giovedì, luglio 31, 2025

Anna Pagano febbraio 1978 20 anni S. Olcese ( Genova ) Quella maledetta sera, Anna, una bella ragazza di 20 anni, si è fidata a salire in auto con una persona che conosceva o comunque di cui si fidava, ma appena l’auto è arrivata in luogo isolato attorno a S. Olcese e dove nessuno poteva ascoltare o guardare, è stata aggredito con ferocia e violenza, picchiata e presa a calci , e infine quando lei oramai era indifesa a terra il suo assassino o i suoi assassini, hanno raccolto un sasso acuminato e l’hanno finita. Il suo corpo è stato trovato all’alba di domenica da un pastore. La vittima indossava solo gli stivali era supina e, strano particolare, sulla schiena qualcuno aveva scritto con una biro due frasi particolari : MORO MORO e BRIGATE ROSE , invece che brigate rosse, evidentemente un rozzo tentativo di depistaggio Anna quando si è resa conto di quello che le stava per capitare, deve avere ingaggiato una lotta disperata contro il suo o i suoi aggressori infatti tutto attorno c’erano i suoi indumenti, la borsetta e i pochi effetti personali , in una mano stretta a pugno teneva un ciuffo d’erba. La vittima abitava in un piccolo appartamento del centro storico di Genova assieme a due fratelli Fabio e Fulvio e con la loro anziana madre, Fabio era il suo fidanzato – convivente. Anna Pagano si era allontanata dalla famiglia già da anni e faceva uso di sostanze come d’altronde il suo convivente. Lei quasi tutte le sere usciva per andare a prostituirsi e raggranellare dei soldi necessari per acquistare la droga per lei e il suo fidanzato, in quelle circostanze entrambi erano venuti a conflitto con degli spacciatoti che li avevano minacciati e ricattati. Anna non si era fatta spaventare e aveva testimoniato in una aula di tribunale contro lo spacciatore, nonostante nel centro storico di Genova era presente e molto potente il racket della malavita che gestiva lo spaccio di droga e la prostituzione. Da tempo Anna e il suo ragazzo avevano progettato di allontanarsi da Genova e soprattutto dalla malavita che in qualche modo condizionava la loro vita, lei però conosceva sicuramente tutti i particolari del settore in cui lei lavorava e viveva e poteva essere una pericolosa fonte di informazioni per la Polizia e ovviamente da certi sistemi ed ambienti non è facile uscire. Un particolare che lascia perplessi chi ha scritto sulla schiena della vittima per spregio ha conficcato la penna tra le natiche di Anna. Per questo omicidio e altri sempre di altre donne, fu processato e condannato all’ergastolo un piccolo malavitoso , ex pugile di scarse speranze Maurizio M.

mercoledì, luglio 30, 2025

Commissario Giuseppe Montana “Beppe” Commissario Capo della Questura di Palermo Sezione Catturandi Caduto il 28 luglio 1985 nella guerra contro la mafia. Trasferito a Palermo da Catania era una vera spina nel fianco della malavita organizzata, era lui che con grande coraggio e perseveranza guidava i drappelli degli agenti di polizia nelle improvvise incursioni nei quartieri ad alto tasso di malavitosi, per arrestare i latitanti di mafia di spicco oppure i sempli picciotti, tutti con le mani sporche di sangue di gente per bene. Proprio mercoledi 24 luglio aveva coordinato una vasta operazione di polizia a Buonfornello ,Cefalù, che si era conclusa con la cattura di 8 ricercati tra i boss di Brizzi, Tommaso Cannella, e e quello di Villabate, Pietro Vitale Messicati. In una scuola di Montelepre parlando agli allievi di lotta alla mafia aveva detto di non provare paura , se ne avessi non potrei fare serenamente il mio lavoro. Il 28 luglio due sicari di mafia lo colpiscono usando contemporaneamente due pistole mentre si trova a Porticello, un piccolo cantiere navale, in quel momento il commissario stava parlando tranquillamente con un amico e crivellato di colpi è caduto a terra ucciso sul colpo. Il coraggioso funzionario di polizia si era sposato da poco tempo e lascia oltre la moglie anche due bambini. Onore al Commissario di Polizia Giuseppe Montana, Beppe.

martedì, luglio 29, 2025

Maria Strambelli 21 agosto 1978 Manesseno, Val Polcevera. Genova Maria Strambelli, operaia di vent’anni, è stata trovata cadavere con indosso solo un paio di mutandine e con il resto dell’abbigliamento sparso attorno, il cadavere è in avanzato stato di decomposizione ed è stato rinvenuto a Manesseno in Val Polcevera, in un boschetto nascosta sotto un mucchio di frasche, e semi carbonizzata perché chi l’ha uccisa ha tentato di bruciare il corpo per nascondere sue eventuali tracce. Secondo l’Istituto di Medicina Legale sarebbe morta per soffocamento da strangolamento , infatti tracce ben precise sarebbero state trovate nei polmoni. Il fratello ha avuto la triste sorpresa del ritrovamento e la cercava in quanto la ragazza era scomparsa il 21 agosto di sera mentre stava tornano a casa. Abitava con una sua amica a cui lei ha detto che si attardava con un amico e che sarebbe rientrata a breve, a tarda notte l’amica si è svegliata e trovato il letto della coinquilina vuoto e quindi ha dato l’allarme. La vittima abitava alla periferia settentrionale di Genova nei pressi della Caserma della Polizia di Stato. Michele B. il titolare della azienda , un maglificio, dove Maria lavorava intanto rimane in carcere sotto l’accusa di favoreggiamento, pare che egli è stato l’ultima persona che ha visto in vita la giovane operaia. La vittima è originaria di Bari, ed appartiene ad una famiglia per bene. Sicuramente la vittima conosceva il suo assassino altrimenti non si sarebbe attardata con lui e soprattutto non sarebbe mai salita in auto con lui. Secondo alcuni testimoni l’auto è una Alfa Romeo Alfetta, già notata diverse volte sotto la casa della Ragazza con a bordo tre soggetti sospetti, un altra auto una Fiat 850 chiara, proprio la sera della scomparsa della ragazza sarebbe stata notata partire a tutta velocità da una strada vicina. Gli investigatori stanno tentando di rintracciare tutti gli amici e conoscenti di Maria nelle discoteche del ponente, che lei frequentava assieme ad una minorenne, Maria Catena Alba, una quattordicenne anch’essa assassinata con lo stesso modo di Maria Strambelli e cioè lo strangolamento, il nome di questa ragazza è Maria Catena Alba, poi abbandonata nuda in un boschetto di Savognone. Una pista investigativa porta anche ad una banda di giovani criminali che erano usi a rapinare giovani frequentatrici delle discoteche. A tutt’oggi questo delitto è rimasto insoluto ma non è l’unico caso in cui, nella stessa zona e nello stesso periodo, altre ragazzr giovani furono assassinate : la prima è Anna Pagano poi Giuseppina Ieraci, quindi Maria Catena Alba di appena 14 anni .

