giovedì, luglio 31, 2008

IL FORTILIZIO DEI ROM A GENOVA

Via Ballaydier: un fortino Rom.

Ieri pomeriggio, risalivo da Lungomare Canepa, lungo la rampa di accesso alla Sopraelevata, quando il mio sguardo e’ stato attratto da un’area verde, boscosa, immediatamente sottostante la rampa in salita. Ho fermato lo scooter, per meglio osservare: decine di baracche di fortuna, coperte da teli impermeabili fissati da coprtoni di camion, qualche tetto in in lamiera, legno di recupero, tavolini e sedie di plastica bianche, panni stesi ad asciugare, cani, famigliole rom con bimbi e donne, frigoriferi, insomma una cittadella di Rom, il tutto in mezzo ad una vegetazione folta, con alberi di medio e grande fusto, che con le loro chiome coprono alla vista dei passanti distratti il village rom.
Si vedeno chiaramente diversi gruppi: i bimbi che giocano e che corronbo in mezzo ai cespugli, senza vestitini, le donne raggrupate che accucciate lavano i piatti dentro a delle tinozze di plastica, gli uomini che in cerchio fanno un “briefing” operativo per procurarsi risorse economiche a spese dei cittadini genovesi.
Stupito ed incuriosito, sono sceso dalla rampa per vedere meglio e da vicino, e mi sono inserito in Via Balladyer, cosi’ dice la targa, una vecchia via piena di ex magazzini portuali.
A livello della strada la baraccopoli e’ assolutamente invisibile da chi transita in auto o su altri veicoli, cintata da un perimetro di mura dietro cui si intravedono le chiome degli alberi, il muraglione e’ alto circa 3 metri, forse era un tempo un grande magazzino portuale di merci , ora privo del tetto, dove all’interno e’ cresciuta la vegetazione e dove ora e’ cresciuta questa baraccopoli.
I pochi ingressi, sono coperti da tavolati messi verticalmente per impedire gli sguardi indiscreti dei passanti, e accanto sono parcheggiati i classici furgoni bianco sporco, con cui i Rom, spesso, effettuano i traslochi dei mobili dalla case, in assenza dei proprietari.
Sui furgoni, vedo dei rom immagino di sentinella, che sorseggiano delle bottiglie di birra e che mi osservano insospettiti. Tento di assomigliare ad un tossico in cerca della dose quotidiana..passo inosservato..evito di scattare fotografie per non essere attaccato dai numerosi rom che stazionano dentro e fuori il muro del fortino..
La Via che costeggia le mura e’ deserta, alcune donne con la lunga gonna a fiori e bimbi in braccio, escono dalle mura per recarsi verso Via Di Francia, dove vi sono le fermate dei bus. Andranno sicuramente ad effettuare la questua e altre cosette in mezzo ai turisti che affollano il centro.
Un omaccione, olivastro di carnagione dai baffoni neri, con calzoni corti, e’ in un bugigattolo, a lato delle mura, la porta e’ stata forzata e appoggiata a lato. E’ il capo, lo si vede dai modi ossequiosi con cui gli altri Rom gli parlano e dal modo imperioso e minaccioso con cui egli si rivolge a loro. Seduta sullo scalino dell’”ufficio” del caporione, una bellissima e giovane Rom, prosperosa, e con due splendide gambe, fa bella mostra di se’: ha un atteggiamento sottomesso con lo sguardo basso , penso sia la sua donna. Per un attimo invidio il capo del villaggio, poi penso a quello che la ragazza deve subire…e mi viene il magone.
Nelle strade adiacenti, alcune donne anch’esse olivastre, quasi nude, “lavorano” passeggiando in cerca di clienti: mi viene il sospetto che Ii Rom le gestiscano per aumentare gli introiti per le classiche spese correnti.

