sabato, maggio 30, 2020
Don Umberto Pessina
Dante Gallini, Rosa Chiappelli, Mario Chiappelli Sanpeyre, Cuneo 28 giugno 1944
Dante Gallini, Rosa Chiappelli, Mario Chiappelli
Sanpeyre, Cuneo
28 giugno 1944
Il capo partigiano Edoardo Zapata, detto Zama, operativo in Valvaraita , il 28 giugno del 1944 fece fucilare a Sanpeyre dai suoi partigiani, Carlo Monge di Piaco e Mario Barra di Manta, l'ex tenente Danta Gallini di Cremona e la sua fidanzata Rosa Chiappelli di anni 24, con la solita accusa di essere spie o collaborazionisti dei Nazifascisti, la ragazza era figlia di un noto avvocato di Costigliole Saluzzo, il quale aveva aderito alla RSI, anch'esso poche ora dopo la uccisione della figlia e del fidanzato, venne prelevato in casa, davanti alla moglie, e passato per le armi senza alcune giustificazione e come atto arbitrario ma a quei tempi così accadeva.
Dopo tutto questo sangue innocente sparso ai primi di settembre del 1944, la casa del povero avvocato, veniva saccheggiata completamente e furono asportati mobili e valori fra cui una radio, che all'epoca era un bene molto richiesto.
Dopotutti questi omicidi e predazioni, per eliminare ogni testimonianza scomoda, Zapata fece uccidere il partigiano Domenico Ferrero, detto molotof, a cui aveva precedentemente dato l'ordine di uccidere la coppia Gallini, Chiappelli.
Sempre a Sanpeyre Zama aveva fatto torturare a morte un valligiano del posto, Giuseppe Baglione, con la solita accisa di aver collaborato con i Fascisti.
Dopo il 25 aprile 1945, Zapata decise di emigrare in Perù forse per evitare di essere rinviato a giudizio presso la Corte di Assise di Cuneo nel 1955, assieme ai suoi partigiani, per triplice omicidio aggravato , infatti dopo la fase istruttoria ci fu un processo in cui , Monge e Barra dovettero anche rispondere della accusa di rapina aggravata, commessa con altri partigiani rimasti sconosciuti.
Mentre Zapata era giudicato per rogatoria da Lima in Perù, i suoi due coimputati, recisamente negarono i fatti a loro addebitati, purtroppo per loro, il Barra era stato riconosciuto dalla vedova dell'avvocato Chiappelli, infatti quando egli venne a prelevare il povero avvocato per portarlo al luogo della sua morte lei era presente e si presentò in aula come parte civile testimoniando con grande coraggio contro gli assassini del marito.
La sentenza dopo due ore di camera di consiglio fu la seguente, Edoardo Zapata detto Zama è stato condannato in contumacia ad anni 30 per omicidio continuato ed aggravato, pena che non sconterà in quanto era attualmente residente in Perù, i suoi due partigiani, Carlo Mone e Mario Barra sono stati condannati ad appena due anni comunque coperti da condono.
Nel 1956 ci fu l'appello presso la corte di assise di Cuneo che confermò la sentenza di primo grado. Per una bella serie di omicidi e di rapine , nessuno scontò un solo giorno di galera.
lunedì, maggio 18, 2020
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Gli omicidi di Carlo Pernigotti, del figlio Attilio e di Giovanni Romairone e Carlo Rovetta
Gli omicidi di Carlo Pernigotti, del figlio Attilio e di Giovanni Romairone e Carlo Rovetta
Ovada 9 maggio 1945
La sera del 9 maggio 1945 il rag. Prof. Carlo Pernigotti di 54 anni , noto industriale filandiero di Ovada e il figlio Attilio di 20 anni furono assassinati a colpi di rivoltella sulla piazza di quella città. La famiglia Pernigotti con sede commerciale a Genova gestiva due stabilimenti, uno a Ovada e l'altro a Campo Ligure per un totale di 500 operai, Pernigotti, era stato come tutti gli Italiani iscritto al partito fascista ed aveva ricoperto anche la carica di Podestà di un piccolo comune del Monferrato, ma non aderì a Salò, anzi durante la guerra civile fu largo di aiuti verso i partigiani. Anzi fu depredato in tutto e per tutto dai cosiddetti “patrioti”.