lunedì, luglio 28, 2025

Il delitto del kimono rosso agosto 1986 Torrente Torbella Come al solito quel tardo pomeriggio del 21 agosto, la famiglia che abita nel quartiere di Begato, periferia est di Genova, portava il loro cane a sgambare sul greto del torrente Torbella di Rivarolo, un affluente di sinistra del Polcevera, da subito il cane è apparso inquieto e ha puntato un ammasso informe che era sul riva del torrente, la coppia si avvicinava attratta dai latrati del loro cane e potevano osservare un tappeto di moquette di colore verde che fasciava quello che a prima vista aveva le dimensioni di un corpo umano. Sospettando di avere a che fare con un cadavere i due subito avvisavano i Carabinieri. In effetti il tappeto di moquette ritagliato, avvolgeva e nascondeva alla vista un cadavere di un uomo, attorno alla moquette due giri di corda che finivano con un nodo scorsoio attorno al collo del corpo, noto fatto da mani esperte, la moquette nella sua faccia interna aveva ancora delle tracce di colla da tappezziere. Il corpo alto circa 1,80, di carnagione chiara con una età apparente di 35 – 40 anni , era abbastanza martoriato, la morte dovuta a strangolamento risale a circa due mesi fa, l’uomo indossa un kimono , ridotto ad uno straccio dal tempo e dalle intemperie, di colore rosso o bordeaux , di seta sintetica, una targhetta lo identifica come manufatto cinese, ha due ideogrammi stampati uno grande sulla schiena e uno piccolo sul taschino anteriore, forse uguali a quelli delle scuole di arti marziali, il costo del kimono è di poche decine di migliaia di lire. L’uomo indossa sotto il kimono un paio di slip di una marca corrente, “cagi”. La dentatura è sana a parte un dente con una capsula d’oro. La vittima è di corporatura robusta quindi deve essere stato aggredito e colpito di sorpresa alle spalle, altrimenti era nelle condizioni fisiche di opporre una valida resistenza. Nelle vicinanze del corpo sono stati trovati un maglione e un paio di mocassini scalcagnati. Dal quartiere di Begato non risulta nessuna scomparsa e nessuno conosce un individuo con quelle caratteristiche fisiche. Neppure si trova un negozio che venda Kimoni come quello indossato dal cadavere misterioso. La dinamica ricostruita dagli inquirenti è questa : gli assassini , almeno due, hanno trasportato il corpo fino al greto del Torbella e li se ne sarebbero liberati, quindi lo strangolamento è avvenuto in un altro luogo, il movente senza il nome è ignoto. Il primo obiettivo è identificare il cadavere e quindi gli inquirenti hanno riesaminato tutte le denunce di scomparsa , donne e minorenni esclusi, nel nord Italia ma senza risultati concreti. Questo omicidio rischia di rimanere insoluto fino a quando compare improvvisamente una donna, Mariella C. di 27 anni, con precedenti per droga e prostituzione, che spontaneamente accusa alcune persone del delitto affermando di aver attirato l’uomo dal kimono rosso, a suo dire di nome Tonino, in un tranello , ma le sue dichiarazioni non trovarono riscontri e fu processata e condannata per calunnia, la donna morirà per overdose qualche anno dopo. Una altro personaggio Gianluigi P. fece le stesse dichiarazioni accusando tre persone dicendo che li aveva aiutati e anche lui fu processato per calunnia. A tutt’oggi il cosiddetto delitto del kimono rosso è insoluto.

domenica, luglio 27, 2025

Mario Bottazzi tassista 5 maggio 1985 Genova Mario Bottazzi, 48 anni, faceva il tassista uno dei 500 lavoratori della cooperativa che servono i clienti attraverso la loro centrale radio a Genova, sposato con due figlie, il suo ultimo servizio , intorno alle 22,30 è stato quello di caricare un passeggero che voleva recarsi in Via Donato Somma una via di Genova Nervi. Terminata questa corsa , l’ultima della giornata, avrebbe dovuto andare ad Acqui dove lo aspettava la famiglia. Dopo circa un’ora la sua auto è stata trovata in tutt’altra parte della città, in Via Pantaleo sulla Circonvallazione a Monte, con le luci accese e con il motore ancora caldo, segno di essere stato ancora acceso sino a pochi minuti prima del ritrovamento fatto da un passante che ha avvicinatosi ha scorto all’interno del taxi il corpo riverso sul sedile e ha dato l’allarme. Il passante ha testimoniato di aver tentato di soccorrerlo perché a suo dire l’uomo era ancora in vita ma ogni tentativo è stato vano. Da subito si è pensato ad un malore ma quando la Polizia ha spostato il corpo si è osservato un foro di proiettile alla nuca. Una calibro 22, con un’arma di piccole dimensioni usata da dietro al tassista a pochi centimetri di distanza, la traiettoria della pallottola è stata dall’alto verso il basso da parte di chi stava sicuramente seduto sul sedile posteriore, un colpo che deve aver lasciato qualche minuto di vita alla vittima che molto probabilmente è riuscito a percorre con la vettura ancora un centinaio di metri prima di spirare. Bottazzi non era nuovo a questo mestiere lo faceva da 30 anni e usava la licenza ereditata dal padre. Il tassista , aveva una vita irreprensibile , non aveva amicizie equivoche, inoltre aveva ancora il portafogli con i soldi nella giacca e l’orologio al polso, nulla è stato rubato dall’interno del taxi, quindi il movente dell’omicidio è al momento ignoto.

Olga Pasquale Robbiati 74 anni Recco 5 giugno 1988 A metà pomeriggio di sabato la Olga Pasquale Robbiati , una gentile pensionata di 74 anni ritorna nel suo appartamento di Via Vecchia Vastato 10 a Recco, ha appena concluso una piacevole passeggiata , aspetta una telefonata della figlia, Carla, che lavora a Milano in una azienda editoriale. Purtroppo è nel mirino di qualcuno, qualcuno che studia le sue abitudini, forse sale con lei in ascensore oppure la aspetta in agguato sul pianerottolo accento alla porta di ingresso. Lei apre la porta di ingresso e l’aggressore la sorprende con violenza , ha appena avuto il tempo di togliersi un orecchino che l’aggressore la trascina in bagno la getta nella vasca e le preme un asciugamano sul viso, quindi la colpisce con un oggetto contundente, forse un martello. Poi si dedica alla ricerca di valori nella casa. Quando verrà trovata si evidenzierà due vaste ferite profonde alla nuca e una sulla fronte, le prime due sono sicuramente fatali per la donna. Dalla casa è sparito un mazzo di chiavi con una piccola chiave di una cassetta di sicurezza. Chiunque sia stato in casa non ha trovato ne somme di denaro e ne gioielli. Tuttavia questa ennesima aggressione ripropone il problema della sicurezza degli anziani che vivono soli in casa e che sono un facile bersaglio.

Don Emilio Gandolfo 2 dicembre 1999 Vernazza ( SP ) Don Emilio Gandolfo, un parroco ottantenne , benvoluto da tutti, buono ed accogliente, è stato assassinato nella casa parrocchiale della Chiesa di S. Maria di Antiochia, molto probabilmente il suo omicidio è stato il frutto di una rapina andata male da parte di uno o più criminali, avvenuta nel primo pomeriggio. Il prete era atteso dai fedeli perché doveva officiale la messa serale ma non vedendolo arrivare sono andati a cercarlo e lo hanno trovato a terra. Inizialmente si era pensato ad una brutta e fatale caduta ma poi i Carabinieri hanno accertato che il parroco di Vernazza, era stato colpito brutalmente con un oggetto contundente forse un crocifisso. I locali della canonica erano a soqquadro, ma gli aggressori non hanno trovato quello che cercavano infatti non manca nulla. Don Gandolfo era giunto a Vernazza nel 92 come amministratore e poi ne era diventato parroco. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, gli aggressori hanno colpito il parroco sulla porta della canonica e quindi lo hanno trascinato all’interno dove poi è stato trovato oramai cadavere con la testa fracassata in un lago di sangue. Già alcuni mesi fa l’anziano sacerdote era stato vittima di una rapina conclusa senza conseguenze. Una ipotesi che non trova conferme è che Don Gandolfo avrebbe riconosciuto i rapinatori che avrebbero deciso di ucciderlo per evitare conseguenze. Alcuni mesi prima un altro Sacerdote, Don Lodovico Capellini, parroco di Ortonovo, sempre a La Spezia, era stato legato ed imbavagliato da un rapinatore che poi aveva rubato in canonica.