A pochi passi da una grande caserma della Guardia di Finanza, dal comando provinciale dei Vigili del Fuoco, con la Lanterna in vista, vicino al deposito della Costa Crociere ecco sorgere una favelas in piena regola, completamente autonoma, indipendente, gestita e popolata da un centinaio di Rom. Una base operativa, incastonata in una vecchia e fatiscente struttura , trampolino di lancio per lucrose imprese a cui preferisco non pensare.

martedì, luglio 29, 2008

BOSSI E L'INNO DI MAMELI

Bossi, l'inno e il M.I.L.
Per noi Indipendentisti Liguri "l'inno d’Italia" è uno dei tanti inni nazionali dei 194 Stati indipendenti che ci sono nel mondo e, se agli "italiani" piace, possono benissimo tenerselo! Non spetta a noi Liguri esprimere un "giudizio in merito", come non lo esprimiamo nel confronti di tutti gli altri "inni nazionali". Esprimiamo solamente il "rammarico" di non poter ancora vedere ANCHE la LIGURIA fra gli Stati INDIPENDENTI !
L'inno d'Italia nasce nel 1847. Il genovese Mameli non poteva "immaginare" che nel 1849 le truppe savoiarde, quindi "italiane", avrebbero messo a ferro e fuoco la città di Genova, saccheggiandola, uccidendo, stuprando donne, rubando di tutto, ecc... Quel re Vittorio Emanuele II°, che aveva autorizzato tale "saccheggio", insultò i Genovesi che avevano osato ribellarsi, definendoli "vile ed infetta razza di canaglie". E ancora oggi la sua statua "troneggia" in P.zza Corvetto!
Tutto questo probabilmente Bossi NON LO SA!
Netta è quindi la nostra "differente motivazione" nel giudizio sull'inno d'Italia, che resta l'inno nazionale di uno Stato che, nel momento che restituirà alla LIGURIA la sua legittima INDIPENDENZA, riavrà tutto il nostro rispetto, come l'abbiamo per TUTTI gli Stati indipendenti.
L'inno del Piave, che tanto piace a Bossi, è comunque un "inno di guerra", di quella guerra del 1915-18, che ha provocato centinaia di migliaia di morti, anche LIGURI, che invece NON DOVEVANO ESSERCI, perché la Liguria è "stata costretta" ILLEGALMENTE ed ILLEGITTIMAMENTE a seguire i "destini dell'Italia"!
La LIGURIA aveva DIRITTO di restare una Nazione-Stato INDIPENDENTE, come la Svizzera e, come la Svizzera, NON AVREBBE FATTO né le due guerre mondiali, né le stupide guerre coloniali, né la guerra fratricida di Liberazione, evitando decine di migliaia di morti LIGURI !

sabato, luglio 26, 2008

RINGRAZIO IL SECOLOXIX PER LO SPAZIO ALLA NOTIZIA


ARTE VERGOGNA !













LA VERGOGNA DELL’ARTE IN VIA GNOCCHI VIANI
SAVONA

Un intero stabile di otto piani , con quattro numeri civici, 29, 33, 35 e 37 in Via Gnocchi Viani a Savona,e’ stato privato da ben undici anni dei garage, si tratta di ben ottanta garage, che l’ARTE, ex IACP di Savona, di punto in bianco ha deciso di chiudere con delle griglie , peraltro gia’ divelte dai teppisti. Quindi i residenti, alcune centinaia, non possono accedere con i loro mezzi ai garage che la notte diventano un covo di sbandati. Senza contare che la zona e’ povera di spazi per parcheggiare e quindi la sera, i residenti devono girare come dei satelliti per trovare un posto. Inutili tutte le sollecitazioni alle Istituzioni, nessuno si e’ speso per risolvere il problema. Dal’altro lato del palazzo, pero’, l’ARTE ha dato il meglio di se’: ha fatto installare una lunga fila di ponteggi che sono serviti per picchettare alcuni punti della facciata, che da ben trenta anni non conosce manutenzione, poi tanto per non sbagliare, i ponteggi non sono stati rimossi, cio’ da circa un anno. L’ARTE quindi paga l’affitto di questi inuitili ponteggi, da circa un anno. E i residenti che hanno le finestre sui ponteggi, non possono lasciarle aperte per paura di intromissioni nella loro casa. E’ una situazione veramente vergognosa. L’ARTE deve porvi rimedio. La gente che risiede nello stabile in oggetto e' stufa di questo tipo di cose che li penalizza moltissimo.

martedì, luglio 22, 2008

IMPRONTE DIGITALI AI BAMBINI ROM


A proposito dei rilievi dattiloscopici, vulgo impronte digitali, ai bimbi Rom

La proposta del Ministro Maroni di effettuare i rilievi dattiloscopici ai minori di etnia Rom ha destato un vastissimo ed inferocito vespaio di polemiche pretestuose e politiche, mi sento a tale proposito di spezzare una lancia in favore di Roberto Maroni .