La famiglia Pernigotti proprietaria del Cotonificio Pernigotti fu largamente taglieggiata dai partigiani dell'Ovadese per un importo totale di 150 milioni di lire dell'epoca.
La sera del 15 marzo 1944 un numeroso gruppo di persone armate invase la loro villa , in quel momento erano presenti Carlo Pernigotti e il figlio Attilio, pilota di aerei, in compagnia del fattore della tenuta Carlo Rovetta e dell'agricoltore Carlo Romairone, essi riuscirono a dimostrare la loro non appartenenza alla RSI e non ebbero altro danno che vedersi depredare di gioielli, denaro e oggetti vari per un importo di parecchi milioni. Altri milioni in denaro e indumenti fu costretto a versarli il giorno dopo al CLN di Ovada.
Al povero Romairone invece, andò malissimo , egli era stato segretario del fascio a Tagliolo, nonostante avesse quasi 70 anni, fu preso la sera dell'incursione nella villa dei Pernigotti e trascinato via sotto la minaccia delle armi, il giorno successivo fu trovato cadavere in un campo a Belforte Monferrato. Ma non era ancora finita. Pochi giorni dopo la liberazione Carlo Pernigotti, apprese che un deposito di stoffe da lui costituito in un convento di suore, era stato svaligiato dai soliti noti. Insieme con il figlio, Attilio, si recò al CLN di Alessandria per protestare , in quel luogo gli fu assicurato che quella “requisizione” non era stata autorizzata dai comandi partigiani di zona e che in futuro non sarebbe più stato oggetto di altre molestie.
A garanzia della loro incolumità, il CLN ordinò ad un ufficiale medico, il dott. Goria di accompagnare i Pernigotti nel viaggio di ritorno a casa. Appena giunti a Ovada, scesi dall'auto nella piazza centrale di Ovada, tre uomini in bicicletta con il volto travisato da larghi fazzolettoni, uno di loro tenne il medico sotto la minaccia di una pistola mentre gli altri due scaricavano le loro armi sui due Pernigotti che cadevano morti a terra.
Le detonazioni furono udite anche lontano e le udì la povera moglie del Prof. Carlo, Anita Berretta, che giunse di corsa , presagendo quello che era accaduto, urlando disperata si gettò sui corpi di suo marito e del figlio ancora caldi mentre i tre criminali si allontanavano di gran carriera, ovviamente nessuno in piazza riconobbe i tre assassini. La sera del 24 giugno, la cascina dei Pernigotti di cui era fattore Carlo Rovetta ricevette un'altra incursione di uomini armati, il Rovetta che era un uomo coraggioso rifiutò di consegnare i valori di cui era custode e anch'esso fu assassinato.
Dopo tutto questo sangue innocente sparso, il comando partigiano tentò di giustificare dei volgari omicidi, affermando che Carlo Pernigotti era ostile alla resistenza e che era stato emanato un ordine generico di “giustiziarlo”, dimenticando che anche il figlio era stato ucciso, colpito alla schiena, nonostante fosse partigiano del Gruppo Rinnovamento Nazionale, e che Romairone e Rovetta erano stati assassinati perchè si opponevano alle ruberie.
In realtà gli omicidi erano stati consumati per permettere ai quattro criminali di godere di ben 150 milioni di lire dell'epoca , infatti la situazione economica di qualcuno di loro da miserabile divenne florida.
La vedova di Carlo Pernigotti, Anita Berretta assieme alla fidanzata di Attilio, Rina Villa , non si dettero pace fino a che i presunti assassini dei loro cari, furono trascinati in tribunale.
Alla sbarra alla C.A di Alessandria,, Salvatore Pusateri, ferroviere, da Ovada mandante, esecutori materiali, Giacomo Ferrando da Rocca Grimalda, Maurizio Barigione da Ovada, Giuseppe Marenco da Ovada. In un primo tempo i quattro omicidi furono coperti dalla amnistia, ma la Cassazione ordinò il rinnovo della istruttoria e nell'aprile del 1954 si svolse il processo di fronte alla C.A. Di Alessandria che si concluse con una condanna per omicidio volontario a 20 anni, pena condonata interamente e poi confermata in cassazione, ma questa sentenza definiva i quattro partigiani, colpevoli di omicidio ed apriva la strada ad una causa civile che si concludeva nel 1964 con la condanna nei confronti dei quattro ex partigiani a pagare in solido 113 milioni alla famiglia Pernigotti.
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