Luigia B detta Antonella Settembre 1995 Vico Indoratori 42 R Genova Luigia B. è una donna di una quarantina di anni, abitava a Marassi in Via Monticelli, vedova da circa due anni e con due figli da mantenere, non molto alta, non bellissima e leggermente pienotta, era nota per il suo carattere gioviale, ogni mattina faceva colazione sempre nello stesso bar poi saliva sul bus e andava nei vicoli del centro storico, la stessa tranquilla routine. Nel centro storico, raggiungeva Vico degli Indoratori ed entrava in un ex magazzino, un basso, al 64 rosso, dove lei esercitava il mestiere più antico del mondo, con grande successo pare.. In questa sua attività era molto richiesta, dava ad ogni cliente una decina di minuti senza distinzioni, aveva clienti di ogni tipologia e lei da cinque anni svolgeva questo “lavoro” che le serviva per tirare avanti e per risolvere i debiti lasciati dal marito. Ai figli e ai vicini aveva detto che faceva la assistente sociale in un centro per anziani. Luigia divideva il basso con un travestito che arrivava quando lei finiva il giorno, intorno alle 21 e andava via alle 4 del mattino. Era un patto tacito che entrambi rispettavano. Poi un pomeriggio qualcosa di orribile capita al Luigia, quando i Carabinieri allertati dai vicini del vicolo trovano l’ambiente essenziale a soqquadro, sul comodino due bottiglie , una di acqua e una di amaro mezza vuota, la donna è a terra con la punta di un trapano elettrico infilato in gola, dopo essere stata tramortita con un colpo alla testa e averla resa inerme a terra il suo assassino le ha trapanato la gola provocandole una importante e mortale emorragia. Fatto ciò l’omicida ha chiuso la porta del basso e ha fatto scendere la saracinesca e l’ha anche chiusa con le chiavi trovate da qualche parte all’interno. Le indagini non sono facili perché non si conoscono i nomi dei suoi clienti fra cui potrebbe nascondersi il suo assassino. La morte della Luigi, Antonella, porta con sé una scia di morte successivamente , in particolare , il 16 settembre 1995, un uomo di una cinquantina di anni, un elettricista con famiglia, cliente della donna, viene convocato per essere interrogato, ma l’uomo, Ottavio, è decisamente fragile rimane colpito, si sente il mondo crollare addosso, entra a Genova in una cartoleria, compra un blocco notes, riempe delle pagine a quadretti della sua disperazione e del suo sconforto di essere sospettato di un crimine cosi terribile, anche se egli ha un alibi, poi raggiunge la sopraelevata si getta da una ventina di metri piombando in Via di Francia, non ha scampo muore sul colpo. Il 27 marzo del 1996 una donna di 56 anni, Adriana F. muore dopo aver ingerito una dose eccessiva di barbiturici, ma esiste un nesso almeno conoscitivo con Luigia B. , Adriana F. erta la proprietari del basso dove la donna esercitava il suo mestiere. Tre morti collegate tra loro.

venerdì, luglio 25, 2025

Gabriella Bisi Rapallo 2 agosto 1987 Gabriella Bisi, 35 anni, una bella ragazza Milanese dai capelli rossi di aspetto grazioso, di professione architetto con studio a Milano in Via Biancamano 2, abituale frequentatrice delle spiagge del Tigullio, scompare misteriosamente la sera del 2 agosto 1987, dopo essere uscita da una villa di amici a San Lorenzo della Costa , sulle alture di Santa Margherita Ligure. E’ certo che chiese un passaggio verso Rapallo, appena uscita da Villa Patrini, intorno alle 19 del 2 agosto, a due automobilisti, marito e moglie, passaggio che non le fu dato in quanto la coppia andava a Camogli e non a Rapallo, non risulta che usò il bus pubblico che fa servizio in quella zona, quindi assolutamente qualcuno le diede un passaggio e non si sa chi sia. Di Certo si sa che quando uscì dalla villa salutando allegramente con un sorriso i suoi amici indossava una camicetta e una gonna sopra il bikini, impegno era quello di vedersi a cena qualche ora più tardi in un ristorante del centro ma lei non si è presentata, i suoi amici hanno aspettato la mattina successiva prima di fare denuncia di scomparsa, quindi chi l’ha uccisa ha avuto un vantaggio per far scomparire le sue eventuali tracce.. Vennero effettuate ricerche in tutta la zona senza alcun esito, poi il 13 agosto il suo corpo straziato, fu trovato casualmente da un escursionista, nella boscaglia attorno ad una radura sopra il belvedere della Via Aurelia , tra Chiavari e Zoaglia, la zona è nota come Tigullio Rock’s, un esclusivo complesso residenziale con piscina e spiaggia riservata. Il corpo era in avanzato stato di decomposizione per il caldo estivo , dilaniato dagli animali selvatici e randagi, e il riconoscimento è stato effettuato dal padre Giuseppe, commerciante di mobili, da alcuni amici e conoscenti e dal suo dentista attraverso l’esame di una protesi. Dagli esami autoptici risulta che la donna è stata strangolata ma non a mani nude, bensì usando gli slip che l’omicida le ha strappato dal bikini e poi lo ha stretto al collo aiutandosi con un ramo sottile come una rudimentale “garrota”, dando alla vittima una morte atroce e dolorosa, il ramo usato è lungo una ventina di cm. ed è di robinia. Poi l’assassino a sollevato il corpo e lo ha trasportato a braccia dalla vicinanza all’aurelia per 17 scalini lontano dalla vista e li lo ha lasciato. L’autopsia è stata effettuata dal Prof. Chiozza dell’Istituto di Medicina Legale dell’Università di Genova, che ha confermato lo strangolamento con la rudimentale garrota, ha escluso segni di percosse violente ne il cranio ne il resto dello scheletro presentano segni di violenza, visto lo stato del corpo, non si è potuto stabilire se abbia subito violenza carnale. La Bisi aveva già preparato le valigie nel suo bilocale in affitto, ai Pini di Rapallo e lunedi 3 contava di partire per Ponza era sereena e tranquilla e mai più prevedeva una fine simile. Molto probabilmente, Gabriella conosceva la persona con cui è salita in auto verso l’intrico di rovi , oltre una terrazza che serve alle coppiette per appartarsi e chi ha teso il tranello, ha scelto con cura il posto, isolato e impervio in modo tale da rinviare il ritrovamento della vittima, il che fa pensare ad un delitto premeditato forse con una ispezione preventiva del luogo ove abbandonare la vittima. Nell’agosto del 1987 il padre della vittima si recò presso la Procura di Chiavari e espose i suoi sospetti su un uomo di Rapallo, sposato e con famiglia, con cui Gabriella ebbe una relazione, l’uomo fu interrogato ma non emerse nulla a suo carico. Ad aprile del 1988, i carabinieri hanno ritrovato la borsa di Gabriella Bisi, di 35 anni, ritrovata strangolata il 13 agosto dell’anno scorso, all’interno della borsetta trovata nella fitta boscaglia a poca distanza dal ritrovamento del corpo, ci sono degli effetti personali e soprattutto una agenda che potrebbe essere importante agli effetti della ricostruzione dei movimenti della ragazza. Nell’agosto del 1990 il Tribunale di Chiavari ha archiviato l’inchiesta , la sentenza parla di “improcedibilità contro ignoti” e tutt’oggi Gabriella Bisi non riposa in pace e chiede a gran voce giustizia.