Infatti i primi ad essere tutelati e garantiti dai rilievi di polizia, sarebbero proprio gli stessi bimbi Rom.

In molte zone balcaniche, Romania, Moldavia ed altre, la legge non vige in modo totale e continuativo, quindi puo’ accadere che avvengano delle transazioni molto particolari: un bimbo Rom puo’ essere venduto ad altri Rom oppure ad estranei in cambio di una piccola somma di denaro, 50 o 100 euro, oppure in cambio di un oggetto voluttuario, un telefono cellulare, un PC, una lavatrice o un frigorifero, tutti beni di consumo, anche di seconda mano, che necessitano ai componenti delle carovane Rom che vagano per l’Europa.
Invece pare che bimbi da scambiare o da cedere, i Rom ne abbiano in eccedenza.
Ai Rom non importa cosa succedera’ ai piccoli che vengono venduti in questo modo tanto spietato, importa solo di avere un corrispettivo in euro oppure in natura.
I poveri piccoli, quindi potrebbero essere comprati anche, nel peggiore dei casi, da un pedofilo, da un sadico, da un criminale psicotico. Nel migliore, si fa per dire, dei casi l’acquirente dei bimbi puo’ essere un altro Rom di un’altra carovana, quindi il destino dei bambini sarebbe : chiedere l’elemosina, rubare, prostituirsi e se non porta a casa una cifra viene picchiato dal nuovo padrone.
I bimbi , praticamente senza identita’, potrebbero essere venduti e rivenduti, da una carovana all’altra, diventando carne da vendere e comprare, punto e basta.
Con l’introduzione delle impronte digitali ai bimbi Rom, si potrebbe creare una anagrafe informatizzata, e porre un freno alla pratica dei Rom di vendere i bimbi loro e, come accade spesso, degli altri. Non sono nuovi i casi di tentato sequestro da parte di donne Rom, che in coppia aggrediscono donne sole italiane, e cercano di rubare il piccolo che queste donne, madri o nonne, in quel momento hanno con loro.
Quindi ben vengano le impronte digitali ai bimbi Rom, non con fini biecamente polizieschi ma per tutelare i minori Rom e italiani dallo schiavismo piu’ crudele che esista: quello verso i minori che non possono difendersi.

Roberto NICOLICK
Consigliere Provinciale Savona

lunedì, luglio 21, 2008

VIAGGIO NEL DEGRADO DEL PONENTE GENOVESE




Continua il viaggio nel degrado del ponente Genovese
Via Ludovico Antonio Muratori – Sanpierdarena

A pochi passi da una grande ditta di trasporti, sotto ad un quartiere densamente popolato, ecco questa automobile, abbandonata, usata di notte per dormirci, i sedili come al solito sono completamente reclinati per offrire un letto di fortuna. Lo strano e’ vedere il materasso a due piazze appoggiato sul retro della vettura, non si capisce a quale scopo . Poco piu’ in la’ altra rumenta : una bombola di ossigeno arrugginita, un frigorifero semidistrutto, un altro materasso e un cestello di una lavatrice…

sabato, luglio 19, 2008

SALDI, SALDI E.................


