con le famiglie, le case vennero date alle fiamme con la donne e bambini dentro, chi riuscì, fuggì verso Aigues Mortes ma anche in quel posto, trovò altra gente armata di bastoni e forconi che li inseguì sino agli stagni, senza dare loro tregua, pochi riuscirono ad entrare in città e si rifugiarono in un forno di una panetteria che generosamente li accolse sbarrando le porte alla folla inferocita, non tutti i Francesi erano carichi di odio. Questi rimasero assediati per un giorno e una notte.
I gendarmi, chiamati dal sindaco, dopo un primo timido tentativo di intervento si ritirarono terrorizzati, un reparto di cavalleria intanto era stato allertato a Nimes, ma attendeva l'ordine operativo di intervento quando finalmente giunse, cinquanta Italiani erano stati massacrati, secondo le autorità francesi solo otto – nove, i feriti furono più di un centinaio.
Negli stagni e accanto alle saline, continuava la caccia all'italiano, chi cadeva a terra era finito a colpi di forcone e i corpi gettati nei canali o nascosti nei campi sotto uno strato di terra, altri riuscirono a raggiungere la notte successiva Marsiglia, dove tuttavia in alcuni casi, in quanto Italiani, vennero rifiutati dal pronto soccorso , altri ancora, Giovanni Montefameglio di Castelnuovo D'Asti, Giuseppe Gibelli di Montafia d'Asti e Luigi Zeppo di Casalecchio arrivarono sino a Savona e furono ricoverati presso l'ospedale locale, raccontarono di aver visto”bambini sgozzati e fatti a brandelli, i corpicini impalati e portati in trionfo mentre la folla gridava ecco i macaronis italiani, altri corpi venivano portati in trionfo al canto della Marsigliese”.
Giovanni Patritto e Matteo Rocco di Sommariva Bosco, Carlo Bonello e Giuseppe Allino di di Tigliole D'Asti e Giacomo Jarrico di Trino Vercellese, anche essi inseguiti dalla folla inferocita, si tuffarono nelle acque melmose dell'Etang des Pesquiers il canale che portava alle saline e si misero a nuotare in modo forsennato, mentre dalla riva qualcuno gli sparava addosso.
A causa di questa situazione, tremila Italiani che erano nelle zone circostanti, raggiunsero Germania ed Austria alla ricerca di lavoro e di sicurezza, quando i militari entrarono ad Aigues Mortes era davvero troppo tardi, in seguito i responsabili almeno quelli identificati, diciassette fra cui anche un Italiano, furono processati ed assolti tutti !
Quindi in buona sostanza fu una strage impunita e alcuni giornali Americani anticiparono la sentenza di assoluzione, in quanto tutto il procedimento era stato viziato da false testimonianze a favore degli imputati.
In Italia ci furono accese dimostrazioni di fronte alle sedi diplomatiche della Francia e l'Italia mobilitò reparti militari che ammassò alla frontiera di Ventimiglia e di Modane, ma poi la crisi cessò, in fondo solo cinquanta poveri Cristi erano morti, fosse morto un nobile o uno della famiglia reale le cose sarebbero state diverse, anzi il governo Italiano represso i gruppi di cittadini che manifestavano di fronte alle sedi consolari francesi.
Per quasi un secolo in Francia, la strage entrò in una a orbita di negazionismo – rimozione, poi nel 2018 sui muri della panetteria dove si rifugiarono alcuni fuggitivi venne apposta una targa a ricordare i giusti che aiutarono i fuggitivi anche se in essa si continua ad ammettere un numero inesatto di vittime , ecco il testo «In memoria dei 10 lavoratori italiani vittime di xenofobia negli eventi del 17 agosto 1893. In omaggio ai Giusti: l'abate Jacque Eugène Mauger, la panettiera Aélaide Fontaine, madame Gouley e gli abitanti di Aigues Mortes che diedero prova di coraggio ed umanità» , a San Miniato nel maggio di quest'anno è stato scoperto un monumento per ricordare la strage, molto significativo con le scritte “Lavoro salario dignità libertà”.

martedì, luglio 02, 2019

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venerdì, giugno 28, 2019

La famiglia Vissani e Rina Petrucci


Anche in Umbria le bande di “patrioti” combinarono delle atrocità sui civili indifesi, in particolare sulle donne, una preda particolarmente ambita.
Nella provincia di Terni operava una brigata denominata “Gramsci”, non si tratta di fatti ignoti, solo semplicemente poco conosciuti alla stragrande maggioranza di Italiani, come d'altra parte tutte le porcate compiute dai liberatori con la stella rossa, che poi non erano sicuramente migliori di quelli che dicevano di combattere, anzi la disciplina presente all'interno di un esercito regolare come quello Tedesco o Repubblicano era caratteristica scarsamente sconosciuta presso questi “patrioti”.
Il fatto accade a Polino, un piccolo borgo di duecento anime in Valnerina, Terni, sull'appennino Umbro Marchigiano , il 24 aprile del 1944, una banda di “patrioti” irrompe armi alla mano in un questo paesello completamente indifeso, alcuni di questi molto probabilmente sono Slavi, precedentemente inquadrati nell'Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia, evasi dal carcere di Spoleto, veri criminali come solo sanno essere gli Slavi incancreniti dall'odio atavico per gli Italiani.
Le case sono rastrellate da questi partigiani che requisiscono tutti i viveri togliendoli ai paesani. Chi guida la banda è un certo “Bobò”, in particolare questi soggetti entrano nella abitazione dei coniugi Vissani, il marito Roberto di anni 21, impiegato, viene selvaggiamente pestato, mentre la giovane moglie Erinna , maestra elementare di anni 24 , trascinata in camera da letto sarà stuprata a turno dai componenti la banda.
Quindi la coppia è sequestrata e deve seguire sotto la minaccia delle armi, sino a maggio inoltrato, la banda di partigiani su è giù per i vari accantonamenti della brigata, assieme a loro è stata rapita la postina del paese, Rina Petrucci, solo ed unicamente in quanto fidanzata di un ufficiale paracadutista del Reggimento Folgore della RSI. Bastava amare per perdere la vita per mano di queste belve.
Rina è una giovane molto coraggiosa e non si spaventa facilmente.
Nel giorni successivi la ragazza, indicata dai suoi sequestratori come spia, viene picchiata, e lungamente seviziata, nonostante il trattamento feroce a cui è sottoposta, la ragazza mantenne un atteggiamento fermo e sprezzante verso la banda di criminali che alla fine la portano, in località Salto del cieco, tra Norcia, Cascia, qui le esplosero il classico colpo alla nuca che tuttavia non è risolutore costringendo i boia a sparare altre pallottole. La povera ragazza fu abbandonata sotto un leggero strato di terra in luogo ignoto.
I coniugi Vissani terribilmente provati da quello che avevano subito, riuscirono a fuggire dai loro carcerieri solo nel corso di un rastrellamento da parte della GNR che mise in fuga la banda partigiana. Roberto nel corso di una denuncia alla autorità giudiziaria narrò tutte le infamie che la moglie ed egli stesso avevano subito e anche della morte povera postina .
Indicativo nella denuncia il commento che Roberto Vissani ebbe a fare nei confronti dei partigiani che lo avevano sequestrato : “ascoltando i loro discorsi, improntati alla ferocia, mi sono accorto che da costoro, non c'è da aspettarsi che atti di banditismo feroce”