Sergio B 25 dicembre 1986 Sestri Ponente 1986, Sestri Ponente, Via Bezzecca, Natale, viene ritrovato il cadavere straziato di Sergio B 57 anni, invalido civile, operaio all’Ansaldo di Genova e ritirato dal lavoro. Il corpo è riverso sul letto in un lago di sangue , avvolto nel lenzuolo come un sudario. L’arma del delitto probabilmente un martello con cui l’omicida ha sondato il cranio della vittima. Chi ha ucciso Sergio B ha poi cercato in tutto l’appartamento alla frenetica ricerca di soldi o valori. Quindi sembra una rapina finita male. Ma il 3 gennaio la polizia arresta la moglie di Sergio , Carmela F. con l’accusa di aver fatto uccidere il marito , malato e pare anche impotente, il disordine secondo la polizia è un depistaggio anche maldestro, inoltre emerse un primo tentativo di fare uccidere il marito da un killer che si rivelò incapace. La donna fu rinviata a giudizio e in primo grado condannata a 27 anni, poi in secondo grado e in Cassazione la moglie fu prosciolta da ogni accusa grazie al Magistrato Corrado C. detto “l’ammazzasentenze”. Quindi chi ha assassinato il povero marito ? Ma ecco alcuni fatti che risvegliano l’attenzione della Polizia. Ad agosto una tossicodipendente, Caterina B. di anni 43, muore di overdose nei bagni dell’Ospedale di Sanpierdarena , lei conviveva con Giuseppe I. anch’esso tossico, di anni 34 , entrambi noti alle forze dell’ordine per reati connessi agli stupefacenti. Secondo alcune voci Caterina è morta portandosi nella tomba un terribile segreto, la polizia scopre che nel 1986 la donna era ricoverata nel reparto infettivi dell’ospedale dove lavora la moglie della vittima, come infermiera. Forse una coincidenza, ma secondo alcuni testimoni l’infermiera prometta alla coppia di tossicodipendenti una cifrta importante e un piccolo appartamento se si fossero sbarazzati del suo “problema”. Poi sempre secondo gli inquirenti l’infermiera avrebbe accompagnato la coppia nell’appartamento e Giuseppe avrebbe ucciso a martellate Sergio, poi avrebbe inscenato la scena di una rapina e manomesso dall’interno la serratura. Purtroppo la moglie, ora vedova, è già stata processata e assolta per omicidio premeditato e nella imputazione era compreso un suo ruolo di mandante ma essendo stata assolta e passata in giudicato la sentenza lei è di fatto e di diritto intoccabile.

giovedì, luglio 24, 2025

Giovannina Grattarola 89 anni Genova 25 marzo 1976 Giovannina una donna esile, abita in appartamento da sola,abbastanza autonoma nonostante l’età, viene trovata sgozzata nel prestigioso appartamento in un antico palazzo del centro di Genova che nei secoli scorsi fu la dimora dei Marchesi Fieschi. Giovannina era l’anziana dama di compagnia della Contessa Elisabetta Thellung de Courtelary. Il delitto è sicuramente avvenuto per rapina anche se l’assassino non è riuscito a portare via nulla nemmeno le 150 mila lire della pensione che la donna teneva nel cassetto del comodino. La vittima aveva la residenza a Ponzone, nell’Acquese, e viveva da anni con la Contessa Thellung la cui famiglia ha origini Svizzere ed è proprietaria di un castello a Ponzone, dove aveva conosciuto a vittima. Tra la Contessa, 75 anni, e la Grattarola, 89 anni, non c’era un rapporto di lavoro ma piuttosto un reciproco aiuto. La loro esistenza si divideva tra la casa in Santa Maria in Via Lata a Carignano e le opere di bene , Dama di Carità la Contessa e Sorella di S. Angela Merici la governante assassinata. Ieri pomeriggio la Contessa esce per andare alle Opere Parrocchiali mentre Giovannina resta sola in casa. Poco dopo le 20 la Gentildonna rientra e trova la porta socchiusa, la luce nell’ingresso accesa ma se intravedono altre in casa accese. L’anticamera è imbrattata di sangue altre chiazze rossastre sono nel corridoio e sulla porta della camera mentre a terra nella camera c’è il corpo della governante riversa a terra in una pozza di sangue. I Carabinieri non trovano tracce di effrazione e nulla manca dall’appartamento messo a soqquadro e nessuno ha sentito nulla di sospetto. La donna è stata colpita ripetutamente con due coltelli e una mezzaluna armi da taglio improvvisate con cui l’assassino o gli assassini si sono accaniti sulla povera donna. Spesso a quella casa bussavano persone indigenti del Masoero, a cui la Contessa non mancava di dare qualcosa, su questa pista si indirizzarono le indagi dei Carabinieri che purtroppo non ebbero risultati concreti. La vittima abitava con la Contessa dal 1902, prima ne era la balia asciutta , e da qull’anno non ha mai voluto separarsi da lei, prima nurse, poi housekeepers, in estate a Ponzone, di cui il Conte Vittorio fu anche sindaco e d’inverno a Genova nella casa dei Fieschi. A tutt’oggi questo è un delitto insoluto.

Maria Maddalena Berruti nota anche come la donna del delitto del Bon bon Genova febbraio 1987 La signora Maria Maddalena, 83 anni, da qualche giorno non dava più segni di vita, nessuna la vedeva scendere le scale o uscire anche solo per fare un giro in Via Colombo a Genova, la portinaia allarmata chiamò il 118 che mandò i Vigili del Fuoco che si calarono con una fune dal tetto e trovarono Maddalena, morta, strangolata con una cordicella di Nylon. Non è stata una rapina, nessuno ha rubato gioielli o denaro presenti in casa. Questa morte ricorda quello che le accadde nel maggio del 1937, due giovani studenti universitari le offrirono un cioccolatino in cui era stata iniettata della stricnina, evidentemente la volevano uccidere, per poi svaligiare la casa, ma lei non lo consumò e mise il cioccolatino al veleno nella borsetta e il giorno dopo lo offrì alla figlia Irma di 12 anni che morì all’ospedale fra atroci sofferenze. Fu una tragedia immensa, a quell’epoca Maria Maddalena era una splendida donna sui 30 anni, amava ballare e frequentava un “tabarin” oggi si chiamerebbe night di nome “Bellon”, sposata con un marittimo, Fabio Celle, imbarcato sul “Conte Grande “, era una donna molto benestante. La morte tragica di Irma la segna e decide di trovare i due colpevoli, gira giorno e notte per Genova, sosta a lungo davanti alle aule e alle segreteria dell’Università in Via Balbi, passa ore nei locali frequentati dai giovani finché li scorge finalmente. Chiama un agente di polizia e li fa arrestare, sono Guido De Grandis e Mario Fulpiani, hanno appena 20 anni ma sono già pieni di debiti di gioco. Il loro piano era quello di avvelenare Maddalena e poi razziarne l’appartamento. I due sulle prime negano ma poi confessano, processati sono condannati ad una lunga pena detentiva, Il De Grandis non aspetta e si uccide in cella nel carcere di Saluzzo , il suo complice esce a pena scontata e muore , settantenne, stroncata da un infarto. L’uccisione di Maddalena è strana, lei ha aperto la porta al suo omicida, nulla è stata rubato dalla casa e soprattutto questo omicidio potrebbe essere messo assieme agli altri sette avvenuti contro persone anziane e sole. Quindi quello di Maddalena è un omicidio ancora senza responsabile.

