venerdì, luglio 04, 2025
Filippo Menniti 12 febbraio 1921 Santuario ( Savona ) Filippo è un valido operaio che fa parte delle maestranze impegnate nella costruzione del tratto ferroviario che collega Vado Ligure con San Giuseppe, di origini Calabresi come molti suoi colleghi che affianca, si era sposato con una sua conterranea, Giuseppina Azzarà, di anni 25, già vedova con cinque figli dal precedente matrimonio, una donna molto procace con un bel fisico, molto ammirata dagli uomini e decisamente un tipo volitivo che non può non passare inosservata. Da tempo Filippo si è deciso trasferito dalla abitazione dove viveva con la moglie nelle baracche che la ditta appaltatrice ha messo a disposizione degli operai. In quanto la moglie nutriva nei confronti del marito una certa indifferenza e che invece frequentasse una giovane Calabrese di appena 18 anni, tutto questo farebbe parte di ordinarie storie di gelosia ma una sera il Filippo Menniti viene trovato sulla strada provinciale della Valle del Letimbro, morto per cause violente. Pare che qualcuno gli abbia teso un agguato mentre tornava dal lavoro e lo abbia aggredito a colpi di roncola e di coltello uccidendolo. Era la sera di giovedì, i Carabinieri dopo aver trovato il corpo, cercarono la moglie del morto e la invitarono al riconoscimento , cosa che lei fece. Accanto al corpo fu trovata una fotografia , strappata a metà, in essa c’era di lato l’effige del diciottenne presunto amante della Giuseppina, mentre non si sa chi possa esserci nella l’altra parte strappata. Il Procuratore del Regno ha deciso, espletate le indagini, di porre in stato di arresto la moglie della vittima, sospettandola di essere in qualche modo coinvolta nell’omicidio del marito. Lei, ovviamente si proclama innocente e chiede di essere scarcerata per poter accudire i figli.
Fosca Bertolotto 4 gennaio 1963 Loano Fosca era una giovane donna di 37 anni, nativa di Quiliano che voleva uscire da un matrimonio che la opprimeva e riacquistare la sua libertà e possibilmente vivere una vita serena. Dopo mesi di sofferenze e di percosse da parte del marito Nicola C. suo coetaneo nativo di Viterbo, con reati penati contro il patrimonio e con un precedente internamento in una casa di lavoro in Sardegna. Lei alla fine si decide a denunciarlo e si allontana da casa dove viveva con il marito, a Vado Ligure e si reca a Loano dalla sorella che la accoglie volentieri per allontanarla da una situazione davvero terribile. Il marito su consiglio del suo legale la contatta e le chiede una dichiarazione scritta in cui lei lo perdona per le percosse ricevute. Cosa che lei , per quieto vivere, acconsente a fare. I due si incontrano in strada il 4 gennaio 1963 alle 21 in località Borgo Castello a Loano, una zona particolarmente isolata il che poteva far squillare nella testa della donna un campanello di allarme, lui arriva con un motofurgone, iniziano a discutere , lei gli comunica la sua decisione irrevocabile, il marito che purtroppo si è recato armato al colloquio, appena il marito si rende conto della volontà della donna di volersi recare da un legale per perfezionare la separazione estrae la pistola, una semiautomatica 7,65 e le spara tre colpi, i primi due la mancano e si vanno a conficcare in un muretto ma il terzo la raggiunge al torace fra la nona e la decima costola attinge il cuore e perfora un polmone fuoriuscendo dall’altra parte, la vittima cade a terra rantolando, poi l’assassino scappa sul motocarro e si dirige verso l’in terno della regione. Ricercato e definito come pericoloso ed armato si costituisce ai Carabinieri di Racconigi in stato di arresto viene processato , il P.M. è molto duro nella richiesta che viene accolta, in primo grado Nicola C. sarà condannato a 24 anni, ma il primo processo viene annullato per la posizione irregolare di uno dei giurati e dovrà essere ripetuto ma si concluderà con la stessa sentenza, condanna a 24 anni e interdizione perpetua dai pubblici uffici e successivamente in appello a 30 anni, pena aumentata, infatti sarà giudicato colpevole di uxoricidio con l’aggravante della premeditazione, infatti l’uomo si è recato all’appuntamento con la moglie con una pistola infilata nella cintura e ben conscio della decisione della donna di separarsi da lui.