In una galleria commerciale di Savona, l'esterno di un negozio di abbigliamento femminile, e' tappezzato da manifesti, come quello che ho fotografato, in cui si vede una bella donna, che stringendo a se' degli abiti e degli accessori di pelletteria ha un aspetto visibilmente soddisfatto, tiene il capo rovesciato all'indietro, la bocca spalancata, gli occhi socchiusi. E' un atteggiamento corporeo che invia un chiaro messaggio subliminale, che non voglio rimarcare, ma la frase sotto la foto e' ancora piu' chiara : NESSUNO TI HA MAI FATTO GODERE COSI.
Ritengo questo manifesto violento ed offensivo nei confronti della donna, indicata senza alcun mezzo termine come un oggetto da letto da fare godere e basta. Auspico che questi manifesti discutibili siano rimossi a breve.


venerdì, luglio 18, 2008


ESPOSTO DEL PADRE DELLA PINUCCIA GHERSI ASSASSINATA DAI GLORIOSI PARTIGIANI



Il 29 aprile del 1949, il padre della povera Giuseppina Ghersi, Pinuccia, rapita, stuprata ed assassinata da tre partigiani comunisti nella notte del 30 aprile 45, prende carta e penna e mosso dalla rabbia e dalla disperazione per cio’ che la sua famiglia ha subito, torture, percosse, espropri, omicidi, minacce, scrive un esposto alla Procura della Repubblica di Savona.

Ne ho una copia, manoscritta e mi pare giusto divulgarlo. Rappresenta uno spaccato di inferno…che descrive con parole semplici e pesantissime tutte le atrocita’ subite da egli stesso, dalla moglie e dalla piccola Pinuccia Ghersi, martirizzata dalla polizia partigiana.. Cose comuni a tantissimi altri in quegli anni di piombo, dove regnava l’arbitrio, l’arroganza dei partigiani comunisti, che potevano fare e disfare a loro piacimento tutto.

I valori della Resistenza non erano quelli degli assassini e del briganti che avevano diritto di vita e di morte su chiunque.

Il pover’ uomo si chiamava Giovanni Ghersi, dall’aprile del 1945 dovette subire di tutto e di piu’, pur non essendo un torturatore o un rastrellature fascista: arrestato lui e la moglie, percosso, imprigionato nel famigerato campo di concentramento di Legino, gestito dai partigiani comunisti, spogliato di ogni avere, persino epurato e costretto ad fuggire da Savona per evitarsi la morte per lui e la moglie…morte che non pote’ evitare per la piccola figlia di tredici anni, Giuseppina.

Ecco l’esposto , indirizzato al Procuratore di Savona e firmato dal Signor Ghersi, consta di sei cartelle, manoscritte con una grafia fitta, con delle correzioni, pieno di sofferenza:
Ne approfitto per chiedere alla attuale Procura della Repubblica, se non ritienga che sussistano gli elementi oggettivi per riaprire un caso molto spinoso che necessita di molti chiarimenti a tutt’oggi…

“…Il 25 aprile 45, alle 5 pomeridiane, sono arrivati a Savona, i partigiani, noi stavamo alla finestra, ci venne chiesto del materiale di medicazione che noi fornimmo volentieri.
Il 26 ci recammo al lavoro alle 6, al nostro ingrosso di frutta e verdure, accompagnati da un vetturino, Meriggi, abitante in Via Saredo, accanto a casa nostra.
Arrivati a San Michele, fummo fermati da due partigiani armati di mitra, uno rimase a guardia di noi e l’altro ando’ a telefonare in un garage, del Signor Filippo Cuneo. Venne un tale che si qualifico’ come tenente, della polizia partigiana.

Uno dei partigiani, De Benedetti Giuliano, volle che fossimo tradotti al campo di prigionia di Legino sotto scorta armata. Venni disarmato del coltello da lavoro che abitualmente portavo dietro.
Arrivati a campo di Legino, luogo di morte di tanti poveretti, fummo contattati da un certo Piovano, abitante a Savona in Via Valletta San Michele attualmente operaio delle FS, il quale ci sequestro’le chiavi di casa e del magazzino della nostra merce. Dopo circa mezz’ora fu tradotta al campo, anche mia cognata, coabitante con la mia famiglia. In questo modo la casa e il magazzino furono depredati di tutto senza testimoni, per portare via tutto sono stati usati camion e carretti. Anche dalla casa sparirono oro, argento e denari…”

Ora arriva il peggio, che riporto testuale dall’esposto :
“ il 27 aprile, verso le 10 del mattino, i partigiani del campo, minacciarono di morte mia moglie per sapere dove fosse la mia bambina, di appena 13 anni, terrorizzati, acconsentimmo ad accompagnarli a prenderla dove essa era, presso dei conoscenti in via Paolo Boselli 6/8 Savona. Accompagnata da un “brutto ceffo” certo Guerci, abitante a Zinola, operaio ILVA, la presero e la condussero al campo.