Novi Ligure 25 gennaio 1971 Vagone trasferimento detenuti da Le Nuove ad altri istituti. Rivolta di due detenuti Una mattina come le altre alle Nuove, al Carcere di Torino, Corso Vittorio Emanuele, otto detenuti vengono svegliati per salire su un automezzo ed essere trasportati a Porta Nuova , sul treno, nelle celle vengono fatti salire, otre agli 8 detenuti ci sono 12 carabinieri, il capo scorta è l’appuntato Leo. I carabinieri fanno questo servizio da tempo, traduzioni dal carcere a Palazzo di Giustizia, e trasferimenti in tutta Italia. Per i carabinieri tutti i detenuti sono uguali, non importa cosa hanno fatto, sono solo dei prigionieri da prelevare in posto e portarli in un altro, poi si torna a casa dalla famiglia. Alle 7,40 il treno parte da Porta Nuova, fuori piove, nella vettura cellulare sei celle e un gabinetto, ogni cella 8 posti, fuori inizia a nevicare, nelle celle 11 detenuti e 8 carabinieri sulla piattaforma. Ogni tanto un carabiniere controlla i detenuti da uno spioncino nella porta ,che sonnecchiano, tutto tranquillo. Il treno arriva ad Alessandria e tre detenuti vengono presi in consegna da latri carabinieri con destinazione carcere di Alessandria, breve sosta e due carabinieri vanno al buffet della stazione a comprare lasagne per i detenuti, intanto il vagone cellulare viene agganciato al treno locale 2811 Alessandria Genova. Alle 9,52 partenza, ora all’interno ci sono 8 prigionieri e 8 carabinieri. Il pasto è consumato in silenzio , fuori la pianura bianca di neve scorre velocemente , alle 10 e 16 arrivo a Novi. Due detenuti, Paolo B. e Luigi C. con precedenti per rapina a mano armata erano in trasferimento per Porto Azzurro e carcere di Velletri, due criminali che non hanno nulla da perdere, sanno che una volta a Porto Azzurro o Velletri non avranno possibilità di evadere e quindi hanno progettato di fuggire magari nelle campagne dell’Alessandrino dove è più facile nascondersi, estraggono una pistola fatta di sapone e colorata con lucido da scarpe nero, sembra vera, probabilmente l’hanno costruita in cella, la porta della cella non è stata richiusa e i due irrompono nel corridoio con la simil pistola spianata, affrontano i due carabinieri più giovani, Pierino Tiberi di 19 anni e Francesco Montoni 24 anni, prima che possano abbozzare una reazione sono disarmati, ora i due rapinatori dispongono di due pistole semiautomatiche calibro 9 vere e con queste spingono avanti i due giovani militari e intimano agli altri sei di deporre le armi e intanto tirano il freno di emergenza. Il capo scorta Candido Leo cerca di dissuadere i due dal continuare la folle azione, ma il bandito risponde urlando di consegnare le armi “altrimenti vi uccidiamo”. Uno dei militari cerca di disarmare il bandito più vicino, colpendolo al braccio con la bandoliera ma i due hanno iniziato a fare fuoco in direzione dei carabinieri, il primo a cadere è il Giuseppe Barbarino , non può neppure estrarre l’arma, colpito in piena fronte, il capo scorta Leo ha ricevuto diversi colpi, forse cinque, ed è caduto a terra, Clemente Villani è centrato al cuore e anche lui cade, Clemente Villani Conte sta per impugnare l’arma di ordinanza ma un proiettile gli stacca quasi il pollice . Nel frattempo anche i Carabinieri hanno estratto le pistole e sparano anche loro, e forse qualcuno di quelli colpiti era riuscito a rispondere al fuoco. I due giovani ostaggi si erano gettati a terra per sfuggire al tiro incrociato. I Carabinieri Giovanni Eramo e Angelo Falletto rispondevano al fuoco, raggiungendo uno dei due banditi con diversi colpi e abbattendolo, l’altro nonostante fosse ferito e a terra continuava a sparare e smetteva solo quando uno dei carabinieri gli bloccava il polso con un piede e lo freddava. Il treno ripartiva e raggiungeva la stazione di Novi Ligure dove confluivano i soccorsi, i rinforzi e il magistrato. Lo scontro era finito, cinque pistole avevano sparato e a terra c’erano decine di bossoli oltre al sangue dei caduti, il capo scorta, ancora in vita, aveva ricevuto colpi al braccio, all’avambraccio, alla schiena, nella regione lombare destra, alla clavicola sinistra e alla milza è deceduto poco prima dell’intervento. Al carabiniere spera è stato amputato il pollice sinistro. Va rimarcato che nel corso della rivolta nessuno degli altri detenuti ha partecipato alla rivolta ed è rimasto chiuso all’interno delle celle. Sono caduti in azione e per servizio i seguenti carabinieri : Leo Candido appuntato capo scorta di Reggio Calabria con due figlie, Giuseppe Barbarino di Enna, di anni 37 , due figli, Clemente Villani Contidi Reggio Calabria di anni 35 , due figli che peraltro non faceva parte del servizio scorte e vi aera stato assegnato in via straordinaria. I due detenuti morti erano Paolo Brollo di anni 27 e Luigi Calgiaco di anni 25 con precedenti per rapine.

Alessandra G. un femminicidio di una bimba di appena 11 anni Randazzo ( Catania ) 2 marzo 1988 Alessandra G. era una bimba di 11 anni dai lungi capelli neri, frequentava la prima media presso la Scuola De Amicis di Randazzo, quella mattina come al solito poco prima delle 8, era uscita da sola per andare a scuola, era un lunedì, lungo la strada aveva incontrato una persona che conosceva e con cui c’era una lontana parentela, l’uomo Alfio F. ventinove anni, di professione muratore, era alla guida di una Fiat 127 di colore bianco, l’ha invitata a salire sull’auto con la scusa di accompagnarla a scuola e la bimba è salita senza timore, anche perché non sapeva che Alfio F. aveva precedenti per lesioni, violenza e atti di libidine. Da quel momento Alessandra sparisce , il padre appena sa nell’assenza da scuola va dai carabinieri e sporge denuncia. Le ricerche si svolgono ovunque, in ogni anfratto della zona, in ogni campo, poi ovviamente qualcuno in spregio alla usuale omertà che vige in quei luoghi afferma di aver visto la bimba in compagnia di Alfio, che in quel momento è irreperibile, quando torna a casa trova i Carabinieri ad attenderlo. Per tutto il giorno e la notte è interrogato poi dopo precise contestazioni ammette infatti sulla sua auto si trova un coltellaccio con la lama sporca di sangue e soprattutto una ciocca di capelli neri appartenente ad Alessandra. Dall’interrogatorio emerge quanto segue : Alfio F. ha caricato Alessandra ma non l’ha portata a scuola, guida l’auto sino alla periferia, nei pressi del vecchio macello, dove ferma l’auto e tenta di usarle violenza, la bimba coraggiosamente e istintivamente reagisce , molto probabilmente ha minacciato di dire tutto a suo padre e l’uomo ha perso la testa, ha colpito ripetutamente la vittima con un coltellaccio uccidendola. Poi abbandona il corpicino di Alessandra nella zona e si allontana. In seguito il reo confesso accompagnerà i Carabinieri sul luogo del ritrovamento, la ragazzina giace in posa scomposta in un lago di sangue, l’autopsia stabilirà se ha subito o meno violenza sessuale. Fu un femminicidio, uno dei tanti, una Lei che si era rifiutata di soggiacere ai desideri malsani di un maschio, alla giovanissima Alessandra fu intitolato uno slargo nei pressi del luogo dove Lei perse la vita difendendosi da chi voleva imporle la sua malsana volontà.