Fulvio Avventurino Pietra Ligure 14 Febbraio 1994 Fulvio Avventurino è un geometra che svolge da tempo la sua professione a Pietra Ligure, sposato e con un figlio, dotato di grande carità e disponibilità cristiana, è sempre in prima linea nell’aiutare chi soffre e chi ha bisogno, supportato dalla sua fede ha fatto la scelta di essere Diacono. In linea con la sua cultura dell’accoglienza e della solidarietà, decide di aiutare concretamente , un giovane extracomunitario che ha bisogno di aiuto, il Marocchino Gamhal El Boustany, di 23 anni, lo accoglie in diverse occasioni in casa, lo sfama, lo veste, insomma lo tratta come un figlio in un’ottica decisamente cristiana, tutto questo per tre anni, in modo completamente disinteressato. Tutto va bene, fino a quando la sera del 14 febbraio 1994, il Marocchino bussa alla porta del geometra che lo fa entrare come è solito fare, assieme alla moglie Adriana, lo fanno accomodare in salotto, gli servono una cena, fanno quattro chiacchiere in amicizia, poi la moglie va in cucina e lascia i due a parlare . Quello che i due coniugi non sanno è che il giovane straniero poco prima di salire da loro, ha assunto cocaina nel bagno di un locale nelle vicinanze, l’uomo è come una molla compressa pronto a esplodere. Chiede imperiosamente un milione di lire al geometra che probabilmente glielo nega, è insistente, Avventurino prova a spingerlo fuori dalla casa, ma lui estrae un coltello a serramanico e lo aggredisce , colpendolo alla gola, provocandogli ferite mortali, poi colpisce anche la moglie del geometra accorsa alle urla del marito e la colpisce a sua volta con due coltellate allo stomaco ed a una spalla quindi fugge. Fulvio, a seguito delle coltellate subite, muore dissanguato invece la moglie si salva per miracolo. Per loro è uno shock, essere stati aggrediti così ferocemente, in casa loro, proprio da chi hanno aiutato per tanto tempo, essere ripagati con tutto questo odio è fonte di grande sofferenza. L’assassino verrà fermato a Genova alla stazione Principe, dove fornirà generalità false e negherà di aver compiuto le due aggressioni, tradotto a Savona viene rinviato a giudizio e processato per omicidio volontario e per tentato omicidio nella persona della moglie della vittima, porto abusivo di coltello, false generalità e false dichiarazioni in merito ai suoi precedenti penali. la Corte di Assise di Savona, lo condanna a 29 anni di pena oltre ai danni da liquidare in sede civile.. Attraverso l’interprete l’imputato affermerà che ha aggredito ed ucciso Avventurino, perché sotto l’effetto di cocaina, poi per avere preteso la restituzione, non avvenuta, di alcuni milioni di lire lasciati in deposito al geometra e addirittura cercherà delle attenuanti dichiarando di aver ucciso a seguito di proposte omosessuali che la vittima gli avrebbe fatto. Di fronte a questo attacco, verso chi non può difendersi oramai, teso a infangare la memoria e l’onorabilità di una persona per bene, un comitato di 400 cittadini di Pietra coordinati da un sacerdote, scrivono una lettera ai media in cui difendono la memoria del geometra e tutte le sue opere di bene con cui era noto presso la Società civile. Le affermazioni dell’imputato che in sede di giudizio affermerà anche di essere un buon Musulmano, tuttavia, non avranno un grande efficacia, perché anche in secondo grado la Corte confermerà la pena.
Evelin Esohe Doghave 27 anni 29 marzo 1997 Evelin, nome d’arte Tessy Adolo, è una prostituta Nigeriana che batte al confine tra la Provincia di Genova e quella di Savona, anche lei ha la enorme sfortuna di imbattersi in Donato Bilancia, che non era nuovo ad assassinare le prostitute che incontrava nelle sue notti di odio e di follia. Appena la ragazza si rende conto che Bilancia ha delle intenzioni omicide nei suoi confronti, tenta di scappare e corre lontano dal criminale. Lui le spara ad un ginocchio per bloccarne la fuga poi due colpi alla testa. Questo omicidio darà una svolta alle indagini sul ricercatissimo serial killer, alcuni elementi caratteristici di questo delitto verranno uniti a livello di indagini a quello della prostituta Albanese Stela Truya e porterà ad avvicinarsi alla identificazione dell’omicida.
Giacomo Testa Savona 15 dicembre 1914 Giacomo Testa, nato ad Albisola, è il guardiano del Mattatoio Comunale di Savona, ha 66 anni e oltre a dover lavorare per mantenersi è anche disabile, a quell’epoca si usava un altro termine : deforme e in genere queste persone non godevano delle garanzie di oggi giorno. Giacomo viveva con la sorella, anch’essa con gravi disabilità fisiche, campavano entrambi con il suo salario. Oltre a fare il custode del civico macello, era anche il custode del canile annesso al mattatoio. La sera del 15 dicembre del 1915, veniva trovato in un angolo buio del suo luogo di lavoro, morto in un lago di sangue, con moltissime ferite da arma da taglio e altre contusioni sul capo. Chi ha trovato il suo corpo , orribilmente sfigurato, è stato un vetturino , il Sig. Oxilia,che abita proprio di fronte al macello, sentendo delle urla terribili provenire dal mattatoio, questo signore, scendeva di corsa dalla sua abitazione e rinveniva nel buio della notte il cadavere della vittima. Oltre a scoprire il cadavere, Oxilia scorgeva un giovane garzone di macelleria, tale Angelo Damonte da egli riconosciuto, che si allontanava dalla scena del crimine dicendo di andare a cercare aiuto. Dopo breve tempo arrivava sul posto il Procuratore del regno e il Commissario con degli agenti che iniziavano subito le indagini, ascoltando le testimonianze e cercando le armi del delitto, che venivano trovate dagli agenti sul greto del torrente Letimbro e cioè un coltellaccio da macellaio e un nerbo di bue, entrambi sporchi di sangue . Da subito l’attenzione della Polizia era rivolta al garzone del macellaio, Angelo Damonte, che messo sotto pressione nel corso di un duro interrogatorio, alla fine confessava lì omicidio che era avvenuto per futili motivi, il giovane ventenne voleva vendicarsi del “gobbo” come lo chiamava lui con evidente disprezzo lo tormentava con continui rimproveri. Alla fine Damonte stufo, decideva di aggredire ed uccidere Giacomo Testa, adducendo come scusa che due uomini gli volevano dare un cane in custodia lo invitava ad uscire di casa e appena soli e lontani da casa e dalla sorella del testa, lo aggrediva colpendolo con inaudita violenza alla testa, appena la vittima si accasciava a terra, lo colpiva con una trentina di coltellate finendolo e poi si allontanava per gettare le armi nel torrente e tornare a casa a lavarsi del sangue del morto.
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