Nel pomeriggio cominciarono le nostre torture, presero la bambina, e ci giocarono a pallone, portandola in uno stato comatoso, perdendo tanto sangue che non aveva piu’ la forza di chiamare suo papa’, poi si sfogarono su mia moglie, malmenandola e percuotendola in modo che lascio alla vostra immaginazione, poi in cinque cominciarono a battermi con il calcio del moschetto, sulla testa e sulla schiena, tutto cio’ perche’ rivelassi dove avevo nascosto altri soldi e altro oro.

Dopo aver conciato per bene io e mia moglie, da fare pieta’, verso le sei, mentre pioveva a catinelle, fummo condotti in via Niella, dal Comando partigiano, dove ci fu detto che a nostro carico non era emerso nulla. Nonostante cio’ fummo portati al Carcere di S. Agostino arbitrariamente da tale Serra, nato a Spotorno e residente a Legino.

Mia moglie dopo 12 gg. Fu rilasciata e si reco’ presso la sede Comunista delle Fornaci, dove chiese le chiavi di casa, che dopo grandi insistenze le vennero restituite. Ma per poco, infatti arrivo’ un certo Ferro abitante in Via Bove, che per ordine della sezione del PCI delle Fornaci, le riprese.

L’indomani, mia moglie torno’ al Comando Partigiano in Via Montenotte e riebbe le chiavi di casa nostra, ma appena in casa, entro’ anche un caporione del PCI tale Peragallo, abitante in Via Tallone 9/12, il quale sigillo’ tutte le camere tranne la cucina e una cameretta.

Il giorno 11 giugno, senza mai essere stato interrogato fui liberato, appresi della uccisione della mia bambina, Pinuccia, e ebbi grande sconforto da questa notizia. Andai in questura e chiesi di far togliere i sigilli alle camere, cosa che fece un agente. A causa delle ruberie subite l’intendenza di finanza mi corrispose un acconto di 150.000 lire.

Gli animali che avevo, conigli e galline, furono venduti ad un pubblico ristorante; essendo senza lavoro ed indigente, venni assunto per compassione presso il consorzio ortofrutticolo dove percepivo il necessario per poter vivere con mia moglie e sua sorella, era un periodo quasi sereno…

Ma una notte, l’11 luglio 45, un gruppo di persone tento’ di forzare la porta di casa per prelevarmi e farmi fare la stessa fine di mia figlia e di molti altri. La porta per fortuna non cedette. E quella notte, salvammo la vita…
Per questo motivo, abbiamo dovuto scappare all’alba come ladri, da casa nostra, dalla nostra citta’ , senza mezzi e senza lavoro, vivendo per anni in poverta’ e miseria, pur sapendo che gli assassini della mia bambina di appena 13 anni, vivevano nel lusso impuniti, onorati e riveriti, con i nostri soldi e di tutti quelli che erano morti o che erano dovuti scappare.

Signor Procuratore,
mia figlia fu assassinata il 30 aprile del 45, dopo mezzanotte, alle 4 del mattino a Legino e fu portata al cimitero di Zinola, e buttata come un sacco di patate nel mucchio dei morti amazzati che tutte le notti riempivano il piazzale davanti al cimitero, assieme a lei fu ammazzata Teresa Delfino , Vico Crema 1/1 Savona. Pare che l’autore degli assassini sia stato Gatti Pino di Bergeggi.

Sono arrivato alla determinazione di sottoporre alla S.V. i fatti, affinche’ sia fatta luce su questa faccenda, e vengano puniti i responsabili del delitto commesso in persona della mia bambina oltreche’ di tutti i furti che abbiamo dovuto subire.