Caterina F. detta Rina La belva del Friuli o la belva di Via San Gregorio 1946 Fu sicuramente il più atroce delitto del dopoguerra, soprattutto perché tra le vittime ci furono tre minori, la protagonista di questo pluriomicidio nasce nel Friuli nel 1915, famiglia contadina, a 16 anni è a Milano dove fa la domestica, diventa una bella ragazza, capelli nerissimi, forme procaci, labbra carnose , sguardo penetrante. Si fidanza con un bravo ragazzo con cui progetta di sposarsi ma lui si ammala di TBC e muore. Rina si sposa con un suo paesano ma già dalla prima notte da segni di squilibrio mentale e viene ricoverato in un manicomio. Rina torna a Milano , è una bella donna di trentanni, un giorno entra in un caffè in centro e un uomo la nota, Giuseppe R. un meridionale che fa il magliaro. L’uomo la approccia e la corteggia, Giuseppe non è bello, non è affascinante e nemmeno intelligente ma in quel momento ha soldi che gli girano per le mani e afferma di essere single , ma mente, infatti ha moglie e tre figli che sono giù in Sicilia. Lei che aspetta l’occasione, cede alla corte di Giuseppe e vanno a convivere in un appartamento in Via Macchi, poi lui apre un negozio di tessuti in Via San Gregorio e ve la inserisce come commessa ma in realtà lei lo gestisce da padrona, per lei è il top: ha un uomo , ha una stabilità e economica e un lavoro dignitoso che le piace. Ma anche le favole finiscono, la moglie Franca P. arriva dalla Sicilia e vuole il posto che le spetta, Giuseppe che è un debole tentenna tra la famiglia e l’amante, il mondo crolla addosso a Rina che vede minacciato tutto quello che ha costruito. Alle 19 del 29 novembre 1946 a Milano piove. La città è nel il suo classico clima brumoso, Giuseppe è a Prato per definire un acquisto di tessuti, Rina sale in Via San Gregorio , una strada dall’aria modesta tra Porta Venezia e la Stazione Centrale, per incontrarsi con la moglie, in casa non c’è il riscaldamento e la donna indossa una pelliccia e i bimbi il cappotto, non si sa esattamente cosa le due donne si dicono ma ad un certo punto Rina la aggredisce con una spranga di ferro e la uccide poi raggiunge i bimbi e li uccide , prima Giovannino di 9 anni, poi Pinuccia di 5, l’ultimo di 10 mesi, Antoniuccio lo massacra sul seggiolone strangolato e poi colpito con un tacco di una scarpa da donna. Fatta la strage si allontana e torna a casa. Le ingani vanno subito in direzione di Rina, dato che tutti sanno che lei e Giuseppe si frequentano, da subito lei è interrogata ma afferma di non essersi mossa da casa, ma gli inquirenti, fra cui il famoso Commissario Nardone, notano tre piccole macchie di sangue sul bavero del cappotto che analizzate risultano appartenere allo stesso gruppo sanguigno della Franca P.. Rina crolla e ammette un suo coinvolgimento e fornisce tre diverse versioni , fa una chiamata a correo di un certo Carmelo, cugino di Giuseppe che finisce a S. Vittore per 18 mesi, ma il poveretto è innocente e quando esce muore di crepacuore. Va a giudizio e nel 49 viene condannata all’ergastolo , pena confermata in appello tre anni dopo. Giuseppe che è il responsabile morale del tragico fatto, scompare dalla scena e nel 1974 muore a Catania. Rina durante la detenzione è una detenuta modello, si mostra pentita e a più riprese scrive nelle sue lettere : non vivrò mai abbastanza per scontare il male che ho commesso. Dopo 28 anni di detenzione, esce in libertà condizionata dal carcere Fiorentino di Santa Verdiana, lascia in regalo alle sue amiche di cella tre bambole di pezza. Nel 1988 a 73 anni, Rina F. muore per un infarto, la donna anche se ritenuta colpevole ha sempre ripetuto di non aver ucciso lei i tre bimbi.

12 ottobre 1971 Valleggia ( SV ) Irma M. Vittorio M. I protagonisti di questa tragedia sono entrambi Sardi, per l’esattezza di Estersili, Nuoro, l’attore principale è Ferdinando P. sposato a suo tempo con Quintina G. da cui ha cinque figli, tra i 9 e i 15 anni. Quintina ha una sorella , Irma, che da poco è diventata vedova, e ha anch’essa 4 figli, tre di essi sono in un collegio mentre quello più grande, Vittorio il più grande, sta con la madre. Il marito della Irma muore in un incidente sul lavoro e la vedova percepisce come indennizzo tre milioni e mezzo di lire, negli anni 70 un cifra ragguardevole. Ferdinando a questo punto abbandona la sua famiglia lasciando la moglie a dover lavorare per mantenere i suoi cinque figli e addirittura non si fa vedere più, ma soprattutto va a convivere con la cognata, Irma. E’ un convivente molto autoritario, convince Irma a comprare un negozio di alimentari e si fa intestare la licenza. La convivenza tra i due è molto movimentata, lui è geloso e aggressivo, Irma deve lavorare tutto il giorno senza un attimo di sosta, la povera donna è schiavizzata anche se lei vorrebbe nei festivi , fare una breve passeggiata lui non glielo permette e la obbliga a rimanere in bottega, mentre lui è in giro in auto a fare acquisti per il negozio ma soprattutto a bighellonare. Le liti erano frequenti e l’uomo in quei frangenti afferrava un coltello e la minacciava. La donna dopo anni di sopportazione decide di andarsene, ma prima vuole che Ferdinando le restituisca i soldi da lei impiegati nell’acquisto del negozio. L’uomo si rifiuta e la accusa di avere un’altra relazione ad aggravare la situazione c’è il fatto che Vittorio il figlio di Irma è a casa in convalescenza illimitata, pertanto la donna deve assisterlo e il negozio rimane chiuso. Ferdinando vede nel figlio e anche nella donna due pesi morti a cui, secondo lui, deve provvedere e la conflittualità raggiunge il suo acme. La mattina sul presto Ferdinando prende una accetta e aggredisce Irma, la donna ha poche possibilità di difesa, l’accetta maneggiata dal convivente le procura ferite multiple al capo e un grave trauma cranico, la donna cade a terra in un lago di sangue. Poi l’aggressore si rivolge a Vittorio, il figlio, che sta dormendo, lo colpisce ripetutamente sia di taglio che dalla parte piatta dell’accetta, il ragazzo perde sangue in modo copioso ma riesce a fuggire per le scale inseguito dall’uomo, raggiunge l’abitazione della ex moglie di Ferdinando e da li telefona ai soccorsi e ai Carabinieri. Intanto il criminale fugge in auto e dopo 10 giorni di latitanza , stanco e affamato, si costituisce ai Carabinieri di Quiliano. Irma e Vittorio nonostante le gravi ferite riusciranno a sopravvivere e Ferdinando verrà condannato per lesioni gravi ad una pena detentiva di quattro anni.