Segue firma

lunedì, luglio 14, 2008

DISCARICA ABUSIVA A BOSSARINO, VADO LIGURE






Discarica abusiva a Bossarino – Vado Ligure – Savona

A pochi passi dalla Motorizzazione Civile, c’e’ questa piazzola, ingombra di rifiuti, mobili, televisori, pneumatici, materassi e altro materiale che da giorni giace li’ abbandonato da persone incivili.

sabato, luglio 12, 2008

PERICOLO ROM A VADO LIGURE






Rom a Bossarino, Vado Ligure, Savona

Da ieri sera, venerdi’ 11 luglio, un convoglio di una dozzina di camper, roulotte e altri autoveicoli, si sono stabiliti nel territorio del Comune di Vado Ligure, precisamente presso il piazzale di Bossarino, proprio davanti agli uffici della Motorizzazione Provinciale di Savona e un secondo nucleo di rom si e’ insediato a lato della superstrada che collega lo svincolo autostradale di Savona con Vado Ligure. I nomadi sono circa una cinquantina, adulti , ragazzi e bimbi, hanno colonizzato le due aree parcheggio, in pratica monopolizzandole di fatto, i camper in cerchio, tavoli e sedie ovunque, le verande dei mezzi aperte, corde stese ovunque con i panni ad asciugare. Alcuni adulti si allontanano dai mezzi e si appartano nel verde che circonda la spianata. Accanto ai bimbi che corrono nudi sul piazzale vi sono auto di lusso, nuove di zecca con lo stereo al massimo volume. Non e’ un parcheggio e’ un vero e proprio accampamento.
Molti Vadesi, conoscendo il mio impegno civile mi hanno telefonato , molto preoccupati per questa anomala presenza, ed io ho girato le segnalazioni alle forze dell’ordine. Mi auguro che alle rassicurazioni che ho ricevuto verbalmente seguano i fatti, e che i Rom escano dalla nostra provincia, per andare a nuocere a casa loro.

Roberto Nicolick

Consigliere Provinciale Savona

mercoledì, luglio 09, 2008

LA CATASTROFE DELL'ANNA MARIA - ALBENGA 16 LUGLIO 1947

La tragedia dell’affondamento della Anna Maria.

16 luglio 1947- ALBENGA

Il 16 luglio , ricorre un anniversario, terribile , che e’ opportuno ricordare, rinnovando il pensiero e la pieta’ per quel fatto , sessantun anni fa, in quel giorno, un martedi’ intorno alle 18, morirono annegati 44 bimbi, tutti maschi, di un’eta’ che andava dai soli quattro sino ad otto, Lombardi e Veneti.

Fu una tragedia di portata enorme, che colpi’ nell’anima, migliaia di persone, vicine e anche lontane dal luogo del disastro.
Assieme ai poveri bimbi, perirono anche quattro adulti.

Ecco come si svolsero i fatti: ottantun bimbi della Colonia della Solidarieta’ Nazionale, sita a Loano, salirono nel pomeriggio del 16 luglio, sulla motobarca Anna Maria, per effettuare una gita all’isola della Gallinara.

Il barcone, lungo una decina di metri, parti’ dal porticciolo di Loano in direzione della costa Ingauna, transitando davanti a Borghetto, Ceriale, e arrivando a costeggiare Albenga, davanti alla Regione denominata “Burrone” in vista della meta, la Gallinara, che i bimbi festanti volevano vedere da vicino.

L’imbarcazione, costeggiava ad una distanza di circa 60 metri da riva, dove il mare era profondo tra i 9 e i 10 metri., i bimbi cantavano in coro, mentre la navigazione proseguiva senza intoppi.

La barca, era ,forse, strapiena, rollava e beccheggiava vistosamente. Appena nello specchio acqueo , davanti alla Regione Burrone di Albenga, alle 18, la Anna Maria, urto’ con la chiglia, un palo di ferraccio, sommerso, che faceva da sostegno ad una condotta della fognatura, aprendo una falla circolare di grosse dimensioni.

Il rumore molto forte dell'urto venne percepito dai bimbi che si spaventarono. Per il violento urto, il natante, sobbalzo’, i bimbi si spostarono in massa verso poppa, mentre la barca dalla falla provocata dal palo, imbarcava velocemente acqua e si inclino’ pericolosamente iniziando ad affondare, mentre i piccolissimi passeggeri cadevano a grappoli in mare.