Leonarda Cianciulli La saponificatrice di Correggio 1939 – 1945 La signora Cianciulli nasce a Montello, Avellino, nel 1894, si sposa, contro la volontà della madre, con un modesto impiegato all’ufficio del Registro e diventa Cianciulli in Pansardi. Madre di ben 12 figli dei quali 4 viventi, ebbe sicuramente una giovinezza vivace con due tentativi di suicidio. Il marito venne trasferito a Correggio, Reggio Emilia, lei per aiutare il bilancio famigliare iniziò un piccolo commercio di mobili e anche una attività di chiromanzia e cartomanzia. Iniziò a crearsi delle amicizie sul posto, avvicinava preferibilmente donne, anziane, rifiutate dalla vita, magari malate di stantio romanticismo e lei riusciva ad agganciarle con grande abilità psicologica , creando in loro un impossibile destino d’amore. Su queste donne di fondo sole e infelici, la Cianciulli agiva e loro inconsapevolmente e docilmente si lasciavano abbindolare. La prima fu Faustina Setti, 53 anni, assassinata il 18 dicembre del 39, poi Francesca Soavi 55 anni, uccisa il 5 settembre del 40 e infine Virginia Cacioppo 59 anni assassinata il 30 novembre del 40. In tutti e tre i casi la Cianciulli agiva nello stesso modo, irretiva le donne , le blandiva, le lasciava intravedere o delle nozze oppure la certezza di una nuova esistenza serena. Donna Leonarda come si faceva chiamare dal vicinato, attirava le povere donne a casa sua, in un modesto appartamento al terzo piano di un palazzo in Via Cavour, una volta in sua balia offriva alle vittime bevande preparate con sostanze, poi imponeva loro di redigere atti di donazione in suo favore, faceva scrivere cartoline e lettere con una data falsa allo scopo di crearsi un alibi, il figlio le imbucava e arrivavano alle amiche delle vittime a delitto già avvenuto. L’omicidio avveniva con un colpo di scure alla nuca. Fatto ciò la Cianciulli portava il corpo in cucina dove con una sega e una mannaia da macellaio smembrava i cadaveri. Dei corpi non sprecava nulla , raccoglieva il sangue in una vasca e lo usava per preparare torte al cioccolato, poi metteva i resti dei corpi in una grande caldaia piena d’acqua con alcuni chili di soda caustica con cui effettuava la saponificazione , la poltiglia organica la gettava tra i rifiuti o in un pozzo nero. Ne fece anche delle candele. Ecco una descrizione che lei stessa fece in un memoriale : Quanto al sangue del catino, aspettai che si coagulasse, lo feci seccare al forno, lo macinai e lo mescolai con farina, zucchero, cioccolato, latte e uova, oltre a un poco di margarina, impastando il tutto. Feci una grande quantità di pasticcini croccanti e li servii alle signore che venivano in visita, ma ne mangiammo anche Giuseppe e io». La sparizione di ben tre donne, in un breve periodo , nello stesso paese e soprattutto benestanti fecero nascere dei sospetti. In particolare un buono del tesoro portò gli inquirenti alla Cianciulli che tenne un atteggiamento arrogante. Fu arrestata e rinviata a giudizio, condannata a tre anni di manicomio e trent'anni di carcere. Tuttavia praticamente non uscì mai dal manicomio di Pozzuoli dove nel 1970 morì per un ictus a 77 anni.

«Se dovessi morire là, morirei da eroe». In questa frase, pronunciata quasi sottovoce prima di partire, c’è tutta la determinazione di Artiom Naliato, 21 anni, ucraino di nascita e italiano d’adozione, morto in un bombardamento mentre combatteva in Ucraina per difendere la sua patria. Un giovane che non ha mai raccontato le sue paure, che non si è mai lamentato, che non ha mai voluto mettere in difficoltà chi lo amava. Cresciuto a Tribano, in provincia di Padova, Artiom non cercava gloria: inseguiva un ideale, quello di contribuire alla libertà del suo Paese d’origine. Lo ha ricordato visibilmente commossa Paola Ruffini, che da tre anni lo ospitava come un figlio: «Prima di partire ci confidò quella frase. Non potevamo fermarlo, rincorreva questa scelta con una determinazione assoluta». La prima partenza era stata nel maggio 2022, per tre mesi. Voleva tornare il 17 agosto, per il compleanno di Giada, sua sorella adottiva. Poi, il primo giugno, la partenza definitiva. Si sentiva quasi ogni giorno con Paola, sempre educato, sempre rispettoso. Ma mai una parola sulla guerra. Proteggeva tutti, anche così. 👉

mercoledì, luglio 16, 2025

La moglie del difensore caduto ha portato una torta al cimitero per fes...

Durante la IIGM furono 16 in tutto i bombardamenti alleati su Alessandria e causarono 547 morti, il più tragico fu quello del 30 aprile con 238 poi 1l 14 agosto del 40, il 21 giugno 44, 11 luglio del 44, , il 3 settembre del 44, 11 luglio del 44, il 20 e il 21 agosto del 44, il 3 settembre del 44, 22 novembre del 44, 29 dicembre del 44, e poi nel 45 il 9 gennaio, il 26 gennaio, il 26 marzo, il 14 e il 24 aprile. Ma il più tragico fu quello del 5 aprile 1945, morirono 160 persone, e nell’elenco dei caduti ci sono anche 28 bimbi tra i tre e i 5 anni, erano presso l’asilo dell’Istituto Maria Ausiliatrice in Via Gagliaudo che fu centrato in pieno da una bomba, ecco i loro nomi : Rosalba Armellini), Gianni Bellore, Luciano Carena, Vanni Conta, Bruno Ferralasco, Oreste Ferraris, dei fratelli Francesco e Maria Grazia Fiorita. E ancora: Benito Galasso, Anna Maria Gilardenghi, Lorenzo Grasso, Maresaiva Graziano, Clara Guazzone, Roberto Malenotti, Lorenzo Marengo, Albertina Mazza, Renata Monero, Peppino Nini, Doriana Nobile, Maria Paina, Manuela Pollini, Ezio Roncarolo. Armida Santoro, Adriana Sterpone, Marco Taconcio, Maria Vallese e i fratelli Galeazzo e Grazia Visconti, con loro morirono la direttrice Suor Letizia Dellacha e tre suore Maria Tassar, Teresa Roletti, Maria Ferrara oltre a tre novizie, Enrica Boccalatte, Maria Rosa Tarasco, Rina Zaio e una professoressa Elena Garino, all’interno dell’Istituto erano ospitate quattro giovani donne, Valeria Gherci, Isa Griglio, Alberta Muttis e Laura Tizzani. La guerra era quasi finita e quindi non tutti presero sul serio quell’allarme aereo e non tutti corsero ai rifugi che per lo più erano cantine puntellate con assi e travetti rinforzati, e molti non lasciarono le loro case per essere poi travolti nel crollo dei palazzi.

lunedì, luglio 14, 2025

Balvano ( PZ ) 3 marzo 1944 Uno dei più grandi incidenti ferroviari della storia Il 2 marzo 1944 , alle 16 parte dalla stazione di Salerno il treno merci 8071, a orario libero, destinazione Potenza , è composto da due locomotive , due bagagliai e 45 carri merci vuoti con una massa di 520 tonnellate, , è stato formato su ordine della autorità militare alleata e viaggia per andare a caricare munizioni in una base segreta della Lucania. Non ha scorta di polizia militare tranne una pattuglia di sette militari Italiani, i macchinisti non volevano partire a causa del carbone Yugoslavo scadente che nella combustione sviluppa molto ossido di carbonio e poca potenza ed è quindi pericoloso nella galleria di forte pendenza di cui è ricca questa linea. Appena partito il treno fu preso d’assalto da centinaia di clandestini , persone dai 17 ai 30 anni che con i loro fagotti andavano a rifornirsi di cibo in Lucania. Erano tempi grami e bisognava arrangiarsi per sopravvivere, treni regolari tra Napoli e Potenza, ce n’erano pochi e non tutti potevano permettersi il prezzo del biglietto. Poco dopo mezzanotte il treno 8071 arriva a Balvano e riparte quasi all’una , affronta la galleria detta Delle armi , dall’omonimo monte, lunga quasi due km e cui la pendenza è del 12,8 per mille, appena il convoglio entrò in galleria le ruote iniziarono a slittare sui binari bagnati e iniziò uno scivolamento all’indietro, i macchinisti strinsero i freni poi diedero tutto vapore sprigionando dalle caldaie un gas sempre più carico di ossido di carbonio. La prima locomotiva mise la marcia indietro ma ilo locomotore di coda era sulla marcia avanti e quindi il convoglio rimase in stallo nella galleria . Tutti i viaggiatori “clandestini nel frattempo dormivano e lentamente soffocavano per il gas passando dal sonno alla morte. Il frenatore si accorse del disastro e a piedi raggiunse la stazione di Balvano alle 4 del mattino. La galleria era satura di ossido di carbonio al 12%, una percentuale letale. All’alba una locomotiva di riserva iniziò l’esplorazione della galleria e 500 m. dopo l’imbocco della galleria i ferrovieri trovarono uno spettacolo terrificante, morti ovunque nel silenzio e nel buio della galleria che era diventata una gigantesca camera a gas. Le vittime furono secondo diverse versioni da 500 a 600, i corpi vennero allineati sulla banchina della stazione di Balvano, non tutti furono identificati perché non tutti avevano documenti di riconoscimento, i cadaveri vennero sepolti in tre grandi fosse comuni, due per gli uomini e una per le donna. Luigi Cozzolino da Rosana , Napoli, fu uno dei pochissimi scampati ma perse la memoria. Ci furono dei processi ma sulla immane tragedia calò un muro di silenzio .

Nel pomeriggio del 31 maggio del 1939, il ponte di Moncalieri , costruito nel 1882, sul Po sprofondò sotto gli occhi della gente trascinando nel fiume e sotto le macerie nove persone e ferendo in modo grave una decina, fu un disastro annunciato, da diversi giorni la struttura evidenziava crepe e brontolii che fecero vietare il transito veicolare tuttavia ai pedoni fu permesso di transitare liberamente e quando i pilastri si sbriciolarono letteralmente fu una ecatombe. Disastro a parte ci fu una gara di solidarietà tra i barcaioli del Po per trarre in salvo i superstiti aggrappati agli spuntoni del ponte e anche per recuperare i corpi delle vittime. Fra le origini del crollo ci fu lo sfruttamento sconsiderato della sabbia fluviale per il cantiere di Via Roma nel centro elegante di Torino. Dopo il disastro venne costruito un ponte provvisorio di barche e in seguito per espresso volere di Mussolini un nuovo ponte in muratura più a valle con quattro ampie arcate e cinque piloni.

Forte S. Elena, 25 ottobre 1921. Era una sera come le altre quando il Forte S. Elena esplose a causa di un incendio, investendo Bergeggi, causando 22 morti e 300 feriti, molti dei quali per le ferite riportate moriranno in seguito. Non tutto il forte esplose ma solo alcuni capannoni che contenevano una ventina di tonnellate di dinamite ma fu abbastanza, i boschi e la vegetazione andarono in fiamme, per chilometri gli ulivi furono squassati e piegati dall’esplosione, Bergeggi , all’epoca 800 abitanti, ebbe la quasi totalità delle case abbattute, le vie ingombre di macerie, alcuni detriti e lamiere sono stati addirittura sparati sino a Zinola. Ai civili morti vanno aggiunti i sette militari del Regio Esercito che erano di stanza alla polveriera di cui non si trova alcuna traccia, anche tutti i cavalli da tiro che erano adibiti al traino dei cannoni furono sterminati. I pezzi di artiglieria del forte S. Elena fatti a pezzi vennero lanciati in aria ricadendo poi su Bergeggi. I danni solo su Bergeggi si stimarono in 100 milioni di lire. Per valutare la potenza dell’esplosione un frammento di una torretta di acciaio pesante alcuni quintali è fu lanciata nel centro di Bergeggi. Le vittime potevano essere molte di più ma una sentinella della polveriera del forte visto l’incendio che si stava avvicinando alla polveriera del forte allarmò la popolazione di Bergeggi che iniziò ad evacuare le abitazioni. Nella notte arrivarono i soccorsi, Vigili del Fuoco, Croce Bianca di Savona e Croce Oro, oltre ai militari del 42° Fanteria. Le indagini accertarono che si trattò di un attentato infatti nei giorni precedenti le fiamme erano state appiccate attorno ad altri forti nell’area di Savona.

Sette giorni di massicci attacchi russi contro l'Ucraina: oltre 1.800 dr...

giovedì, luglio 10, 2025

Luciano D. L. “ora una banda di iene ora, una banda di imbecilli poi , travolti da una morbosa passione e da una manciata di soldi”. Stella S. Giovanni 4 luglio 1976 Stella S. Giovanni è un tranquillo paesino, diviso tra cinque frazioni, noto più che altro per aver dato i natali ad un Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, in una frazione di Stella avvenne quello che fu definito “il delitto di Stella”. E’ una storia molto noir, dove sono presenti tutti gli ingredienti : odio, sesso, amore e violenza oltre ad una ingordigia patologica di denaro e anche sicari pasticcioni e incompetenti. Luciano D. L. , 35 anni, agente immobiliare viene ucciso a pistolettate in un agguato sulla porta di casa , Villa Monica, una casa isolata di Stella Località Reverdita, alle 8,15 di una mattina estiva di luglio 1976, questo delitto che si rivela essere su commissione, annovera ben due fallimenti, il primo è un tentativo di investimento, il secondo è una sparatoria che manca l’obiettivo. I Carabinieri al corrente della situazione di pericolo in cui vive Luciano, lo esortano a cambiare residenza ma questo non avviene al contrario continua ad abitare con la moglie a Villa Monica, insomma un perfetto bersaglio per degli assassini. Il terzo tentativo infatti è quello che uccide l’uomo, il sicario lo sorprende mentre sta salendo sull’auto per andare al lavoro, lui si accorge dell’agguato e tenta disperatamente di sottrarsi alla morte correndo , due colpi di cal. 7,65 feriscono la vittima ,mentre fugge, alle gambe e alle braccia , e il terzo alla tempia, quasi a bruciapelo, il killer si era portato dietro oltre alla pistola anche un bastone nel caso di un inceppamento dell’arma. Molto semplicemente, la moglie della vittima, Franca G. una bella donna di 32 anni, ha una relazione al di fuori del matrimonio con Adriano P. e progetta di liquidare l’incomodo marito magari guadagnandoci qualche soldo, a tala scopo la coppia, assolda un gruppo di sicari. Ma soprattutto contrae una polizza assicurativa che in caso di morte dell’assicurato, inconsapevole di questa assicurazione , beneficerebbe con la somma di 300 milioni la coniuge in vita. La firma in calce al contratto stipulato è falsa , i due assicuratori sono d’accordo con la moglie e con l’amante, inoltre un medico si sarebbe prestato, secondo le indagini, a produrre i certificati sanitari del contraente richiesti dalla assicurazione, il tutto all’insaputa del marito che rappresentava per la moglie un impaccio, infatti egli, nonostante tutto, non si voleva rassegnare a perdere la moglie, insomma un complotto in regola. La donna, inoltre, compariva spesso sulle pagine di riviste per annunci dove offriva alcune prestazioni in cambio di denaro, in queste situazioni lei conosce Adriano P. di Acqui Terme, tra i due nasce una relazione e i due progettano di liberarsi del marito. Si appurerà che la donna aveva organizzato un bel gruppo, pare di undici uomini, che erano invischiati in questa dinamica criminale al cui centro stava lei, tanto da essere definita la vedova nera di Stella. Abbiamo quindi due gruppi di fuoco che hanno all’attivo due fallimenti e un terzo gruppo che finalmente riesce nel suo intento omicida. Giacomo M. è il killer che materialmente spara ma è presente anche la moglie della vittima che lo guarda portare a termine l’impresa e dopo telefona ai Carabinieri. Le indagini vengono effettuate da un valente ufficiale dei Carabinieri, Il Capitano Riccio, che convinto della esistenza di un complotto criminale riuscirà a scoprirlo ed a operare gli arresti di 11 persone oltre alla moglie della vittima, che saranno rinviati a giudizio e processati nei vari gradi di giudizio. Le condanne andranno dall’ergastolo per la moglie, per il suo amante Adriano P. e per il killer Giacomo M. entrambi di Acqui Terme, le pene agli altri da 26 anni di carcere sino a 12 anni, agli altri comprimari, mentre altri imputati potranno usufruire di condoni vari e amnistie, per gli altri i due assicuratori, il medico e anche verso un investigatore provato che sarebbe stato accusato di estorsione. La vedova nera durante e dopo il processo proclamò sempre la sua innocenza, mentre tra gli altri complici fioccarono le accuse reciproche. Un avvocato della difesa definì il gruppo : “ora una banda di iene ora, una banda di imbecilli poi , travolti da una morbosa passione e da una manciata di soldi”.