Pochissimi di loro erano capaci a nuotare, inoltre la confusione e il terrore fecero il resto. Dalle spiagge si tuffarono dei ragazzi in soccorso, la voce dell'affondamento si sparse in Albenga, arrivarono decine di persone che nuotarono verso la barca oramai coricata sul fondo, per riportare in superficie i piccoli.
Fu una gara di solidarieta’ fortissima.

Un testimone dira’ che il fondo era tappezzato di corpicini inanimati.
Alle 19 i soccorsi erano terminati: ben 44 bimbi , su 81, erano annegati, oltre a 4 adulti.

La catastrofe, dopo, segui’ la solita scansione: i corpicini furono composti nella sede della Pubblica Assistenza Croce Bianca, arrivarono il giorno dopo i genitori per il riconoscimento, poi i piccoli partirono per le loro citta’ di origine, Milano e Verona, dove vennero officiati Riti religiosi solenni
L’Italia fu scossa da questo disastro che per l’alto numero di bimbi morti che non ebbe uguali .

LUISA FERIDA, UN ALTRO CRIMINE DEI GLORIOSI PARTIGIANI


Luisa Ferida , pseudonimo di Luigia Manfrini Farné (Castel San Pietro Terme, 18 marzo 1914Milano, 30 aprile 1945) è stata un'attrice italiana. Fu una delle più rappresentative attrici del cinema italiano nel decennio 1935-1945.

Dotata di un non comune temperamento drammatico, dopo alcune esperienze teatrali con le compagnie di Ruggero Ruggeri e Paola Borboni, esordì sul grande schermo con il film Freccia d'oro (1935) di Corrado D'Errico. Dopo numerosi film di registi minori, che le consentirono di mettersi in luce, esplose letteralmente con il film di Alessandro Blasetti Un'avventura di Salvator Rosa (1939), nel quale interpretò con bravura il ruolo della contadina Lucrezia, meritandosi elogi dalla critica e successo di pubblico.

Il film di Blasetti la proiettò rapidamente verso un orizzonte divistico di rilievo, permettendole di mettere in evidenza il suo temperamento grintoso e la sua recitazione asciutta, nervosa, priva di quell'enfasi che caratterizzava altre sue colleghe dell'epoca.


L'incontro con Osvaldo Valenti sul set di questo film, cui si legò sentimentalmente, coincise con il periodo di maggior successo della sua breve carriera. I registi più quotati dell'epoca iniziarono a offrirle ruoli di sempre maggiore spessore. Negli ultimi anni della sua carriera, la Ferida si rivelò attrice di grande sensibilità interpretativa e di notevole maturità espressiva, come notò l'attrice Elsa De Giorgi durante la lavorazione del film "La locandiera" (1944) di Luigi Chiarini. Vanno ricordate le sue interpretazioni nei film La corona di ferro (1941) di Blasetti, Fedora (1942) di Camillo Mastrocinque, in cui la Ferida fornisce una eccellente prova drammatica, "Fari nella nebbia" (1942) di Gianni Franciolini, per il quale fu premiata come miglior attrice italiana del 1942, Gelosia (1942) di Ferdinando Maria Poggioli e La bella addormentata (1942) di Luigi Chiarini.
Nel 1944 si recò a Venezia con Osvaldo Valenti per lavorare al Cinevillaggio, centro cinematografico della Repubblica Sociale Italiana. Ferida e Valenti furono fra i pochi divi del cinema dei telefoni bianchi, come viene abitualmente chiamato il fiorire della cinematografia fascista, ad accettare di lasciare Roma (e Cinecittà) per Venezia quando crollo' il regime. Eppure, erano molti i loro colleghi e registi ad aver beneficiato della protezione delle alte cariche del fascismo; la maggior parte, pero', a causa del precipitare degli eventi, e temendo per la propria incolumita', rimase a Roma.

A soli 31 anni ed incinta di un bambino, la Ferida fu uccisa dai partigiani all'Ippodromo di San Siro a Milano assieme a Valenti il 30 aprile 1945, con l'accusa di collaborazionismo e in particolare per aver torturato alcuni partigiani imprigionati a Villa Triste, a Milano, sede della banda Koch. L'accusa si dimostrò infondata al vaglio di prove e testimonianze, e lo stesso Vero Marozin, capo della Brigata partigiana responsabile della sua morte, ebbe a dichiarare, nel corso del procedimento penale a suo carico per quell'episodio: «La Ferida non aveva fatto niente, veramente niente». I due attori, infatti, pagarono ingiustamente con la vita la loro notorietà associata al regime fascista, ma non avevano alcuna responsabilità penale che potesse giustificarne la fucilazione per collaborazionismo. Sembra ormai accertato, sulla base delle dichiarazioni rese da Vero Marozin in sede processuale ("Quel giorno - 30 aprile 1945 - Pertini mi telefonò tre volte dicendomi: "Fucilali, e non perdere tempo!") che il futuro Presidente della Repubblica Italiana Sandro Pertini abbia avuto pesanti responsabilità morali nell'uccisione della Ferida e di Valenti (v."Odissea Partigiana" di Vero Marozin - 1966 - "Luisa Ferida, Osvaldo Valenti - ascesa e caduta di due stelle del cinema" di Odoardo Reggiani - Spirali 2001). Pertini, oltretutto, si rifiutò di leggere il memoriale difensivo che Valenti aveva elaborato durante i giorni di prigionia, nel quale erano contenuti i nomi dei testimoni che avrebbero potuto scagionare i due attori da ogni accusa. La casa milanese di Valenti e della Ferida venne svaligiata pochi giorni dopo la loro uccisione. Fu rubato un autentico tesoro, di cui si perse ogni traccia.
( da Wikipedia)

lunedì, luglio 07, 2008

AUTOSCALE E VIGILI DEL FUOCO






Intervento dei VVFF a Savona

Stamattina , intorno alle 12, nel centro storico di Savona, negli antichi palazzi prospicienti alla vecchia darsena, c’e’ stato un intervento urgente e spettacolare dei vigili del fuoco del comando provinciale di Savona. Una anziana che vive sola non era stata piu’ vista dai vicini, e dai negozianti che preoccupati hanno allertato i vigili del fuoco. Arrivati con l’autoscala, hanno sfondato la finestra dopo aver aperto le imposte, quindi sono entrati nell’appartamento al secondo piano. All'interno la anziana donna V.V. di 88 anni e' stata trovata morta

Visto che ero in zona, ho scattato qualche foto
Roberto Nicolick

domenica, luglio 06, 2008

LUNGOMARE CANEPA - GENOVA




















Questa strada di veloce percorrenza, situata tra il complesso della Fiumara e l’inizio di Via Di Francia e’ un incredibile deposito a cielo aperto di autoveicoli semidistrutti che farebbe invidia ad uno sfasciacarrozze.
Non ho potuto resistere dal fotografare questa discarica a cielo aperto, sotto gli occhi di tutti.
Ce n’e’ per tutti i gusti e per tutte le marche : Fiat, Lancia, Golf Volkswagen, Furgoni, motocarri aermacchi, e anche tanto per variare vecchi frigoriferi e altra “rumenta” sempre in quantita’ industriale.
Di notte la zona e’ molto mal frequentata, le bande di latinos ci fanno i loro riti di iniziazione e le “signorine” multietniche, cercano clienti…ovunque bottiglie vuote abbandonate senza che chi le ha vuotate si preoccupi della raccolta differenziata, molte macchine sono dei veri rottami, date alla fiamme, scheletri anneriti, di vetture ovunque, tutti i cofani sono aperti e deformati, i cristalli rotti, i sedili bruciati , l’interno dei veicoli e’ colmo di pattume, in un lato anche una vecchissima cinquecento “ giardinetta”,panoramica, fa la sua bella figura in questo museo del degrado urbano.

In effetti sembra il museo dell’orrore dell’automobile. Qualcuno si e’ preoccupato di togliere tutte le targhe di riconoscimento, forse le fiamme, poco casuali, hanno anche eliminato i numeri dei telai. In una vettura, i vetri sono stati oscurati da cartoni e i sedili abbassati per formare un letto di fortuna, anche qui non mancano le bottiglie di birra, rigorosamente vuote.

Una strada come questa, che porta verso un centro di consumismo esasperato e’ un contrasto stridente.